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I NUOVI MIGRANTI SONO EUROPEI *

La crisi fa crescere la disoccupazione nei paesi europei del Mediterraneo, soprattutto tra i giovani. Che reagiscono lasciando la madre patria per cercare lavoro altrove, spesso sull’onda di un passaparola che si avvantaggia dei social network. I ragazzi di Spagna e Portogallo scelgono in particolare Argentina e Brasile, le loro ex colonie in rapido sviluppo, grazie alla lingua condivisa. Per i greci e per gli italiani la meta preferita sembra essere la Germania, forte anche di salari di ingresso decisamente più alti, specialmente per i lavori più qualificati.

Quando, prima di Pasqua, l’Istat ha segnalato la perdita di un milione di posti di lavoro in tre anni nei giovani tra i 15 e i 34 anni nel nostro paese, ha acceso i riflettori su una situazione di malessere sociale ormai diffusa e prolungata nel tempo, che la tradizionale funzione di ammortizzatore della famiglia italiana (che avrebbe riassorbito circa la metà di questi nuovi disoccupati) non è più sufficiente a contenere e che lascia intravedere scenari imprevedibili. Ad esempio nel dicembre scorso uno dei più autorevoli quotidiani del mondo, il britannico The Guardian ha dedicato due servizi al nuovo fenomeno dell’emigrazione di giovani europei dei paesi mediterranei più colpiti dalla crisi, verso le economie emergenti dell’emisfero meridionale.
Ne è uscito un quadro abbastanza impressionante.

DOVE VANNO I GIOVANI EUROPEI

Decine di migliaia di giovani europei sono emigrati negli ultimi anni alla ricerca di un lavoro, che non riescono più a trovare nel loro paese. La maggioranza degli spostamenti è avvenuta indubbiamente all’interno dell’Unione Europea, come nel passato, ma la vera novità è costituita da una emigrazione che sembra ripercorrere le rotte di un secolo fa.
Il paese europeo più colpito dalla crisi, la Grecia, aveva raggiunto 1,2 milioni di immigrati nel 2011, ma ora a questi si affiancano altrettanti emigrati (cresciuti con rapidità negli ultimi tre anni) e l’Ufficio statistico ellenico ne indica le mete in ordine di importanza: Germania, Australia, Canada, Albania, Turchia .
Si stima che circa cinquantamila giovani abbiano lasciato l’Irlanda (che negli anni Novanta era stata soprannominata “la tigre celtica”) nel 2011, nel 2012 si prevede che saranno settantacinquemila.
Il Portogallo dirige i suoi flussi migratori verso le ex-colonie e il computo appare piuttosto preciso: l’Angola (con una economia in espansione grazie al petrolio) contava cinquantamila residenti portoghesi nel 2005 e nel 2011 sono raddoppiati, con diecimila in più solo nell’ultimo anno. La presenza portoghese in Mozambico è cresciuta del 30 per cento negli ultimi due anni. Ma naturalmente è soprattutto verso il Brasile che si dirigono le aspettative maggiori: cinquantamila portoghesi in più solo nell’ultimo anno, circa il 10 per cento dei nuovi immigrati nel 2011.
Per quanto riguarda la Spagna, nella recente campagna elettorale, il candidato del partito popolare Rajoy, poi divenuto primo ministro, aveva denunciato l’esodo di circa 1.200 spagnoli ogni mese verso l’Argentina, uno dei paesi che oggi sta praticando una politica di maggiore apertura verso la nuova emigrazione europea.

E GLI ITALIANI?

Sul fatto che il fenomeno riguardi anche il nostro paese, non ci sono dubbi. (1)
Il sistema delle piccole imprese italiane riesce a creare solo un ristretto numero di posti di lavoro qualificati, mentre importiamo badanti e muratori. Questa non è una novità.
Qualche dubbio sulle cifre. L’Aire, Anagrafe degli italiani all’estero, è un registro gestito dal ministero degli Interni e rappresenta la base dati ufficiale: parte dalle anagrafi comunali e censisce coloro che prendono la residenza all’estero per più di dodici mesi. Si stima tuttavia che almeno la metà non lo faccia, mantenendo la residenza in patria, soprattutto quando lo spostamento avviene all’interno dell’Unione Europea. La cifra di circa trentamila nuovi emigrati l’anno, negli ultimi anni andrebbe quindi raddoppiata.
Occorre tener conto che nella maggioranza dei casi, gli spostamenti avvengono senza avere la certezza del nuovo posto di lavoro nel paese di destinazione.
Si utilizza quasi sempre il metodo del visto turistico di tre mesi per cercare lavoro, contando anche sulla permissività del paese ospitante e, ove possibile, lavorando in nero, esattamente come fanno gli immigrati in Italia.
Nella filosofia dei nuovi “overstayers”, l’Ipad ha sostituito la valigia di cartone e i voli “low cost” le traversate oceaniche: in tutta Europa esistono ormai flussi continui basati sul “passaparola” fornito da parenti, amici e conoscenti che sono già all’estero e sulla ricerca del lavoro direttamente sul posto. Un ruolo importante lo svolgono anche i progetti Erasmus.
Né si deve pensare che il fenomeno riguardi solo il lavoro qualificato: ad esempio la crisi del settore edile ha prodotto un esodo di lavoro manuale dall’Europa mediterranea.
Nel 2011 i dati dell’Aire hanno comunque segnalato una crescita dell’emigrazione dalle regioni settentrionali italiane, che denoterebbe un ulteriore salto di qualità.
Il magnete del mercato del lavoro europeo risulta essere sempre più la Germania, se è vero che nel 2011 i nuovi immigrati residenti sono risultati quasi 170mila, mentre nel 2010 si erano fermati a meno di 60mila. Oltre alla Polonia, Grecia, Spagna, Portogallo e Italia: i paesi di provenienza confermano i dati precedenti.
Per effetto del calo demografico degli anni Novanta si stima che la Germania dopo il 2015, avrà bisogno di circa 500mila nuovi lavoratori ogni anno per rimpiazzare il turn-over e sostenere il suo sistema produttivo.
Quando si parla di riforma del mercato del lavoro, occorre sempre più considerare i parametri europei, dove il “modello tedesco” riesce a garantire salari di ingresso per i diplomati di quasi 35mila euro l’anno e di oltre 43mila euro per i laureati, contro i 20.500 e i 23.500 euro rispettivamente dell’Italia, mentre Francia e Gran Bretagna si collocano su valori intermedi.
Se allora dei 330mila giovani Italiani che hanno perso il lavoro in patria nel 2011, circa il 15 per cento ne ha trovato uno all’estero, occorrerà riflettere che tra le virtù del cosiddetto modello tedesco non c’è solo la flessibilità esterna, ma anche quella interna alle imprese, con organizzazione del lavoro e orari flessibili, garantite da un sistema tripartito di concertazione e di relazioni industriali, che ha permesso una continua crescita della produttività.
In quei paesi europei dove non si riuscirà a seguire un paradigma di modernizzazione, i giovani rischiano di essere costretti sempre più a “votare con i piedi”.

*Regione Emilia-Romagna

(1) Uno spaccato interessante delle aspettative di coloro che meditano la partenza e delle esperienze dei giovani italiani che sono già all’estero, per esempio, lo forniscono i libri e i blog di Sergio Nava (“La fuga dei talenti”) e Aldo Mencaraglia (“Italians in fuga”).

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10 commenti

  1. giuliano cazzola

    Come sempre Andrea Stuppini scrive delle cose interessanti che aiutano a capire un fenomeno della modernità come l’immigrazione.

  2. Giovanni

    Forse non tutti sanno che, se si escludono i grandi studi internazionali, in Italia un giovane (?) avvocato tra i 30/35 anni guadagna intorno ai 1500 euro LORDI al mese… insomma come la segretaria dello Studio! Con la sfortuna che, a differenza di economisti ed ingegneri, la fuga all’estero è particolarmente ardua!

  3. Davide

    Analisi interessante e giusta. Credo ad ogni modo che si tralasci troppo spesso la fuga che coinvolge i giovani che si dirigono ad Oriente, soprattutto in Cina ed in India. Potrebbe essere interessante capire cosa accade in quella parte del mondo, in termini di offerta di lavoro e possibilita….magari con qualche numero di riferimento a studenti e lavoratori Grazie

  4. Giacomo V

    Davvero la ral per un neolaureato è 23500 €? Credo si sia capito che la laurea non conti assolutamente NULLA ai fini salariali. La mia è un’indagine empirica, frutto dell’esperienza diretta. Fatto sta che per ottenere il risultato dei 23500 € ci dev’essere qualche neolaureato là fuori che bilancia i miei 16mila-e-rotti con circa 31mila € annui..il che mi sembra abbastanza improbabile, se poi aggiungiamo che non credo di essere l’unico a prendere 1300 € (lordi!!) al mese. Presto chi governa dovrà fare i conti con la nostra generazione di poveri, illusi al consumismo.

  5. Giorgio Penolazzi

    Vedo che l’autore ripete più volte l’acronimo Aie (che starebbe per Anagrafe degli italiani all’estero). A me risulta però esistere solo l’AIRE, Anagrafe degli Italiani Residenti all’Estero, tenuta da ogni comune italiano e riversata al Ministero dell’Interno (si veda qui). Data la svista, mi sentirei di chiedere anche da dove è tratto il dato di 30.000 emigrati ufficiali, che nel sito ministeriale non si trova, salvo mio errore: si trova che i nuovi iscritti AIRE nel 2010 sono stati 158.000, ma questo numero non distingue tra i veri emigrati e le iscrizioni in AIRE dei discendenti di antichi emigranti italiani dell’800 e del 900.

  6. jean

    Questa analisi interessante mette in evvidenza una cosa, che tutto é destinato alla trasformazione , perché nulla é eterno, semplicemente una ruota che gira !

  7. Silvia

    Ho 26 anni, mi sono trasferita a Dublino da 3 anni e lavoro regolarmente. Dalla mia esperienza posso dire che il mercato del lavoro italiano va sicuramente semplificato; é necessaria una maggiore flessibilità sia in entrata che in uscita. Ritengo, però, che il cambiamento maggiore debba avvenire nelle persone: le aziende italiane dovrebbero essere meno esigenti e dare la possibilità ai giovani di mettersi in gioco. Dall’altro lato, i giovani italiani devono “svegliarsi” un pochino e smetterla di aspettare il lavoro dei sogni, fuori dalla porta di casa: l’Italia è cambiata e dovrebbero cambiare anche i miei coetanei.

  8. nello

    La nostra nazione credo abbia perso il senso della ragione, abbiamo una societa’ che non si è rinnovata per decenni, dove la politica non si e’ rinnovata da decenni, ed ora praticamente siamo in una situazione di malattia totale dove la cancrena del vecchio in tutti i settori della nostra societa’ ci portera’ sicuramente ad una morte certa. I nostri giovani non vedono aspettative a breve, i capitali sono in mano ad una minima parte della nostra societa’ oltretutto vecchia senza stimoli, come si fa’ ad essere cosi’ stupidi da non guardare avanti, il futuro sono loro I nostri giovani, noi ci stiamo togliendo anche la gioia di dare a loro un futuro.

  9. michela

    Un avvocato guadagna di meno di una segretaria: confermo, che triste realtà! e i “domini” che danno vita a questo perverso sistema, ne vogliamo parlare?

  10. Francesco Santodirocco

    E’ da tempo che sto scrivendo dovunque e a chiunque :dobbiamo “riscoprire l’africa” la prima scoperta è stata un disastro,ma l’Africa ha bisogno di essere riscoperta, come risorsa, esattamente come lo furono la Americhe e l’Australia,nel secolo scorso,perchè le condizioni sono analoghe :ricchezze non sfruttate da una parte (per sottopopolamento e mancanza di know-out)e sovrabbondanza di manodopera dall’altra (forte disoccupazione,soprattutto giovanile)La vera cooperazione deve avvenire in un controesodo finalizzato a sviluppare in modo diffuso ed ampio le ricche regioni africane, solo modo per impedire alla radice la tragica situazione degli africani.La Cina “cinicamente” sta facendo il suo gioco,comprando intere regioni e sbarcando milinate di cinesi..in assoluta autarchia…e l’Europa?

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