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IL SIGNIFICATO DI UN’ASTA SCOPERTA

Le aste dei titoli pubblici europei sono sempre più sotto la lente di ingrandimento. Soprattutto quando non tutto il quantitativo offerto viene collocato, come è accaduto in novembre per i bund tedeschi. L’episodio segnala più che altro una difficoltà delle banche a ricoprire il ruolo di acquirenti preferenziali di titoli di Stato, per la minore liquidità del mercato, l’accresciuta volatilità dei corsi, la rarefazione della domanda proveniente da investitori finali e per i vincoli di bilancio. La soluzione è ammettere alle aste anche i risparmiatori privati, come negli Stati Uniti.

L’asta del titolo decennale tedesco tenutasi il 23 novembre 2011 ha fatto registrare un risultato, in termini di domanda, notevolmente inferiore alle attese. L’evento è stato commentato con estrema preoccupazione da quanti hanno visto in questa circostanza il segnale del diffondersi del contagio, provocato dalla crisi del debito sovrano, anche al paese guida dell’Unione monetaria. Stupore ha anche creato la notizia che la Bundesbank avrebbe sottoscritto i titoli inoptati, in violazione del divieto di finanziamento monetario previsto dall’articolo 123 del Trattato.

L’ASTA TEDESCA

Il rilievo dato alla vicenda appare una spia dell’estrema attenzione con cui si segue ormai qualsiasi notizia che riguarda la gestione del debito pubblico di uno Stato europeo.
Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza ricostruendo intanto i fatti.
In occasione dell’ultima emissione di bund decennali la Finanzagentur, l’agenzia del debito tedesca controllata dal ministero delle Finanze, ha annunciato il quantitativo di titoli offerti, pari a 6 miliardi. Il giorno dell’asta, la domanda complessiva dei partecipanti è stata pari a soli 3,89 miliardi, quindi insufficiente a coprire interamente l’offerta. Le autorità tedesche hanno scelto di emettere comunque l’intero importo annunciato, soddisfacendo quasi per intero la domanda (per 3,64 miliardi) e trattenendo presso di sé la parte di titoli inoptati (2,36 miliardi). Rispetto all’asta precedente dello stesso titolo il rendimento è sceso dal 2,09 all’1,98 per cento, segno che le domande pervenute erano comunque formulate a prezzi vantaggiosi per l’emittente.
Occorre innanzi tutto avere presente che la Finanzagentur si avvale della Bundesbank per condurre le operazioni d’asta. Lo schema operativo – che affida la gestione strategica del debito pubblico ai Tesori e la conduzione delle operazioni di mercato alla banca centrale – è estremamente comune, non solo in Europa, e affonda le sue radici nella funzione storica svolta dalle banche centrali in qualità di agenti dei Tesori.
Questo tuttavia ha generato l’equivoco che fosse la stessa Bundesbank a comprare i titoli non sottoscritti dagli investitori, mentre si è trattato di nient’altro che dell’attivazione, da parte del ministero delle Finanze tedesco, di una facoltà (cosiddetta “retention”) prevista dalla tecnica d’asta in base alla quale una parte dei titoli emessi non vengono assegnati ai partecipanti, ma trattenuti dallo stesso emittente per essere successivamente negoziati sul mercato secondario.
Anche la mancata copertura integrale dell’asta – che in generale costituisce un’anomalia e viene letta come un forte segnale di sfiducia verso l’emittente – non rappresenta un fatto così eccezionale per le emissioni del debito tedesco. Nel 2011 infatti, in altre otto occasioni un’asta di titoli pubblici ha fatto registrare domande complessive inferiori all’offerta (e sette casi si erano avuti nel 2010).

IL RUOLO DEL PRIMARY DEALER

Tanto rumore per nulla quindi ? Vero fino a un certo punto.
Intanto occorre dire che, nell’asta del 23 novembre, il divario tra il quantitativo offerto e quello domandato è stato superiore agli altri casi. Più che un segnale di sfiducia verso l’emittente, però, rappresenta una spia del mutato ruolo delle banche nel sostegno agli Stati sovrani per il collocamento del debito.
Il buon esito dei collocamenti sui mercati primari (in Germania, come in Italia come negli Stati Uniti, solo per citare i più grandi mercati mondiali) dipende infatti in misura significativa dal sostegno dei Primary Dealers, ossia di operatori specializzati nella negoziazione di titoli pubblici che assumono precisi obblighi nei confronti dell’emittente, i principali dei quali sono di assorbire quote significative di titoli in emissione e fornire un’adeguata liquidità al mercato secondario offrendo nel continuo quotazioni in acquisto e in vendita sui titoli emessi. (1) In contropartita degli obblighi assunti, a questi soggetti vengono in genere assicurati vantaggi esclusivi, quali la partecipazione ai collocamenti in asta o a speciali sessioni d’asta, la partecipazione ai sindacati di collocamento e  alle operazioni straordinarie sul debito (buy-back e concambi).
Il rapporto “preferenziale” che i gestori del debito instaurano con i Primary Dealers è anche finalizzato a una migliore comprensione delle dinamiche di mercato. Tramite lo scambio di informazioni e analisi con questi operatori, gli emittenti sono infatti in grado di meglio calibrare l’offerta di titoli in base alle esigenze degli investitori finali.
Le banche, però, si stanno dimostrando sempre meno disponibili a svolgere tale compito. La minore liquidità del mercato, l’accresciuta volatilità dei corsi, la rarefazione della domanda proveniente dagli investitori finali, i vincoli di bilancio, lo rendono troppo rischioso e oneroso, sia pure nei confronti del “titolo principe” (il bund) tra i governativi europei.
La soluzione probabilmente è da cercare in un ampliamento nel novero dei soggetti da ammettere direttamente alle operazioni di mercato primario – con l’inclusione degli investitori finali e, perché no, anche dei risparmiatori privati, sul modello statunitense dove tutti possono partecipare in proprio alle aste di titoli pubblici a partire da un investimento di 100 dollari – e in una maggiore flessibilità nella conduzione delle operazioni d’asta.

(1) In Germania la funzione è svolta dal Bund Issuance Auction Group, di cui fanno parte trentatré istituzioni creditizie.

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  1. romano calvo

    E’ con vera gioia che leggo le sue parole, poiché da anni sostengo questa tesi senza trovare supporter. Aprire al pubblico retail il mercato dei titoli pubblici avrebbe conseguenze importanti nella gestione del contratto tra Stato e cittadini (ad esempio potrebbe aprire la possibilità anche a forme forzose o solidaristiche di acquisto di titoli pubblici ad interessi inferiori) e peraltro eliminerebbe i costi delle commissioni bancarie (dallo 0,2% al 0,8%!). Ma il problema stà proprio qui: sono le banche a non voler un rapporto diretto tra risparmiatore e Stato.

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