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UNA SPENDING REVIEW PER I DEBITI DELLA PA

I ritardi nei pagamenti della Pa verso i fornitori generano gravi danni al sistema delle imprese. Tuttavia, sono incerti sia l’ammontare sia la natura dei debiti. Potrebbe trattarsi di impegni presi nonostante stanziamenti insufficienti di cassa ovvero di competenza. In entrambi i casi, si tratterebbe di somme non registrate nelle statistiche sul debito pubblico. Se i due aspetti non saranno chiariti è difficile si possa arrivare a una soluzione che attenui i problemi delle imprese e corregga i difetti del nostro sistema di gestione e controllo della spesa pubblica.

I ritardi nei pagamenti della pubblica amministrazione verso i fornitori sono al centro dell’attenzione per i gravi danni che generano per il sistema delle imprese. La materia, tuttavia, è incerta per due aspetti fondamentali: l’ammontare e la natura dei debiti. Se questi non saranno chiariti è difficile si possa arrivare a una soluzione che attenui i problemi delle imprese e corregga i difetti del nostro sistema di gestione e controllo della spesa pubblica.

A QUANTO AMMONTANO I DEBITI?

Sull’ammontare dei debiti, circolano stime, in gran parte di fonte giornalistica, comprese tra 70 e 120 miliardi (quest’ultima cifra è stata recentemente presentata dal Corriere della Sera come risultato di un monitoraggio condotto dalla Cassa depositi e prestiti e dalla Consip). In realtà, l’unico settore per il quale esistono stime pubblicate e non evidenza aneddotica è quello della sanità. In uno studio della Confindustria del 2009, i debiti degli enti sanitari verso i fornitori erano stimati in 42,4 miliardi a fine 2007. Nell’indagine della Corte dei Conti del 2010, la stima per il 2007 è più bassa (35,2 miliardi) e quella per il 2008 mostra una riduzione del fenomeno (30,7 miliardi nel 2008); dati provvisori e parziali per il 2009 sembrano, tuttavia, indicare un aumento nell’anno successivo. (1) Altre informazioni ufficiali non ci sono. Non è affatto chiaro, quindi, come si arrivi alle cifre di cui si discute in questi giorni. Né come i debiti siano distribuiti tra i sotto-settori della Pa, in particolare tra ministeri, Regioni (sanità e altro) e comuni.
L’informazione è carente anche su un altro aspetto cruciale: la natura contabile di questi debiti e i loro riflessi potenziali sui conti pubblici. In linea di principio, i debiti verso i fornitori possono derivare da ritardi fisiologici nelle procedure di spesa. In questo caso, le somme sono già state registrate nel bilancio di competenza e non si sono ancora tradotte in uscite di cassa, dando così luogo alla formazione di residui passivi. Naturalmente se nel sistema operano limiti di cassa non coerenti con gli stanziamenti di competenza (in altre parole, se lo stanziamento di competenza è sufficiente ma quello di cassa no) può accadere che i ritardi si allunghino a dismisura. In teoria vi è un limite alla permanenza dei residui passivi in bilancio, uno o due anni nelle varie fattispecie, dopo di che i residui vengono cancellati. È sempre possibile, tuttavia, “resuscitare” i residui (così, nel bilancio dello Stato vi sono fondi speciali per la “reiscrizione dei residui passivi perenti”). Vi è però una seconda possibilità, che si tratti di debiti fuori bilancio. In tal caso, l’amministrazione pubblica avrebbe preso impegni senza copertura, vale a dire per somme superiori agli stanziamenti del bilancio di competenza.
Abbiamo quindi due diverse origini del debito verso i fornitori: impegni presi a fronte di stanziamenti insufficienti di cassa ovvero di competenza. In entrambi i casi, si tratterebbe di somme non registrate nelle statistiche sul debito pubblico. Nel primo caso perché i crediti commerciali non entrano nella definizione di debito pubblico secondo il Sec 95 (per motivi pratici, vista la difficoltà di calcolarne l’ammontare e il fatto che le regole contabili assumono che essi siano per definizione fisiologici e transitori); nel secondo caso perché si tratta di transazioni mai registrate in bilancio. Possiamo essere certi che il fenomeno comprende entrambi i tipi di debito. Nel decreto legge sulle liberalizzazioni vengono stanziati complessivamente 5,7 miliardi per l’estinzione di crediti commerciali maturati nei confronti dei ministeri. (2)
Il decreto distingue chiaramente i due tipi di debito:
1) “il pagamento (…) corrispondente a residui passivi del bilancio dello Stato” (comma 1), per il quale sono stanziati 4,7 miliardi (di cui 2 miliardi sotto forma di titoli di Stato) per rimpinguare i fondi speciali per la reiscrizione dei residui passivi perenti.
2) “l’estinzione dei crediti (…) il cui pagamento rientri, secondo i criteri di contabilità nazionale, tra le regolazioni debitorie pregresse e il cui ammontare è accertato con decreto del ministero dell’Economia e delle Finanze” per 1 miliardo (comma 2). Le regolazioni debitorie pregresse sono, per l’appunto, debiti per forniture di beni e servizi avvenute in anni precedenti e all’epoca non registrate in bilancio.
L’intervento del Dl sulle liberalizzazioni affronta il problema per i debiti dei ministeri, peraltro non è chiaro se lo faccia in misura esaustiva. L’opinione generale è, in ogni caso, che gran parte dei debiti riguardino sanità ed enti locali. Proposte di soluzione ne sono state avanzate diverse, dall’obbligo per le amministrazioni di pagare entro una certa data a quello di certificare i debiti in modo da consentire ai creditori di cederli, scontati, a intermediari finanziari. È evidente che operazioni siffatte, almeno per i debiti del secondo tipo, si rifletterebbero sul livello ufficiale del debito pubblico. Perciò occorre, prima di valutare possibili soluzioni, conoscere entità e soprattutto composizione del fenomeno.

TAGLI INGENTI

Ma anche ammettendo di trovare una soluzione per il passato, ci si deve interrogare su come evitare che la questione si riproponga in futuro. Come è possibile che gli amministratori prendano impegni senza avere risorse in bilancio? Di per sé, evidentemente, è un comportamento illegale. Un comportamento che, tuttavia, non deve essere così inusuale se nel 2009 si è sentita la necessità di stabilire per legge che “al fine di evitare ritardi nei pagamenti e la formazione di debiti pregressi, il funzionario che adotta provvedimenti che comportano impegni di spesa ha l’obbligo di accertare preventivamente che il programma dei conseguenti pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica; la violazione dell’obbligo comporta responsabilità disciplinare ed amministrativa. Qualora lo stanziamento di bilancio, per ragioni sopravvenute, non consenta di far fronte all’obbligo contrattuale, l’amministrazione adotta le opportune iniziative, anche di tipo contabile, amministrativo o contrattuale, per evitare la formazione di debiti pregressi”. (3) Insomma, può accadere che le risorse di bilancio, che erano adeguate quando si stipulò un contratto pluriennale con un fornitore, siano diventate insufficienti l’anno successivo per effetto di una riduzione dello stanziamento. Così, per fare qualche esempio, un taglio alla spesa per consumi intermedi del ministero dell’Interno può rendere lo stanziamento insufficiente a pagare le spese per i canoni di affitto dei commissariati di Ps, senza che nessuno abbia deciso di chiudere qualche commissariato. Oppure, può trattarsi di una Asl che non ha più risorse sufficienti a pagare i fornitori di materiali per gli ospedali. O ancora di un comune che, obbligato dal Patto di stabilità interno a ridurre la sua spesa totale, non è più in grado di soddisfare obbligazioni contrattuali che aveva preso a fronte di una disponibilità di bilancio prima giudicata sufficiente. A quel punto l’amministrazione ha due scelte possibili: o, come richiede la norma richiamata, adotta le opportune iniziative per rivedere i contratti o per ridurre altre spese oppure chiede alle imprese di continuare a fornire i beni oggetto del contratto e di pazientare per il pagamento.
La morale è che tagli sulla carta se non sono accompagnati da una riconsiderazione delle attività svolte possono dar luogo alla formazione di debiti sotto la linea. I tagli di bilancio devono essere supportati da un piano industriale per essere credibili. Altrimenti si rischia di generare un gioco perverso tra autorità di bilancio e centri di spesa: più è severo il taglio di bilancio meno probabile è che questo sia effettivo.
Cosa fare allora? Innanzi tutto una spending review che prima ancora di ricercare nuove risorse finanziarie dalla riduzione della spesa parta dalla consapevolezza che i tagli decisi dalle ultime manovre sono stati di rilievo. Rispetto al consuntivo 2010, la spesa primaria nel 2014 dovrebbe essere inferiore di 3 punti di Pil (con un Pil quasi stagnante): un risultato che si potrà anche ritenere insufficiente, ma che comunque non ha precedenti negli ultimi decenni. Il primo compito di una spending review dovrebbe essere quello di consolidare questi obiettivi evitando che in parte siano vanificati dalla creazione di debiti sommersi.
Vi sono poi misure da prendere a livello contabile e di gestione. Vanno responsabilizzati gli amministratori rendendo cogente la disposizione del Dl 78/2009 sopra ricordata ed estendendola a tutte le amministrazioni, incluse quelle locali e della sanità (superando eventuali limiti, se ve ne sono, di ordine costituzionale). Va infine riordinato il sistema di bilancio dando rapida attuazione alla riforma del 2009, rendendo coerenti competenza, cassa e gestione di tesoreria dello Stato. Per inciso, il fatto che Regioni ed enti locali a fronte di debiti verso i fornitori di dimensioni così ragguardevoli presentino giacenze nei propri conti presso la Tesoreria statale dell’ordine di grandezza di un centinaio di miliardi rende davvero poco comprensibile la razionalità del sistema.

(1) Corte dei Conti, Relazione sulla gestione finanziaria delle regioni. Esercizi 2008-2009.
(2) Dl n. 2 del 24 gennaio 2012, art. 35.
(3) Dl 78/2009, art. 9. È interessante (e difficile da comprendere), tuttavia, come la stessa norma stabilisca che “le disposizioni del presente punto non si applicano alle aziende sanitarie”.

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13 commenti

  1. GUIDO BERTOLINI

    L’articolo dimentica di prendere in considerazione la distorsione dovuta alla normativa sul Patto di Stabilità Interno che spinge gli Enti locali a ritardare i pagamenti per poter rispettare la normativa. Il costante incremento dell’obiettivo da raggiungere non fa che aggravare il problema. Se non si escludono le pese per investimento dal computo non sarà possibile ottenere significativi miglioramenti.

  2. Luigi Oliveri

    Il testo dell'articolo 9, comma 2, del d.l. 78/2009, convertito in legge 102/2009 è: "nelle amministrazioni di cui al numero 1, al fine di evitare ritardi nei pagamenti e la formazione di debiti pregressi, il funzionario che adotta provvedimenti che comportano impegni di spesa ha l'obbligo di accertare preventivamente che il programma dei conseguenti pagamenti sia compatibile con i relativi stanziamenti di bilancio e con le regole di finanza pubblica; la violazione dell'obbligo di accertamento di cui al presente numero comporta responsabilità disciplinare ed amministrativa. Qualora lo stanziamento di bilancio, per ragioni sopravvenute, non consenta di far fronte all'obbligo contrattuale, l'amministrazione adotta le opportune iniziative, anche di tipo contabile, amministrativo o contrattuale, per evitare la formazione di debiti pregressi. Le disposizioni del presente punto non si applicano alle aziende sanitarie locali, ospedaliere, ospedaliere universitarie, ivi compresi i policlinici universitari, e agli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico pubblici, anche trasformati in fondazioni".
    Si applica pienamente agli enti locali e, incredibilmente, non si applica proprio agli enti del servizio sanitario nazionale.
    Il patto di stabilità, che limita i pagamenti in conto capitale, è la prima causa dell'aumento dei ritardi di pagamenti.

  3. marco

    Quanto letto è molto grave- Inanzitutto penso che lo Stato debba dare l’esempio ed essere virtuoso e preciso nei pagamenti- Se lo Stato non è corretto non può pretendere correttezza e puntualità dai suoi cittadini (vedi capitolo Equitalia) e,sopratutto, non è più credibile- Ma se lo Stato non è corretto evidentemente non lo è perchè è gestito da gente scorretta: come mai nello Stato c’è gente scorretta?Forse sarà sfuggito a vossignori professori della Bocconi, proprio oggi che si celebrano i 20 anni da tangentopoli, che negli ultimi mesi il parlamento è stato settimanalmente impegnato a impedire l’arresto di sospetti delinquenti che sono al suo interno: poveri camorristi, mafiosi, ladri e corruttori; forse c’è un piccolissimo problema di reclutamento?! Forse bisognerebbe fare una normativa seria contro la corruzione come vuole la UE? Ultima cosa; il problema non è ridurre la spesa pubblica in assoluto; il problema è tagliare la spesa improduttiva ovvero l’opposto di quello che ha fatto il governo Berlusconi che ha tagliato settori produttivi e strategici che casomai andavano riorganizzati-ci vuole proprio la spending rewiew per capire dovesi annidano i grossi grassi sprechi?!

  4. Bruno

    Il costo dei ritardi nei pagamenti della PA è solitamente già compreso nel prezzo (maggiorato) che la PA paga per beni e servizi La multinazionale di Informatica per cui lavoravo aveva un apposito listino maggiorato per la PA, appunto perchè pagava in ritardo. I fornitori sanno che la PA è un ottimo cliente, paga in ritardo, però paga, ha difficoltà nel valutare il valore effettivo di ciò che acquista, e spesso strapaga, è facilmente “malleabile” per non dire di peggio. Il mitico contratto consip con la karnak (filibustieri) parla da solo, i CD vergini per esempio, venivano pagati circa il decuplo del loro valore di mercato. Basta piangersi addosso!

  5. Roberto Santilli

    “Abbiamo quindi due diverse origini del debito verso i fornitori: impegni presi a fronte di stanziamenti insufficienti di cassa ovvero di competenza.” Egr. prof. Pisauro, Ho letto con vivo interesse il suo interessante articolo e mi preme fare tre osservazioni: 1) Somme impegnate > Somme non stanziate in conto competenza: tale ipotesi non trova riscontro pratico poiché nessun funzionario pubblico avrebbe interesse a porre in essere un atto illegitttimo e al tempo stesso inutile (al più, il funzionario pubblico contrae in assenza di impegno); 2) Pagamenti da effettuare > Stanziamenti di cassa: si tratta della causa più frequente di nascita dei debiti fuori bilancio e quasi sempre dipende dal fatto che i tagli agli stanziamenti di cassa avvengono senza una accurata analisi delle obbligazioni preesistenti (e legittimamente assunte); 3) I debiti fuori bilancio assumono rilevanza contabile solo nel momento in cui viene accertata la loro legittimità e ciò può avvenire solo in un ristretto numero di ipotesi tipizzate dalla legge (es. sentenza passata in giudicato, ricapitalizzazione di società in perdita, etc., etc.). Molti debiti fuori bilancio sono nati a causa della politica dei tagli lineari. Le ridotte assegnazioni di cassa hanno spesso impedito ai centri di spesa di effettuare pagamenti di obbligazioni contrattuali legittimamente e regolarmente assunte (es. pagamenti periodici di canoni di locazione). La questione della responsabilizzazione del funzionario pubblico è, a mio avviso, un aspetto marginale del problema: la vera questione è come ridisegnare una governance di bilancio ferma ai temoi di Cavout e renderla compatibile con il sistema delle autonomie ridisegnato dalla riforma del Titolo V. Cordiali saluti Roberto S.

  6. Dario Quintavalle (Twitter: @darioq)

    Dirigente di un Tribunale che sopravvive con pochi soldi per le spese di funzionamento essenziali (=la carta igienica, questa sconosciuta) vorrei fare le seguenti osservazioni sui meccanismi di spesa finale.
    1) Inutilità del portale CONSIP: esiste il mercato;
    2) separazione tra chi impegna la spesa e chi materialmente paga, e quindi tra competenza e cassa; in soldoni, spendo soldi che non sono nelle mie tasche: il fornitore lo sa e ricarica sui prezzi il tempo che gli ci vorrà per essere rimborsato. Di fatto, la PA acquista a credito;
    3) assenza di un meccanismo premiante che incentivi i risparmi: se non spendo tutto le somme assegnate, l’anno prossimo me le ridurranno;
    4) spariti i contanti: così se devo comprare una biro, me ne devo far venire almeno mille;
    5) no budgeting: apprendo quanto potrò spendere solo alla fine dell’anno in corso, impossibile fare previsioni. Il mio sogno? Avere dall’amministrazione una carta di debito ricaricabile, e poter fare gli acquisti sul mercato libero: andrei dai fornitori più economici, contratterei come un beduino, ma pagherei cash e porterei in ufficio quello che mi serve.

  7. Mario D.

    Nella discussione bisogna tener presente che i bilanci pubblici sono bilanci finanziari e in più è necessario distinguere fra bilancio di previsione e consuntivo. Tutti i bilanci di previsione sono approvati in pareggio entrate=uscite, fra le entrate sono comprese anche quelle da contrazione di nuovi debiti ma il patto di stabilità interno e i trattati europei limitano questa fonte. Ora una prassi scorretta (e diffusa) è quella è di sovrastimare le previsioni di entrata assicurando per questa via un elevato livello di spesa. Questo a consuntivo può determinare accertamenti inferiori agli impegni o nel migliore dei casi uguali, ma anche in quest’ultimo caso alcuni residui attivi rappresentano crediti poco esigibili e i residui passivi rappresentano gli impegni non pagati perché sostanzialmente in eccesso. Ora la gestione residui sembrerà pure in pareggio ma questo determinerà squilibri di cassa e bilanci poco credibili. I condoni del 2003 penso siano un esempio di questa strategia.

  8. girolamo caianiello

    Qualcuno ricorderà il “collegato” alla LF (l.449/97), che al comma 16 dell’art.54, riguardo a pagamenti non ancora constabilizzati, rinviò al momento in cui lo fossero anche l’iscrizione delle relative autorizzazioni della competenza, facendo scomparire perciò dal conto dei residui passivi degli anni effettivamente interessati -per un periodo a discrezione del Governo- debiti non solo contratti, ma addirittura già di fatto pagati in virtù di automatismi consentiti dal sistema. Non so se questa norma -criticatissima dalla Relazione della Corte Dei conti come riportato dalla stampa- venga tuttora applicata. All’epoca comunque gli importi “scomparsi” dal passivo furono intorno ai 40mila miliardi (ovviamente di lire).

  9. Bruno Vivi

    Mi lascia perplesso la dimenticanza dell’esistenza patto di stabilità interno nell’articolo. Molti enti locali hanno ritardi di pagamento e soldi in cassa, non per spese imprudenti o gestione inefficiente, ma perché costretti da questo meccanismo infernale.

  10. marco

    Ma vorrei spendere due parole su quanto costano alla società i Dirigenti, nel ns comune quello che prende meno si chiappa 100.000 euri netti in busta, quindi ne abbiamo 8, fate un po i conti in totale tra stipendi, contributi, premi, incentivi e voci varie. In piu c’è il Direttore Genetrale che ne costa un’altra barcata, ed allora le amministrazioni pubbliche devono mettere a casa piu dei 2/3 della classe dirigente perchè basta il D. G. e qualche funzionario per stabilire i programmi della P.A. di quel paese o città. Con quel risparmio si potrebbe fare piu investimenti sui giovani da far lavorare e piu investimenti in opere pubbliche.

  11. girolamo caianiello

    Scusatemi la nuova intrusione, ma nel precedente messaggio mi è sfuggito di precisare che la quota di residui passivi cancellati, già di fatto pagata anche per gli automatismi del sistema, era in buona parte collegata a residui attivi, in attesa di conteggi a saldo (specialmente nei rapporti con le Regioni). Questi ultimi non furono anch’essi cancellati, aggravando il fittizio miglioramento nei conti della competenza (fra l’altro senza corrispondenza nelle scritture regionali).

  12. marco

    Confemo quanto scritto sul mio post precedente, sull’elevato costo dei dirigenti pubblici, (invenzione politica) e sul loro disastroso numero! Vanno eliminati uno ad uno dove possibile, e dove non possibile vanno rivisti i metodi di retribuzione, inasprimento delle tasse sul ‘troppo elevato guadagno’, tutto a beneficio della collettività intera. Ci sono ‘TROPPI GIOVANI’ che per colpa anche di questa situazione, come altre, non hanno la possibilità di lavorare sotto ogniqualsivoglia forma, di contratto. Per favore si vuole a livello istituzionale provvedere, grazie.

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