Un buon andamento delle esportazioni italiane farebbe da argine alla presumibile ventata recessiva che colpirà i consumi nella prima metà del 2012. Se l’euro continua a deprezzarsi nel corso dell’anno, le aziende italiane che esportano guadagnano competitività. L’esperienza del 1993 suggerisce che un deprezzamento del 25 per cento sarebbe oggi associato ad una crescita aggiuntiva delle esportazioni per 2,5 punti percentuali e ad una crescita aggiuntiva del Pil di circa 0,6 punti. La recessione sarebbe dunque attenuata, ma probabilmente non eliminata.
In un recente articolo ho suggerito che ci sono ragioni per essere meno pessimisti della maggior parte degli analisti sulle prospettive economiche dellItalia nel 2012. Una di queste è che se leuro continuerà a deprezzarsi nel 2012, ciò si tradurrà in un guadagno di competitività per le nostre esportazioni. Un buon andamento dellexport farebbe da argine alla presumibile ventata recessiva che colpirà i consumi nella prima metà del 2012. In questo pezzo – anche sollecitato dai commenti al precedente – provo a fare laritmetica dellottimismo (o del non pessimismo). Propongo cioè un calcolo approssimativo di quanto grande potrebbe essere laiutino derivante da una svalutazione delleuro per lexport e per il Pil dellItalia.
LEURO CONTINUERÀ A DEPREZZARSI NEL 2012
La prima cosa da capire è se leuro si deprezzerà davvero nel 2012. Notoriamente, come già ammetteva in un articolo del 1982 lex capo economista del Fondo monetario Ken Rogoff, prevedere landamento dei cambi è impossibile per ogni persona di buon senso: la cosa onesta da fare è tirare una moneta in aria e fare a testa o croce. La verità è che non esiste nessun modello di previsione che riesca ad azzeccare stabilmente landamento dei cambi.
Detto questo, le previsioni bisogna pur farle perché levoluzione dei cambi influenza la vita quotidiana di famiglie e imprese. Anche rischiando una brutta figura. Con gli attuali chiari di luna, che previsioni si possono fare sul cambio delleuro nel 2012? Se guardiamo alle grandi aree del mondo, vediamo che, schiacciata sotto il peso delle incognite sul suo futuro, larea euro è in una fase di rallentamento, se non di recessione. Il discorso è un po differente per Stati Uniti e Cina, oltre al resto dellAsia emergente, dove la crescita è rallentata ma persiste, e persiste a livelli stellari in Asia. Ciò suggerisce che i tassi di interesse controllati dalle banche centrali – che si muovono per sostenere le economie in difficoltà e per evitare che si surriscaldino – rimarranno stabili o scenderanno marginalmente in Europa e rimarranno stabili nel resto del mondo.
Con tassi in discesa (e crisi delleuro risolta a metà) in Europa e stabili altrove, leuro probabilmente andrà più o meno come negli ultimi sei mesi. La tendenza al deprezzamento – da 1,45 a meno di 1,30 verso il dollaro; da 9,42 a 8,15 contro lo yuan cinese presente da quando la crisi dei debiti sovrani è la notizia del giorno (di ogni giorno) continuerà nel 2012. Se quindi, come presumibile, non ci sarà una soluzione rapida dei problemi di sostenibilità del debito pubblico dei paesi europei periferici, il meno 12 per cento osservato negli ultimi sei mesi del 2011 potrebbe diventare un meno 25 per cento nellarco di un anno.
1993 E 2012: EFFETTI SU EXPORT E PIL
Cosa succederebbe allexport dellItalia se il cambio delleuro si deprezzasse del 25 per cento? Per rispondere ci si può aiutare con un precedente storico. Nel corso del 1993, dopo luscita dellItalia dal Sistema monetario europeo (Sme), la lira si deprezzò del 25 per cento nei confronti della media delle valute dei partner commerciali dellItalia (e del 21 per cento nei confronti del dollaro). In parallelo, nel 1993, le esportazioni di beni e servizi italiani a prezzi costanti (in italiano: le quantità esportate) aumentarono del 9 per cento circa (+8,7 per la precisione). Il 9 per cento del 1993 venne dopo una crescita media del 4 per cento registrata nel 1990-92, anni in cui il tasso di cambio della lira – ingabbiato allinterno dello Sme – era rimasto pressoché costante. Dunque con il 1993, si assiste a una drastica accelerazione dellexport, che cresce di quasi 5 punti percentuali più rapidamente rispetto agli anni precedenti. Se prendiamo questi numeri come punto di riferimento e usiamo il gergo degli economisti, ne consegue che lelasticità dellexport al tasso di cambio osservata nel 1993 fu di 0,2 (+5 per cento diviso 25 per cento).
Cè però unimportante differenza rispetto al 1992-93. Allora la valuta che si deprezzava era la lira nei confronti del resto del mondo. Il guadagno di competitività dei produttori italiani era globale. Oggi la valuta che si deprezza è quella dellarea euro nel suo complesso e così i produttori italiani guadagnano competitività rispetto a cinesi, svizzeri e americani, ma non rispetto a tedeschi e francesi. Il guadagno di competitività riguarda cioè solo il 55 per cento dellexport italiano, non il suo 100 per cento come nel 1993 quando cera la lira. Quindi lelasticità dellexport rispetto al cambio dellItalia non vale più 0,2 ma più probabilmente poco più di 0,1. Si è cioè sostanzialmente dimezzata. Ma non si è azzerata. E così se leuro si deprezza del 25 per cento nel 2012 possiamo aspettarci un aumento addizionale dellexport di soli 2,5 punti percentuali (e non 5 come allora) rispetto a quello osservato negli ultimi anni. Anziché crescere dell8 per cento come nel 2010-2011, le esportazioni italiane potrebbero dunque crescere di un ottimo 10,5 per cento nel 2012.
Le buone notizie non finiscono qui. Una svalutazione non rende solo più facile la vita agli esportatori italiani sui mercati esteri. Ha anche un effetto positivo sulla capacità di competere dei produttori italiani che competono sul mercato interno con le importazioni. La Ferrari beneficia dalla svalutazione perché vende più automobili ai ricchi svizzeri, ma anche perché diventa più probabile che una ricca famiglia italiana alla ricerca di uno status symbol compri una Ferrari anziché una Rolls Royce prodotta in Inghilterra. Questo effetto è più difficile da quantificare, tuttavia, ed è probabilmente di minore entità data la scarsa crescita attesa del mercato interno italiano. Ma è un altro più della svalutazione da tenere in considerazione.
Alla fine della storia si può provare a quantificare laumento di Pil derivante da una svalutazione. Dato che lexport è circa un quarto del Pil, una svalutazione del 25 per cento delleuro farebbe aumentare del 2,5 per cento le esportazioni e dunque di circa 0,7 punti percentuali (un po più di un quarto di 2,5, includendo qualche effetto di sostituzione delle importazioni con beni interni) il Pil dellItalia rispetto a uno scenario con valore delleuro stabile. Un effetto significativo ma non dirompente.
I LIMITI E LE SPERANZE DELLOTTIMISMO
Laritmetica dellottimismo ci aiuta a capire che i potenzialmente significativi benefici del deprezzamento delleuro non saranno presumibilmente in grado di compensare del tutto gli effetti recessivi del peggioramento del clima economico e delle manovre a pezzi e bocconi in questi mesi.
A meno che non avvenga qualcosa di inatteso: nel mondo globale di oggi, la torta da conquistare per i nostri esportatori e la sua rapidità di crescita è molto più grande di quella di allora. La svalutazione potrebbe quindi oggi essere una leva ben più potente di quella osservata nel 1993. E questa la speranza del 2012.
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Maglia
L’export italiano è cresciuto nella media del 2010/2011 dell’8% solo per il rimbalzo sul catastrofico 2009. Per cui l’aritmetica consiglia di prendere il 2010 come riferimento.+ Il risultato è una crescita interessante ma non risolutiva. In ogni caso meglio il cambio a 1,30 e una crisi dell’euro affrontata bene che una svalutazione del 25% conseguente al crollo del sistema.
La redazione
Il mio calcolo delleffetto sul Pil è in differenza rispetto al passato. Il numero chiave è quindi + 2,5, per vedere leffetto sul Pil non conta se il calcolo è fatto rispetto alla media 2010-11 o solo sul 2011.
michele
il discorso non vale se la recessione è globale e la domanda è inesistente laddove dovremmo esportare. non vale nemmeno se il mercato del credito europeo è paralizzato, se le banche non prestano denaro alle altre banche, a famgilie e imprese, perchè manca il sostegno per l’ammodernamento e l’aumento di capacità di infrastrutture e produzione. dovremmo puntare alla Cina che più volte ha espresso la vlontà di entrar ein Europa pe rproduzione, infrastruttrure, a patto di un nostro impegno a eliminare alcuni limiti alle esportazioni e l’embargo alla vendita di armi. Hanno una enorme liquidità da impiegare, operazione che troverebbe d’accordo gli USA, che vogliono riportare il dollaro a moneta di riserva mondiale. Prima la Cina investirebbe le riserve in valuta estera diversa dal dollaro, euro in primis, quindi parte dei dollari fermi nel bilancio dei fondi sovrani, alla mercè della politica locale che può diversificare gradualmente le riserve Che semplicemnte sarebbero girati e “sterilizzati” nel capitale sociale di qualche società cinese che costruisce con partner nostrani reti ferroviarie, autostradali, in fibra ottica in Europa, con break-even di 10-20 anni.
La redazione
Puntare sulla Cina è uno slogan attraente. Ma una cosa è dire e unaltra è fare. Entrare nel mercato cinese non è per tutti. Ci sono forti barriere, soprattutto per le piccole imprese.
Anonimo
Le dinamiche delle escalation relazionali (vedi digital-networks) , sono dovute alle garanzie quantitative data dalla crescente massa monetaria presente nel sistema finanziario (vedi politiche monetarie quantitative-easing), tale per cui un’aumento delle concorrenze commerciali nel mercato aperto degli imput del prodotto netto, quali sono le operazioni di delocalizzazione internazionale, determinano un aumento del flusso netto delle esportazioni per effetto della maggiore integrazione dei mercati e, data, la “dominanza” della valuta di riferimento nelle gestioni degli scambi (vedi Dollaro…) implicano una moltiplicazione dei margini di profitto extra-P.I.L….
La redazione
Speriamo che non sia così.
Amabea
Purtroppo aggiungerei una ulteriore considerazione rispetto ai dati del 93. Allora non solo beneficiammo della svalutazione anche nei confronti dei paesi eurpei, ma fummo anche i soli a beneficiarne. Oggi, a fronte della svalutazione dell’euro, si potranno avvantaggiare tutti i paesi euro, quindi Germani, Francia,ecc avranno più facilità nel collocare le loro merci nei paesi extraeuro. Bisognerà valutare l’impatto anche di questo aspetto. Cordiali saluti
La redazione
Larticolo valuta proprio questo aspetto dove dico che lelasticità dellexport non è 0,2 ma 0,1.
Lorenzo
D’accordo con l’analisi tranne per il fatto che il prezzo del petrolio negli anni ’90 oscillava tra i 15 e i 20$, adesso siamo sui 80-110. I prezzi della benzina sono già alti, il settore trasporti è inefficiente, ci sono tensioni con l’Iran e infine il 25% di 20 è < del 25% di 80. Posto che tutto questo non influisca negativamente sull’export, influisce con un ulteriore segno meno(per l’aumento dei prezzi) sui consumi già in flessione per le aspettative e le manovre: tutto ciò è conteggiato nel saldo complessivo del deprezzamento da lei calcolato ?
La redazione
Vedere la risposta sopra a Di Fabrizio.
Maurizio
Una svalutazione dell’euro porterebbe sicuramente un incremento dell’export ma non dimentichiamo che questo effimero vantaggio è già stato abbondantemente distrutto dall’incremento della tassazione che incide sui costi delle imprese. Ritengo che la recessione sarà molto più profonda e grave di quanto ci si aspetti anche perché nel 2013 si vota e i provvedimenti strutturali di tagli alla spesa sono ormai improponibili per forze politiche che si preparano alle elezioni. Con l’apparizione di nuove potenze manifatturiere nei mercati nternazionali l’Italia dovrebbe fare riforme enormi sulla spesa pubblica per non gravare sul sistema produttivo me chi glielo va a dire ai partiti e ai sindacati?
La redazione
Monti ci sta provando.
Paolo Zanghieri
Se ho capito bene, nella sua analisi lei implicitamente assume che la domanda mondiale crescerà agli stessi ritmi del 2010. Visti i dati di Cina e Stati Uniti, non è un’ipotesi un po’ forte? Saluti PZ
La redazione
I dati di Cina e Stati Uniti non sono per ora poi tanto male. Farò un articolo sul Corriere Economia di lunedì su questo argomento.
Pastore Sardo
Il guadagno competitivo sulla valuta è uguale anche per le altre nazioni in area euro che esportano, solo che in Germania, Svizzera, Austria, etc.. hanno da poco completato un processo diffuso di innovazione che permette di essere estremamente più competitivi dell’Italia. Quello che non si riesce a capire è che quando riparterà l’economia globale l’Italia rimarrà al palo con aziende e PA inefficiente e giovani laureati in materie umanistiche che non sanno fare una cippa. i dispiace per l’autore ma l’Italia è un morto che cammina …. e che non riuscirà più a correre.
La redazione
Mi dispiace sentire tanto pessimismo.
gianp2
In giugno dell’anno scorso ho contratto un finanziamento in yen: ce ne volevano oltre 120 per comperare un euro. Oggi ne bastavano poco più di 98. Vi è quindi stata una fortissima svalutazione della nostra moneta. Teoricamente in Giappone le nostre merci dovrebbero essere super competitive e le loro, almeno quelle fabbricate lì, molto meno. Però esportare laggiù implica: conoscenza del mercato, capitali, risorse… Quante delle nostre piccole e sottocapitalizzate aziende potranno usufruire della opportunità del momento?
La redazione
Giusta osservazione. Il discorso sarebbe lungo. Il futuro delle piccole è in Europa. Sono le grandi che possono arrivare e rimanere più facilmente sui mercati lontani.
Stefano Matteucci
Visto che nel 93 andò così bene… riproviamoci pure su scala più vasta. Giusto ci serve un po’ di inflazione da importare
La redazione
Nel 1993 ci fu una svalutazione del 25 per cento con un effetto inflazionistico molto marginale. Oggi abbiamo una temporanea fiammata inflazionistica a causa dellaumento del petrolio di inizio 2011 e dellaumento dellIva di questestate. Finirà. Il nostro problema non è linflazione ma la recessione e come evitarla.
Di Fabrizio Aldo
Un deprezzamento delleuro del 25% potrebbe sicuramente aiutare le esportazioni in settori ad alta intensità di lavoro (tipicamente il manifatturiero) perché si tradurrebbe in un minor costo del lavoro nellarea del dollaro e delle valute ancorate al dollaro. Probabilmente ne beneficerebbero di più allinterno del manifatturiero: high-tech, meccanica, tessile, abbigliamento; nei settori legati alle materie prime (es. chimico e farmaceutico) i vantaggi sarebbero molto inferiori perché vengono importate in dollari. Cè un ulteriore ragionamento da fare: il tasso di cambio dipende dalle ragione di scambio e dal prezzo relativo dei beni non commerciabili. Per i beni commerciabili possiamo prendere ad esempio il manifatturiero; per i beni non commerciabili il settore dei servizi. La forza del dollaro è data dallentità del deficit della bilancia dei pagamenti. La produttività cresce più velocemente nel settore manifatturiero e di conseguenza i prezzi dei servizi sono più volatili. Laggiustamento ricadrà sulle esportazioni solo se il prezzo relativo dei beni non commerciabili non varierà molto.
La redazione
E vero, leffetto della svalutazione è diverso allinterno del manifatturiero e dipende dallintensità di utilizzo delle materie prime e dallimportanza del costo del lavoro. In macroeconomia si parla di effetto J della svalutazione intendendo che viene prima leffetto negativo sulla bolletta dellenergia importata e poi quello positivo sul costo del lavoro e sullexport. Ma nel 1993 leffetto positivo sullexport si manifestò piuttosto rapidamente.
giulio
L’Italia non esporta perché ha quasi solo produzioni a basso valore aggiunto e su quelle non potremo mai diminuire i costi di produzione fino a raggiungere quelli dei cinesi. Il problema vero è che adesso (giustamente) resiste solo chi fa produzioni ad alto valore aggiunto, di qualità (Germania). Ma per far ciò occorre dare importanza a scienza e tecnologia, e questo non è nella mentalità di un Paese del Sud come è l’Italia. Continuando a disprezzare la Scienza non saremo mai in grado di sfornare prodotti tecnologicamente avanzati: possiamo svalutare quanto ci pare, ma non ce li comprerà mai nessuno, perché i Paesi avanzati (Germania, Giappone, USA, ecc.), a causa della loro netta superiorità scientifica, ne faranno di molto meglio e continueranno a dominare il mercato. Nel 1993 l’apparato industriale italiano dava ancora segni di vita. Oggi gli imprenditori aprono le aziende solo se c’è il decreto legge che gli dà l’incentivo, la rottamazione, l’agevolazione fiscale, ecc., ma produrre non lo sanno fare.
La redazione
L’idea che l’Italia non esporta perchè è specializzata nelle produzione sbagliate non è fondata. Come dimostra il successone della Tod’s, nel corso del tempo le scarpe sono diventate produzioni ad alto valore aggiunto.
Per fortuna non occorre che l’Italia si trasformi nella Germania perchè riusciamo a trovare la nostra strada sui mercati internazionali.
Scaio
Vorrei fare una osservazione al punto ove si dice che un eventuale svalutazione nel 2012 è diversa rispetto al 1993. Allora era solo la lira a svalutarsi rispetto a tutte le valute adesso è l’intera area e quindi non avremmo un vantaggio competitivo nei confronti di questi mercati il vantaggio si limiterebbe alla sola area extra che vale il 55% delle nostre esportazioni. Non sono del tutto d’accordo, se si svaluta l’area tutta l’arera ne beneficia e se noi espiortiamo verso ques’area indirettamente ne veniamo trascinati. In sostanza se aumento export lo avrebbe in misira ancora maggiore la Germania che ci trascinerebbe grazie all’integrazione delle nostre due economie. un saluto
La redazione
Giusto. In effetti le mie stime potrebbero essere “pessimistiche” perchè non contabilizzano l’effetto moltiplicativo sul nostro export della crescita degli altri paesi Emu (indotta dalla svalutazione dell’euro). Allora però bisona contare che anche la maggior domanda di consumo e investimento indotta dalla crescita dell’export sarebbe solo parzialmente soddisfatta con produzione interna (Pil) ma anche con maggiori importazioni.
Piero
La svalutazione dell’euro e’ sicuramente una cosa positiva che puo’ aiutare l’economia italiana, non penso che una svalutazione del 25% possa risolvere il problema italiano, che allo stato attuale e’ sulla sostenibilità del debito statale.
La redazione
Non proprio. Al numeratore del rapporto debito pubblico-Pil in effetti pensa la politica di bilancio: alte tasse e minori spese riducono l’indebitamento nel tempo. Ma se esportiamo di più il Pil andrà meglio e ridurrà per questa strada il rapporto debito-Pil.
Hk
Ci si dimentica che da oltre due anni abbiamo un deficit commerciale di ca 30 miliardi. Anche con la svalutazione non siamo più ai bei tempi del 93. Spero che i professori al governo prendano le decisioni con dati aggiornati….
La redazione
Anche nel 1992 prima della svalutazione avevamo un deficit di bilancia commerciale. La svalutazione, insegnano i libri di macroeconomia serve prima di tutto a questo: a trasformare un deficit di bilancia commercaile (cioè import maggiore dell’export) in un avanzo perchè fa aumentare le quantità esportate e riduce quelle importate
enzo
certo non è facile prevedere l’andamento dei cambi, tuttavia se l’economia europea è tanto bistrattatta sarà pur vero che la domanda di euro diminuirà a favore di altre valute.e poi, non si può dare un aiutino a questa svalutazione? se si stampasse qualche biglietto in più cosa ci sarebbe di male. Senza contare che lo stock dei debiti nazionali resterebbe lo stesso in euro ma diminuirebbe in dollari ed altre valute ,non è molto ma di questi tempi bisogna accontentarsi.
Alan
C’è anche da prendere in considerazione l’elasticità delle esportazioni. Sicuramente le Ferrari e il vino sono merci elastiche, ma tutte le nostre esportazioni sono abbastanza elastiche da portare un beneficio nel breve-medio periodo?
Piero
Per i motivi in oggetto, la svalutazione del 25% aiuta solo un export fuori dall’euro, e’ un export selezionato per le grandi imprese, le piccole avranno dei vantaggi inferiori. All’interno dei paesi euro dobbiamo riflettere se c’e un aumento export c’e un’altro paese euro che aumenta l’import, vi e’ un trasferimento all’interno dell’UE, un paese e’ piu’ ricco e uno e’ piu’ povero, non abbiamo piu’ la leva monetaria che produce il riequilibrio tra i paesi, quindi deve esserci una politica di solidarietà, che allo stato attuale non e’ possibile per mancanza di volonta’ e di un bilancio federale.