Col passare degli anni, l’indennità di accompagnamento è divenuta un’integrazione ai redditi degli anziani, usata in larga misura per pagare le badanti. E il suo costo è lievitato fino ai 13 miliardi del 2011. Meglio sarebbe una Dote di cura che permetta di graduare l’importo in base ai livelli di non autosufficienza e di disponibilità economica, con un controllo sugli utilizzi. La scelta tra ricevere una somma senza necessità di rendicontazione o disporre di un budget individuale per i servizi pubblici o privati accreditati.
Lindennità di accompagnamento, provvidenza rivolta a invalidi civili totalmente inabili, nacque nel 1980. Passata indenne i recenti, pesantissimi tagli al sociale, la sua storia rispecchia quella del paese: con unutenza anziana sempre più preponderante, che ha raggiunto i quattro quinti del totale, è divenuta unintegrazione ai redditi familiari tout court, usata in larga misura per pagare le badanti, molto spesso in nero. (1)
Negli anni, la misura ha raccolto la pressione montante di domanda senza risposte, o con risposte limitate, nel sistema dei servizi territoriali, un sistema ancora circoscritto e penalizzato dai recenti tagli. Il suo costo è così lievitato fino ai 13 miliardi di euro di questanno.
Nel recente documento Disegniamo il welfare di domani, promosso dalla rivista Prospettive Sociali e Sanitarie e da un gruppo di esperti, abbiamo proposto di trasformare lindennità di accompagnamento per gli anziani over 65 in una Dote di cura. (2)
LA PROPOSTA
La Dote di cura va incontro a tre necessità condivise da molti osservatori: (a) graduare limporto (ora fisso di 487 euro mensili) in relazione a livelli diversi di non autosufficienza e di disponibilità economica; (b) non lasciare sole le famiglie con i soldi ricevuti; (c) controllare luso delle risorse erogate.
La Dote di cura costituisce un diritto esigibile e uniforme su tutto il territorio nazionale, come lindennità di accompagnamento. La proposta tuttavia declina luniversalismo in modo selettivo, dati i vincoli di bilancio entro cui ci troviamo. La sua platea corrisponde a quella dellindennità di accompagnamento, ma questa viene distinta per gradi diversi di non autosufficienza e relativi carichi di cura, attualmente assai difformi nei percettori dellindennità, nonché per capacità di spesa del singolo anziano e della sua famiglia, adottando lo strumento dellIsee. (3)
E soprattutto, con la Dote di cura viene data la possibilità di scegliere tra ricevere una somma di denaro senza necessità di rendicontazione e il corrispettivo di un budget individuale utilizzabile per fruire di servizi pubblici o privati accreditati, compresi ricoveri in residenza e interventi di badanti accreditate.
La seconda possibilità ossia il corrispettivo di una somma unicamente utilizzabile per fruire di servizi di assistenza è orientata a favorire loccupazione qualificata in questo settore ed è incentivata attraverso importi pari al doppio rispetto a somme su cui non si chiede rendicontazione (a parità di caratteristiche del bisogno), con valori che oscillano tra i 250 e i mille euro mensili. (4)
La gestione della Dote di cura è in capo alle Regioni. Questa scelta è sostenuta dallesigenza di legare la prestazione monetaria a interventi di informazione, orientamento, sostegno diretto di cui molte famiglie e anziani hanno bisogno. Le Regioni avranno responsabilità di spesa e di integrazione nel sistema dei servizi. Lassegnazione della Dote richiede infatti un percorso assistenziale, azioni di informazione e accompagnamento che solo una rete territoriale di servizi può garantire. Peraltro, molte Regioni sono già attrezzate per farlo. Altre dovranno rafforzarsi in termini organizzativi e professionali.
QUANTO COSTA?
Si tratta di una riforma a costo zero, a disponibilità invariate. Una simulazione dei costi complessivi della Dote di cura dimostra infatti che non comporta risorse aggiuntive rispetto a quelle oggi impiegate per lindennità di accompagnamento. (5) Le risorse vanno ripartite tra le Regioni con opportuni vincoli di spesa, prevedendo che una specifica quota venga destinata al necessario potenziamento della rete dei servizi locali. La ripartizione tra le Regioni dovrà seguire lobiettivo di ridurre gli attuali disequilibri territoriali, utilizzando adeguati indicatori di bisogno anziché di spesa storica, come già suggerito da Luca Beltrametti. (6)
La proposta prende le distanze da una logica di riforma tesa al risparmio, che guida la recente delega assistenziale (Ddl n. 4566 recante Delega al Governo sulla riforma fiscale e assistenziale) che pure tratta lindennità di accompagnamento come materia suscettibile di modifiche.
La nuova misura viene graduata in base alla capacità di spesa dellanziano e dei suoi familiari. Limporto mensile può ridursi fino ad assottigliarsi di molto nella fasce superiori di reddito, mentre aumenta man mano che si scende verso valori Isee più bassi. La somma algebrica dei risparmi verso lalto e dei maggiori costi verso il basso è vicina allo zero, o al più portare limitati risparmi, totalmente da reinvestire nel potenziamento della rete dei servizi, con particolare riferimento a Regioni e territori più deboli.
Infine, la nuova misura dovrebbe collegarsi ai vari assegni di cura e voucher sociali che sono andati moltiplicandosi in diverse Regioni. Con meccanismi di premialità per le Regioni che integreranno la nuova misura con i propri interventi. Andando incontro alle legittime esigenze di riduzione della complessità a carico delle famiglie.
(1) È diventata la principale misura di sostegno ai non autosufficienti, se ne avvalgono 1,4 milioni di anziani, più di uno su dieci.
(2) Il documento è stato elaborato da un gruppo coordinato da Emanuele Ranci Ortigosa e composto da Paolo Bosi, Maria Cecilia Guerra, Francesco Longo, Valerio Onida, Alberto Zanardi e dai ricercatori dellIstituto per la ricerca sociale: Ugo De Ambrogio, Daniela Mesini, Manuela Samek Lodivici , Stefania Stea e da chi scrive. La versione integrale del documento è in uscita sul numero 20-21/2011 della rivista, uscito a dicembre 2011. Una sua sintesi è disponibile sul sito http://pss.irsonline.it/convegnowelfare/documento.html.
(3) La valutazione del grado di non autosufficienza e del carico di cura dovrà dotarsi di strumentazioni adeguate alla popolazione anziana fragile.
(4) S. Pasquinelli, Qualificare il lavoro privato di cura in La Rivista delle Politiche Sociali, n. 2, 2011.
(5) Per una simulazione dei costi si rinvia al documento integrale su Prospettive Sociali e Sanitarie n. 20-22/2011.
(6) L. Beltrametti, Politiche per la non autosufficienza: una riforma possibile, in Neodemos.it, 6 maggio 2010.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Gino Ragnetti
Un chiarimento. Siccome nel titolo si parla di “non autosufficienti” e nel testo solo di “anziani”, vorrei sapere se questa proposta riguarda solo gli anziani o tutti i non autosufficienti (disabili gravi). Grazie
Dott. Malerba Fabio
Ho apprezzato l’articolo sulla c.d. indennità di accompagnamento; ma non sono ed a mio avviso non si può essere concordi con l’idea di fondo. Se ad inizio articolo giustamente si afferma che l’accompagnamento è divenuto componente di redditto non si può, a mio avviso, pensare di modularla in base al reddito stesso; e spiego il perché. Il calcolo ISEE oppure qualunque altro indice che servirebbe (sulla carta) a parametrare un qualcosa (nel caso specifico l’accompagnamento) al reddito ha dimostrato in tutti i campi in cui è stato applicato la sua profonda ingiustizia. è evidente che l’ISEE non può e sicuramente non tiene conto dell’inflazione e del costo della vita, laddove un pensionato medio ha un reddito ISEE che corrisponde, secondo i recenti studi, a quello di un gioielliere…Si tenga conto che il reddito c.d. “base” non è sufficiente per pagare i servizi di cui un anziano “medio” ha bisogno. Il costo di una badante per persona autosufficiente si aggira attorno ai 1000 euro al mese (perlomeno nei grandi centri come ROMA). è evidente che l’accompagno viene utilizzato prima di tutto per sfamarsi e poi per integrare altre spese. Non bastano i caratteri per continuare.Dott. Malerba
Chiara Fabbri
apprezzo l’articolo innanzitutto per aver sollevato un problema grave e crescente con il crescere dell’età della popolazione. La gestione di persone non autosufficienti è lasciata a totale carico delle famiglie, in assenza di servizi pubblici adeguati (pensao ad esempio alla sostanziale inesistenza di servizi di cura domiciliari) ed anche di servizi privati di qualità almeno accettabile. Tuttavia, la proposta avanzata, come molte altre in altri ambiti di spesa, presuppone un sistema fiscale efficiente, in cui le dichiarazioni dei redditi corrispondano grosso modo alla verità. Visto che, purtroppo, come tutti sanno e come recentemente asseverato anche dai controlli della GdF, la maggioranza delle dichiarazioni è mendace, la proposta è di fatto regressiva, facendo pagare il costo pieno dei serivizi a chi di fatto già li paga attraverso le tasse e favorendo con inopportuni sconti chi presenta dichiarazioni false.
Osvaldo Forzini
E’ davvero strano che le badanti risultino pagate in nero, visto il rischio che corrono i datori, ed i problemi per le badanti stesse (come ottengono il permesso di soggiorno senza lavoro?). La badante di mio padre è regolare, il costo totale è sui 1300 euro mensili (più il vitto), l’accompagnamento serve ovviamente solo a limitare la decadenza dei risparmi, cui si deve per forza attingere visto che la pensione non è sufficiente anche per la sola badante, e poi c’è casa, bollette, vitto, riabilitazioni e cure extra varie. saluti
Giorgio
La popolazione italiana invecchia e purtroppo gli anziani molto vecchi spesso non sono autosufficienti quindi spesso sono invalidi al 100% ovvero hanno necessità di un accompagnamento. L’indennità di accompagnamento nella sua attuale formulazione è un’integrazione del reddito certo, cos’altro può essere? E ha un unico difetto: è troppo bassa per molte famiglie. Che le famiglie possano impiegarla come meglio preferiscono (punto b) è un vantaggio, pensate che qualcun altro possa sapere meglio delle famiglie come spendere quei soldi? Che non ci siano controlli sull’impiego (punto c) un risparmio. Se ho capito bene invece la vostra proposta ha un duplice obiettivo: far risparmiare lo Stato anche sulle indennità di accompagnamento (punto a) e nello stesso tempo farne un’occasione di profitto. Direi che è in linea con la politica dell’attuale Governo. Cordiali saluti.
Afro Formica
Ormai è assodato che l’allungamento della vita porta con sè una scia importante di non autosufficienti, che ormai rappresentano un rilevante problema sociale in continua crescita. Bisogna intervenire, come in Germania e anche nella provincia di Bolzano, introducendo in via obbligatoria la cosiddetta Long Term Care Insurance, che garantisce una rendita mensile alla persona non autosufficiente (secondo parametri codificati) da utilizzare per badante, assistenza sanitaria ed altre esigenze. Una quota supplementare della tassazione viene destinata a tale scopo nell’ambito di un sistema assicurativo ad hoc. Per le persone meno abbienti lo Stato versa direttamente la quota dovuta. Ovviamente per il nostro Paese occorre approfondire bene la problematica a livello tecnico, ma questa è l’unica strada seria da intraprendere. Ciò consentirebbe di ripensare l’assegno di accompagnamento, modulandolo anche in relazione al reddito dell’interessato (sempre al netto di una evasione fiscale colossale come la nostra).
Mino
Chi ha scritto questo articolo è evidente che non conosce l’argomento in prima persona. Riuscire a prendere l’assegno di accompagamento, oggi, è veramente molto difficile. Ci si arriva dopo anni di tentativi, quando l’anziano non è più autosufficiente da tanto tempo. E i quattrocentottantasette euro che vengono elargiti sono una miseria, che l’estensore dell’articolo vorrebbe anche ridurre a qualcuno secondo criteri neanche bene esplicitati. Tra quanto si arriverà a “ridistribuire” l’elemosina? Ma per favore….
Carlo Giacobini
Mirabile sforzo di comprendere quanto lo Stato spende per gli anziani … ma assente completamente ogni considerazione su quanto spendano le famiglie e le persone per la propria “non autosufficienza”. L’ISEE (nè quello attuale, nè quello in via di definizione) considera veramente quanto la menomazione (la non autosufficienza è un concetto non definito o troppo definito) sia causa di impoverimento diretto, indiretto, indotto. “non lasciare sole le famiglie con i soldi” è un’affermazione che evidenzia un retropensiero preoccupante e, per molti versi offensivo. Le famiglie sarebbero incapaci o in malafede o vittime di raggiri. Ci si augurava che l’universalismo selettivo fosse crollato finalmente sotto l’evidente insostenibilità tecnica, politica, etica, e invece a vent’anni da Onofri e Zamagni ci troviamo ancora di traverso questo vecchio armamentario. Francamente ci si aspetterebbe di meglio.
mauroz78
magari risparmiando un po’ su varie truffe perpetrate ai danni dei cittadini si riuscirebbe a dare assistenza a chiunque.
anna
487 dovrebbero essere troppe per ogni individuo che ha isogno di cure? Occorre ragionare sulla gravità dell’invalidità, occorre valutare il contesto geografico, familiare che incidono fortemente sul “sollievo” dell’invalidità. Cercare di ridurre un’invalidità ad un “costo complessivo” che forse può essere distribuito meglio ( e attenzione a favore degli istituti accreditati!) è un modo di trattare dei problemi veri delle persone che non condivido. Non si tiene conto delle difficoltà psicologiche e delle difficoltà dell’affronatare il quotidiano, non si tiene conto del fatto che un disabile “solo” deve sostenere molti piu’ costi rispetto ad altri, non si tiene conto che è impossibile misurare le risorse impiegate da persone che gratuitamente prestano assistenza, non si tiene conto che si vorrebbe prendere il monte di trasferimenti “indennità di accompgnamento” e trasferirlo alle strutture accreditate. I soldi dell’indennità di accompgnamento sono collettivi, non sono delle strutture accreditate. Se fosse così semplice devolvere il tutto facciamo che per 487,00 al mese si offra tutto, ma proprio tutto a chi versa in condizioni non fortunate.