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LA RIFORMA DEL PRINCIPE DI SALINA

La riforma del lavoro ha due pregi e molti difetti. I pregi consistono nell’aver messo fine al potere di veto delle parti sociali e nell’ampiezza dei temi affrontati. Sull’articolo 18, le nuove norme danno più potere ai giudici e aumentano l’incertezza. Non si allarga la platea dei potenziali beneficiari degli ammortizzatori sociali. Gli interventi sul dualismo possono peggiorare la condizione dei lavoratori e aggravano i costi delle imprese senza offrire una vera nuova modalità contrattuale in ingresso. Con il rischio che tutto questo riduca fortemente la domanda di lavoro.

La riforma del lavoro che si va delineando ha due pregi e molti difetti.
Il primo pregio è nel metodo. Sancisce, almeno sulla carta, la fine del diritto di veto delle parti sociali. Il lungo negoziato si concluderà senza firme, ma con un verbale in cui si annotano le differenti posizioni. E poi il governo procederà comunque. Staremo a vedere se il Parlamento permetterà all’esecutivo di intervenire senza il consenso delle parti sociali. Sembra, infatti, che si procederà non per decreto – come sin qui previsto nel caso di accordo – ma per legge delega e sappiamo quanto lungo, tortuoso e spesso inconcludente sia il loro processo di attuazione . Ad ogni modo, la novità è importante e positiva: le parti sociali non possono porre il veto su materie di portata così generale.
Il secondo pregio è nell’ampiezza della riforma. I problemi da affrontare erano quattro: 1) l’entrata nel mercato del lavoro 2) la cosiddetta “flessibilità in uscita” 3) il riordino degli ammortizzatori sociali e 4) il dualismo fra lavoratori precari e lavoratori assunti con i contratti di lavoro a tempo indeterminato. La riforma indubbiamente affronta tutti questi temi.
Purtroppo questa ampiezza avviene a scapito della profondità e si ha come l’impressione di un intervento voluto dal principe di Salina, “affinché tutto cambi perché nulla cambi”, per accontentare gli investitori esteri con il tabù infranto dell’articolo 18 e l’opposizione ricercata della Cgil (segnale del fatto che “è una riforma vera”), ma volendo di fatto conservare lo status quo. Vediamo perché, iniziando dalla flessibilità in uscita, dall’articolo 18.

L’ARTICOLO 18 E LE NUOVE REGOLE DELLA ROULETTE

La riforma dell’articolo 18 non riduce l’incertezza per le imprese dal partecipare alla roulette russa del licenziamento. La nuova norma, stando a quanto dichiarato dal ministro Fornero e ai testi circolati sino a oggi, lascia in vigore il fronte esistente tra licenziamento giuridicamente legittimo e illegittimo, ma ne apre uno nuovo: quello della distinzione fra licenziamenti economici individuali e licenziamenti disciplinari. Fino a oggi, il lavoratore licenziato in maniera illegittima non aveva interesse a chiedere di far valere la distinzione fra licenziamento disciplinare e licenziamento economico. Con la nuova norma, la distinzione diventa cruciale. Col licenziamento disciplinare, infatti, il lavoratore è maggiormente compensato e, giudice permettendo, può essere reintegrato. La distinzione fra licenziamento economico e disciplinare è nella pratica molto labile. Chi è davvero in grado di stabilire se un lavoratore è poco produttivo perché lavora male (licenziamento disciplinare) o perché inserito in un’unità in crisi in cui non può “dare di più” (licenziamento economico)? In verità, tutte e due le ragioni sono sempre vere, altrimenti l’azienda non lo avrebbe licenziato. Per questo il contenzioso inevitabilmente finirà per riguardare anche la qualifica, economica o disciplinare, del licenziamento.
Insomma, con la riforma si trasferisce un potere enorme ai giudici che, d’ora in poi, dovranno prendere le seguenti decisioni:

  1. Se il licenziamento è legittimo o illegittimo.
  2. Nel caso in cui fosse illegittimo, se è discriminatorio o non discriminatorio.
  3. Nel caso in cui non sia legittimo e non discriminatorio, se il licenziamento è economico o disciplinare.
  4. Nel caso in cui il licenziamento sia disciplinare, se si deve imporre la reintegrazione o solo il risarcimento del lavoratore.

Si aumenta così l’incertezza del procedimento e molto probabilmente la sua lunghezza anche perché interverrà obbligatoriamente un tentativo di conciliazione. Chi guadagnerà veramente dalla  riforma non saranno né le imprese, né i lavoratori, bensì gli avvocati specializzati in cause di lavoro.
Rimane l’incentivo per le imprese a procedere a licenziamenti collettivi anziché individuali. I primi costano molto di meno dei secondi. È paradossale che la legge incoraggi le imprese a decidere licenziamenti in massa anziché a graduarli nel corso del tempo onde ridurre gli effetti negativi sul mercato del lavoro locale. Infine, nulla cambia per le piccole imprese, quelle con meno di 15 addetti, a dispetto da quanto dichiarato dal ministro Fornero. I licenziamenti discriminatori erano nulli per queste imprese già prima della riforma.

IL MANCATO RIORDINO DEGLI AMMORTIZZATORI

Non c’è allargamento nella platea dei potenziali beneficiari degli ammortizzatori sociali, estesa dalla riforma ai soli apprendisti e artisti-dipendenti, meno di 300mila persone in tutto. I lavoratori a progetto e i precari continueranno a essere esclusi. Non c’è riordino degli strumenti esistenti. Ad esempio, non verrà abolita la cassa integrazione straordinaria, né di fatto la cassa integrazione in deroga, che è destinata a trasformarsi in un ampio numero di fondi di solidarietà, presumibilmente uno per settore produttivo. Né viene soppresso il sussidio di disoccupazione a requisiti ridotti e l’indennità speciale per i lavoratori agricoli e nell’edilizia, che servono oggi per lo più a integrare i salari di chi già lavora, piuttosto che ad aiutare chi ha perso il lavoro e ne sta cercando un altro. Vero è che la riforma si propone di dare i sussidi solo a chi è disoccupato, ma non è chiaro come si raggiungerà questo obiettivo tenendo in vita strumenti (e amministrazioni che li gestiscono) che sin qui hanno operato in modo molto diverso.
L’obiettivo essenziale di una riforma degli ammortizzatori deve essere quello di costruire pilastri assicurativi che siano in grado di reggersi sui contributi degli assicurati, lavoratori e imprese. L’equilibrio finanziario degli strumenti non deve necessariamente valere anno per anno, ma nell’ambito di un intero ciclo economico. Un buon sistema dovrebbe accumulare dei surplus durante i periodi di crescita, se necessario aumentando i contributi di lavoratori e imprese quando l’economia tira, e usare i surplus per pagare i sussidi e ridurre i contributi di lavoratori e imprese durante le recessioni. Il tutto senza richiedere l’intervento della fiscalità generale. Questa deve servire solo per finanziare l’assistenza sociale di base, quella riservata a chi ha esaurito il periodo di fruizione massima delle assicurazioni sociali, schemi a orario ridotto e sussidi di disoccupazione, e altrimenti cadrebbe in condizione di povertà.
Avevamo già sostenuto che la recessione non è il momento migliore per avviare queste riforme. Si rischia, infatti, di far decollare nuovi strumenti che sono strutturalmente in passivo e che richiederanno, ben oltre la recessione, trasferimenti dalla fiscalità generale. Siamo sicuri che nell’ambito della trattativa sono state svolte simulazioni dei costi dei nuovi strumenti e delle entrate contributive che verranno loro destinate. Sarebbe opportuno rendere edotti di queste stime tutti i contribuenti, dato che rischiano di doverci mettere altro, non preventivato, di tasca loro.

IL DUALISMO PRECARI NON PRECARI E IL “PARADOSSO” DEL COSTO DEL LAVORO

La riforma ridurrà in parte le differenze tra lavori precari e non. I lavori precari costeranno di più in termini di contributi, sia nel caso di contratti a tempo determinato che di lavori a progetto. Ciò avviene aumentando il cuneo fiscale, la differenza tra costo del lavoro pagato dalle imprese e reddito netto percepito dal lavoratore. Nel caso di un vero riordino degli ammortizzatori, l’aumento dei contributi avrebbe potuto apparire ai lavoratori come un premio assicurativo piuttosto che una tassa. Così il legame fra contributi e prestazioni sarà tutt’altro che evidente.
In assenza di un salario minimo, nel caso di lavoratori a progetto e altri lavoratori parasubordinati, il maggiore carico contributivo potrà facilmente essere fatto pagare al dipendente sotto forma di salari più bassi. I lavoratori parasubordinati stanno già ricevendo lettere dai datori di lavoro in cui si annunciano riduzioni del loro compenso nel caso di riforme che aggravino i costi delle imprese.

I MECCANISMI DI ENTRATA

Il meccanismo principale di entrata sarà quello dell’apprendistato. È un contratto che offre poche protezioni durante il periodo formativo, perché può essere interrotto al termine del periodo di apprendistato senza alcun indennizzo. Inoltre si applica soltanto ai giovani fino a 29 anni, mentre oggi più del 50 per cento dei lavoratori precari ha più di 35 anni. Le parti sociali si aspettano anche un alleggerimento fiscale per l’apprendistato. Quello di aver aperto il portafoglio è stato forse il maggiore errore negoziale fatto del governo, poiché non è servito nemmeno a “comprare” il consenso delle parti sociali. E avrà effetti negativi sul deficit di bilancio. Non c’è neanche il gradualismo nelle tutele, il loro incremento progressivo con l’anzianità di servizio che avrebbe incoraggiato i datori di lavoro a offrire fin da subito contratti a tempo indeterminato.
In conclusione, gli interventi sul dualismo possono peggiorare la condizione dei lavoratori duali e aggravano i costi delle imprese senza offrire una vera e propria nuova modalità contrattuale in ingresso. Tutto questo rischia di ridurre fortemente la domanda di lavoro.
La vera sconfitta e il vero paradosso sarebbe proprio quello che la grande riforma non solo cambi tutto per non cambiare nulla, ma addirittura riduca il numero dei lavoratori occupati.

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30 commenti

  1. cristiana

    Interessantissima, molto coraggiosa ed intellettualmente onesta l’analisi .Molto intrigante ed azzeccato il titolo . Sarebbe molto interessante ora conoscere le correzioni proposte dagli autori per poter meglio valutare e seguire le proposte di modifica del testo nel suo iter parlamentare.

  2. helmut

    Per giudicare la proposta del governo dobbiamo prima capirne le motivazioni. Siccome, come segnala il Prof Boeri non c’è nulla nella riforma che sia utile alla crescita del nostro paese significa che c’è altro. Infatti ci sono due importanti ragioni per la riforma (dal punto di vista di Monti). Primo. Spostare il costo degli ammortizzatori sociali dallo stato alle imprese per alleggerire il bilancio pubblico. (vedi indennità esagerate che non hanno pari al mondo). Credo abbiamo tutti notato la particolare enfasi con cui evidenzia nei suoi discorsi la riforma degli ammortizzatori. Secondo. Consentire, in particolare alle istituzioni bancarie,di ridimensionare gli organici ormai spaventosamente inflazionati. Da imprenditore il messaggio che ricevo è. Nuove assunzioni: NO, grazie!

  3. cec

    A fronte dei difettucci elencati, mi sfugge totalmente il senso dei pregi: dove sta il pregio del non aver ascoltato le parti sociali (“una” parte sociale, visto che i difetti gravano tutti sui lavoratori, come ben descrivete) e dell’aver fatto una riforma ad ampio raggio, se l’esito di questo “metodo” è disatroso? Inoltre, tengo fortemente a sottolineare l’infelicità dell’espressione: non è certo per le imprese che una procedura di licenziamento è “una roulette russa”: di fronte alla canna della pistola ci sta la tempia del dipendente. Esigo – sì, le esigo – delle scuse.

  4. Sergio Barozzi

    Una delle modifiche più dirompenti che emerge dal testo in circolazione (comma 7) prevede che sarà possibile licenziare senza motivazione e senza preventiva contestazione delle mancanze (quindi saltando la procedura di contestazione disciplinare ex art. 7 dello Statuto). Infatti in caso di mancata specificazione dei motivi del licenziamento e di mancata osservanza della procedura il datore di lavoro ha la possibilità di fornire queste informazioni in sede di giudizio, con la sola sanzione, nel caso in cui il giudice accertasse la legittimità del licenziamento disciplinare motivato a posteriori, di un’indennità risarcitoria onnicomprensiva tra un minimo di tre ed un massimo di sei mensilità. Norma questa che toglie il marchio dell’inefficacia al licenziamento immotivato o non rispettoso della procedura. Si tratta di una norma che contrasta con i principi di civiltà giuridica e probabilmente incostituzionale alla luce delle sentenze della Corte Costituzionale sulla efficacia erga omnes del’art. 7 dello Statuto e della quale francamente non si sentiva la mancanza in un contesto di riforma che vuole favorire i licenziamenti per motivi economici.

  5. Francesco

    Non trovo corrette alcuni punti dell’articolo. 1) La giurisprudenza interviene quando c’è un abuso, quindi quando c’è una deviazione dalla regola. La riforma introduce una nuova regola sull’art.18 che potrebbe influenzare il comportamento delle imprese e, di conseguenza le reazioni giudiziarie del lavoratore. Mi spiego. Nel caso di licenziamenti, l’impresa ci penserà ben due volte prima di mascherare un licenziamento disciplinare con uno economico perchè in entrambi i casi deve risarcire il lavoratore, ma se fa la sciocca il giudice può prevedere il reintegro (aglio per i vampiri). Questo porterà a valutare meglio i casi di licenziamento economico, riducendo le ritorsioni giudiziarie. D’altronde se non le riducesse, la CGIL non sarebbe contraria. 2) L’ampiezza degli ammortizzatori è ovvio che si amplierà, perchè l’economia non è statica: sono previsti più apprendisti e maggiore mobilità per la maggiore facilità di licenziamento. Su questi due punti, mi pare che ci sia poca precisione nella critica.

  6. Armando Rossi

    L’aver censurato il potere di veto “di una parte sociale” è ben lungi dall’aver posto fine al potere di veto “delle parti sociali”. L’intervento nell’area delle “liberalizzazioni” indica tutt’altro. Si tratterebbe di “pregio” se si pensasse ad un esecutivo che fosse sempre “terzo” tra le parti, se si pensasse che i partiti potesse rappresentare altro da ciò che storicamente (e logicamente) hanno rappresentato: lo strumento di intermediazione, nel contenzioso “politico”, di interessi specifici di parte della società, senza presunzione di interpretare le esigenze dell’intera collettività, se non quelle, al più, sulle regole generali…

  7. michele

    bisognera vedere i testi finali: “the devil is in the details”. da quello che appare fin qui, è una riforma che non migliora quasi nulla per i precari e quanto meno rischia di precarizzare quelli fin qui protetti. Il punto di fondo però è un altro: la flessibilità non può essere a senso unico: il lavoratore quando le cose vanno bene alla sua azienda, guadagna un salario essenzialmente fisso; quando poi le cose vanno male (in genere non per responsabilità sua) allora deve essere flessibile e perdere il suo compenso (o comunque vederlo ridotto). Cosi non va. Non sono d’accordo con Boeri: questa riforma non è vero che non cambia nulla; il suo scopo lo raggiunge: facilitare una progressiva, consistente riduzione generalizzata dei salari. Peccato che sia una visione molto miope, come invece ha insegnato The five-dollar workday di Henry Ford

  8. francesco burco

    … del governo monti. a questo punto era meglio non toccare niente e dedicare gli ultimi mesi di governo effettivo ad altro. andava riformato il 18 molto meglio… un lavoratore non si deve permettere di lavoricchiare, tanto vienimi a dire qualcosa ci pensa il giudice e poi c’ho un amico avvocato…e CMQ il problema n. 1 è sempre lo stesso avvocati, magistrati, professori universitari, dipendenti fancazxisti, municipalizzati, politici di tutti i grneri, monopolisti con lo stato che rimborsa le perdite, minzolini e politi, tutta questa gente che campa sulla pelle della gente produttiva, capace, appassionata non si può più sostenere…non esistono ricette per mantenere tutta xta zavorra

  9. Maria

    Si sente solo parlare di giovani,il lavoro è un diritto di tutti.Io sono una donna 44enne disoccupata e vivo con i miei,non saprei come mantenermi altrimenti,chiedo:chi sarà disposto a darmi lavoro con questa aberrante riforma discriminatoria?Perchè non vengono studiate opportune agevolazioni alle imprese in caso di assunzione di personale non più giovincello?Chi si ritrova a 50 anni senza lavoro e con famiglia,e ce ne sono parecchi,come dovrebbe vivere?Come dovremmo vivere?O forse è meglio morire?

  10. Dino Battistuzzo

    vorrei sapere come mai i dipendenti pubblici sono esenti da questa riforma dell’articolo 18.Grazie

  11. Pietro Vannoni

    Ma che senso ha il punto 3? Cosa vuol dire che nel caso il licenziamento sia illegittimo il giudice deve decidere se sia economico o disciplinare? Se è illegittimo non sarà nè l’uno nè l’altro!

  12. SAVINO

    La situazione occupazionale in Italia è di estrema urgenza. Chi da anni non riesce a trovare lavoro è scoraggiato e depresso e molte volte arriva all’insano gesto del suicidio. Ci sono giovani che muoiono in incidenti nel montaggio dei palchi per i cantanti per garantirsi da sopravvivere percependo pochi euro l’ora in nero. In questa situazione, si richiede a chi ha la fortuna di avercelo un lavoro fisso di apprezzarlo un pò di più e di metterci un pò di più di impegno e di diligenza in modo tale da garantire quei livelli di produttività che non costringano l’imprenditore a licenziamenti di tipo economico, nonchè a comportamenti individuali più seri, che non diano il destro all’imprenditore per licenziare in via disciplinare.

  13. angelo matellini

    mi sembra un passo laterale, non migliora né peggiora la situzione. speriamo che una volta assopiti gli ultras si faccia la riforma che dovrebbe principalmente non discriminare in base al datore di lavoro pubblico o privato ma in base agli investimenti fatti dai lavoratori e dalle imprese quando stipulano un contratto.

  14. Alessandro Vinci

    Molto d’accordo con le osservazioni del lettore Michele. In più aggiungerei che questi provvedimenti sono molto orientati a modificare il costo del lavoro con la convinzione che basti ciò ad incrementare l’occupazione. In effetti manca del tutto il capitolo della formazione e della riqualificazione professionale. Se un disoccupato, ma anche un lavoratore parziale o precario o uno scoraggiato (che non risulta nelle forze di lavoro) non viene coinvolto in percorsi di apprendimento su professionalità specifiche/tecniche o su competenze generali (informatica e lingue straniere), questi rimarrà sempre ai margini della società. Ciò non è un danno solo individuale, perché con milioni di mancati lavoratori rimarremo con una bassa domanda ed una bassa crescita.

  15. Ugo Pellegri

    Ogni giorno che passa le critiche aumentano. La cigl, come al solito, per non rischiare una spaccatura con la fiom dice no per principio. Gli altri sindacati cambiano idea ogni giorno per paura di perdere la loro base. Il pd non può certo permettersi di alienarsi le simpatie del sindacato. I giornalisti, nella stragrande maggioranza, ritengono sia più gratificante stare con chi strilla di più. I professori anche loro, con qualche apprezzabile esclusione, forse per gelosia professionale criticano spesso ferocemente. Il prof. Monti ha sempre detto che per fare riforme di questo genere occorre dare uno schiaffo a sinistra ed uno a destra. L’alternativa è rimanere fermi cercando un ottimo irraggiungibile. Quindi ben venga quanto fanno i professori Monti e Fornero a meno che, a situazione data, i professori Boeri e Garibaldi sappiano fare meglio.

  16. Alliandre

    E vai con un altro aumento della Gestione Separata INPS “per i cocopro”. Come se non sapessero che ci sono dentro anche partite IVA *vere* che non hanno l’azienda che gli paga i 2/3 (quando va bene). Per noi è un’aliquota troppo alta. E se alzo i prezzi per coprirla perdo i clienti. Come se non sapessero che questa aliquota è stata aumentata più e più volte negli anni e *non è servito a niente* perché semplicemente le aziende la riversano sul lavoratore e non la pagano. Come se non sapessero che, ancora una volta, serve solo a far cassa sulle spalle dei più deboli.

  17. Enzo Pisano

    Desidero esprimere il mio pensiero sull’art. 18: ritengo che laddove ci si trovi in presenza di un comportamento illegittimo questo vada rimosso e ricostituito e solo nell’impossibilità di poterlo ripristinare il medesimo vada adeguatamente risarcito. Sembra logico in un mondo di antica civiltà giuridica ma probabilmente, in una realtà di economia terzomondista, non lo è. Nell’articolo in esame si afferma che la distinzione tra licenziamento economico e disciplinare nella pratica è molto labile. In verità il licenziamento disciplinare ha una sua specifica procedura che prevede una precisa contestazione degli addebiti al lavoratore per aver infranto un regolamento e/o esser venuto meno ai propri doveri e, pertanto, non può (potrà) in alcun modo essere confuso con un licenziamento per motivi economici che, per quel che abbiamo letto sui giornali, riguarderebbe casistiche soggette a confronto con le organizzazioni sindacali. La discussione, quindi, non può riguardare i comportamenti illegittimi e il loro indennizzo, anche perché vedo una contraddizione nell’intenzione di voler perseguire le illegalità mentre la legalità verrebbe concettualmente attenuata per l’art. 18! Restando fermo il principio del reintegro del licenziamento disciplinare dichiarato illegittimo, la discussione va centrata sull’adeguatezza delle motivazioni dei licenziamenti economici, sui paletti da mettere per evitare abusi, su come proteggere e reinserire il lavoratore che si trovi a dover perdere il posto.

  18. francesco

    Ottima analisi la vostra. La riforma è fatta male perchè non raggiunge gli obiettivi dichiarati o è fatta bene perchè raggiunge obiettivi non dichiarati e non dichiarabili? Si è detto bisogna far qualcosa per i giovani precari: si aumentano del 1,4% i contributi dei contratti a termine. Dell’1,4%? Sono io che leggo male o si parla dell’1,4% davvero? Su 3000 euro sono 40 euro è questo il disincentivo? Ammortizzatori: i precari ne restano esclusi, aumenta un po’ la platea degli inclusi ma i sussidi diminuiscono per durata e cifra. E’ un miglioramento? Articolo 18: un pastrocchio come ben spiegato nell’articolo, soprattutto è assurdo che si possa distinguere tra un licenzimento illeggittimi di un tipo o di un altro. Mi sembra una riforma che lasci sostanzialmente inalterata la condizione dei precari (al limite il netto in busta paga si ridurrà un po’) e che tenda a peggiorare la situazione degli occupati: sarà un caso che la riforma equa fa sorridere Confindustria e incavolare i sindacati e i lavoratori? Sull’art. 18 l’unica riforma seria da fare era prevedere una precisa casistica di quando era leggittimo licenziare un lavoratore.

  19. Paolo Tramannoni

    Non ho capito in che modo l’aumento dei contributi per gli iscritti alla gestione separata Inps potrebbe scoraggiare il lavoro precario. Mi sembra di capire che la “finta partita Iva” continuerà a percepire il pattuito dal suo cliente/datore di lavoro, ma in più dovrà contribuire maggioremente al fondo pensioni. Sento inoltre parlare di non detraibilità dei contributi, quindi di un aumento del prelievo Irpef. In altri termini, mi sembra che si prospetti un marcato aumento delle tasse per quei precari che la riforma afferma di voler finalmente tutelare. Potreste chiarirmi questi punti?

  20. Luciano

    Per favore, qualcuno mi aiuti a capire. Il punto 3.1 del documento del Governo si intitola : Revisione della disciplina in tema di licenziamenti INDIVIDUALI e quindi mi chiedo come si può giustificare tale riforma dal mero punto di vista quantitativo visto che si tratta di licenziamenti individuali. Vedo però che l’ultimo comma di questo punto 3.1 recita testualmente :Il regime di cui sopra deve essere coordinato, altresì, con quello dei licenziamenti COLLETTIVI nei limiti in cui per essi vale l’art. 18, con l’applicazione, per i vizi di tali licenziamenti, del regime sanzionatorio previsto per i licenziamenti economici. Io l’ho tradotto così. Se le procedure previste dalla legge 223/91 (licenziamenti collettivi) per quel che riguarda i criteri di scelta dei lavoratori da mettere in mobilità risultano essere state attivate in maniera errata allora l’eventuale ricorso fatto dai lavoratori anche in questo caso non avrà più come esito il reintegro ma solo l’indennità risarcitoria di 15/27 mesi. Ho capito bene ?

  21. luca

    In Germania è il giudice a valutare la serietà del motivo economico, anche perchè ne consegue l’erogazione di significativi sussidi pubblici. Invece qui nel paese dei falsi invalidi, dei nullatenenti con villa per non pagare la mensa della scuola, dei co.co.pro. reiterati, con una fattura al mese, sempre dello stesso importo, pagati da grosse strutture, anche pubbliche , ci affidiamo alla valutazione dei Nostri connazionali ? Tra l’altro solo una azienda con SOLO poco più di 15 dipendenti può ipotizzare (senza farsi ridere dietro) di risanare un eventuale problema economico licenziando 1 SOLO dipendente, invece tutte le altre, se in crisi, avrebbero (purtroppo) necessità di licenziarne un numero maggiore di 5 , caso oggi già previsto (e che in una situazione di scarsa domanda interna ed esterna e con lo spettro dell’iva al 23 % sarebbe meglio cercare di posticipare il più possibile almeno con una moratoria ) è evidente che la presunta riforma punta ad altro, si tratta di capire a cosa punta veramente Monti

  22. Francesca

    Ponendo che questa riforma sia gattopardesca, che non tocchi questioni cruciali per il rilancio, che abbia “costretto” il sindacato in un angolo, che sia in linea con quanto previsto da pdl e lega nella loro ultima lettera all’europa, che sia più tedesca di quella tedesca, allora mi domando io, qual’è lo scopo di questo governo? Sicuramente non si tratta di incapaci. Allora perché non affrontano almeno una questione cruciale? Smantellino i diritti dei lavoratori, li mandino in pensione a 80anni, gli aumentino le tasse e diminuiscano i servizi, ma affrontino almeno una questione cruciale che sia una!

  23. cri

    Direi che l’articolo 18 è stato svuotato del suo potere deterrente: introducendo un canale libero per licenziare prevedendo soltanto un indennizzo si fornisce una causale (che sarà usata da chi vorrà disfarsi di lavoratori scomodi) senza il rischio del potenziale reintegro. L’art 18 viene monetizzato, come se 20000 euro( per esempio) potessero risarcire del fatto di trovarsi disoccupati senza un giusto motivo. M’incuriosce anche sapere in che modo il lavoratore potrà provare di essere licenziato per motivi discriminatori e non per quelli economici, per ottenere il reintegro. Molto difficile e aleatorio da dimostrare direi…

  24. Cambriagi

    Sarebbe interessante conoscere quali siano i “vari criteri” genericamente indicati nel titolo relativo a lincenziamenti oggettivi od economici. Comunque sia, così formulata, sul tema specifico, la proposta sembra anche contraria al diritto perché se il giudice accerta l’ inesistenza del motivo, ne consegue che il motivo addotto è servito per dissimularne altro. Si tratta quindi di un atto teso a frodare la legge: e se tale atto è nullo, nulli dovrebbero essere anche i suoi effetti . E comunque l’onere di tale prova spetterebbe al lavoratore?! Ma il punto in questione’ stato così mal scritto per poter fornire una moneta di scambio? Si cede su questo punto per far passare tutto il resto. Si riuscirà piuttosto a “ ragionare” seriamente sui vari punti senza pregiudizi? Sarà il parlamento in grado di farlo?

  25. mario guido

    A me sembra che la bozza di articolo 18 sia una norma errata dal punto di vista tecnico. In sostanza, il datore di lavoro licenzia adducendo una causa economica, il giudice decide che la causa addotta non sussiste, ma rimane vincolato alla dichiarazione del datore di lavoro che ha giudicato falsa. Naturalmente il lavoratore potrà obiettare che il licenziamento ha un’altra motivazione e provarlo, ma rimane un’incredibile contraddizione logica nella norma, che fa produrre degli effetti ad un fatto rilevato come inesistente (la situazione di fatto di natura economica che giustifica il licenziamento). Il lavoratore da parte sua potrà provare la natura discriminatoria del licenziamento, ma il licenziamento discriminatorio è una fattispecie molto più circoscritta rispetto al semplice licenziamento privo di giusta causa o motivo giustificato. Potrebbe obiettare che il licenziamento è di natura disciplinare, ma per ottenere il reintegro dovrà dimostrare, che il licenziamento è legato ad una causa disciplinare che però non sussiste, altrimenti come può il giudice disporne il reintegro?. A me sembra una follia.

  26. Bruno

    Se la conclusione dell’analisi è addirittura in termini di paradosso e sconfitta …… per una non esclusa diminuzione del numero degli occupati …… che senso ha fare la riforma?

  27. umberto carneglia

    Premetto che non sono un esperto di problemi del lavoro;però mi sono un po’ documentato. ll modello tedesco,che ha molto contribuito al successo dell’economia tedesca negli ultimi anni (a differenza dai precedenti), risluta alla prova dei fatti un modello vincente. Registro anche le dichiarazioni del nuovo Presidente di Confindustria, imprenditore internazionale di successo, a dir poco tiepide sulla posizione del governo riguardo all’art.18 e sull’enfasi che gli è stata data. Mi domando perchè il governo non prenda in considerazione un modello come quello tedesco, preferendo un sottoprodotto. Monti ha salvato il Paese dal baratro, dunque è una persona capace e responsabile. Credo che dovrebbe nella circostanza quantomeno motivare in maniera circostanziata le ragioni per le quali respinge il modello WolkVagen-Mapei, con riferimento alla crescita che è ciò che più conta.

  28. umberto

    Nella mia lettera precedente chiedevo che il Pres.Monti motivasse la propria scelta contraria al modello tedesco. Ho ascoltato oggi dal TG le dichiarazioni del Presidente che rispondono chiaramente a questa domanda, di grande importanza non solo per ltalia ma sul piano dell’economia in generale. Il Prof ha chiarito che l’art.18 è un grave ostacolo per l’occupazione e gli investimenti perchè gli imprenditori interni ed esteri, non potendo licenziare individualmente in caso di bisogno,limitano le assunzioni e gli investimenti. Questa tesi è da valutare con grande attenzione perché mi sembra contrapponga il modello USA a quello tedesco, 2 modelli importantissimi . Al proposito non si può escludere che in Italia il nanismo e la scarsità di grandi imprese possano avere come motivazione importante proprio la presenza dell’art.18 per le imprese con più di 15 dipendenti. La centralità della questione dovrebbe indurre gli economisti del lavoro ad approfondire il tema, magari anche con inchieste ed interviste agli imprenditori nazionali ed esteri , oltre che con altre verifiche empiriche.

  29. HK

    Le aziende fino a 15 dipendenti sono troppo piccole. Infatti con quelle dimensioni c’è posto al massimo per un manager. Per poter avere un team di manager bisogna salire verso i 50 dipendenti. Senza un team di manager l’azienda resta una micro entità il cui destino è totalmente connesso a quello dell’imprenditore e alle sue personali capacità. Ma la crescita che porta da 15 a 50 dipendenti è molto difficile e rischiosa e l’art 18 aumenta grandemente questo rischio e personalmente per me ragione sufficiente (ancora di più nel futuro). Io e con me molti altri imprenditori si sono dovuti rassegnare a restare, a malincuore, micro impresa. Purtroppo la micro impresa non può avere un mercato internazionale ed è destinata a cessare con l’esaurirsi del suo imprenditore.

  30. giorgio ragazzi

    Cari Tito e Pietro, voi indicate che la riforma doveva affrontare quattro problemi, ma io ne aggiungerei un quinto ed a mio avviso il più urgente: ridurre il costo del lavoro per le imprese per recuperare competitività e crescita, senza le quali non usciremo più da questa crisi. Non mi pare che questa riforma contribuisca in alcun modo a ridurre il costo del lavoro. Anche il timido passo verso il superamento del dualismo viene proposto aumentando gli oneri fiscali a carico dei meno protetti e quindi riducendone ulteriormente il reddito o aumentando in qualche modo il costo del lavoro per queste categorie. Ma forse la grande regia mediatica riuscirà a dar l’impressione all’estero che “sconfiggendo” la CGL sull’artico 18 si sia avviata una riforma “epocale” capace di rilanciare l’economia, e magari migliorerà lo spread…come già avvenuto per le fantomatiche “liberalizzazioni”.

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