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L’ERRORE DI AVER DIMENTICATO HUME

La crisi della zona euro mette in evidenza tutti limiti della costruzione europea. L’errore principale è stato non chiudere definitivamente le banche centrali nazionali. Permettendo così agli interessi nazionali di interferire con il normale funzionamento del sistema finanziario e del meccanismo di Hume. La sottovalutazione di questi problemi, assieme all’incapacità di istituire una Autorità bancaria europea veramente forte, ha lasciato scoperto uno squarcio nell’integrazione monetaria e finanziaria dell’Unione Europea che ci perseguiterà nei mesi e anni a venire.

Il grande filosofo ed economista scozzese David Hume aveva compreso fin troppo bene come i confini nazionali e le statistiche della bilancia dei pagamenti influenzano e anzi determinano i flussi del commercio internazionale.

L’UNIONE E IL MECCANISMO DI HUME

Laddove esistono confini, gli uffici doganali e le burocrazie statali monitorano continuamente il flusso di beni e attività tra paesi e i surplus o i deficit sono visti dai politici come un motivo di orgoglio o di vergogna. Hume criticava il mercantilismo, ma era ottimista sul fatto che la struttura del commercio si sarebbe alla fine aggiustata. Nel 1752 scriveva: “Se una nazione conquista un vantaggio commerciale su un’altra, è molto difficile che quest’ultima recuperi il terreno perduto (…) Ma questi vantaggi sono compensati, in qualche misura, dal basso costo del lavoro nelle nazioni che non hanno un vasto commercio e che non sono ricche di oro e argento. I produttori perciò trasferiscono le loro sedi, lasciando i paesi e le province che hanno già arricchito, e andando verso altri luoghi, dove sono richiamati dalla modicità dei prezzi dei beni per vivere e del lavoro, finché anche questi nuovi luoghi non si arricchiscono e i produttori sono di nuovo costretti all’esilio per gli gli stessi motivi. E, in generale, possiamo osservare che l’alto costo di ogni cosa, dovuto all’abbondanza di denaro, è uno svantaggio che accompagna ogni commercio consolidato, e stabilisce dei limiti ad esso in ogni paese, consentendo agli stati più poveri di battere sul prezzo i più ricchi in tutti i mercati stranieri”.
In linea di principio, il celebrato meccanismo di Hume dovrebbe funzionare all’interno dell’area euro: i paesi che esportano meno di quanto importano dovrebbero perdere euro a favore dei paesi in surplus, a meno che non siano compensati da flussi in entrata di capitali privati. L’uscita di euro porta a una scarsità di moneta e di credito, a minori prestiti per consumo e investimenti, a un rallentamento delle attività e alla caduta dei prezzi.
Deficit cronici comportano più alti tassi di interesse e il declino del merito del credito sia per i debitori sovrani che privati. Ma assorbimento interno e prezzi dei beni non commerciabili in calo, alla fine, riportano i salari in linea con la produttività e ristabiliscono la competitività. Nello stesso modo, i paesi con surplus cronici dovrebbero accumulare euro e le banche nazionali dovrebbero espandere il credito, portando così a una domanda e a un’inflazione maggiori rispetto ai paesi in deficit.
Le intuizioni di Hume sono rilevanti oggi come lo erano 250 anni fa. La recessione e la concomitante riduzione dei prezzi e salari nei paesi periferici dell’Eurozona sono dolorose, ma sono condizioni necessarie per recuperare la capacità di esportare e tornare così alla crescita e a finanze pubbliche sostenibili: una rigida politica fiscale è necessaria per accelerare il processo. Irlanda, Spagna e Portogallo hanno già fatto progressi in questo senso. I livelli dei prezzi relativi devono però scendere ancora nei paesi in deficit perché si possano riequilibrare gli squilibri e possano tornare i capitali privati. È vera anche l’altra faccia della medaglia: Germania, Olanda e Finlandia devono accettare una buona dose di crescita dei salari e dei redditi nominali, e anche di più alta inflazione. Con un pizzico di fortuna, è possibile che l’accettino.
Ma il meccanismo di Hume opera con lentezza, soprattutto perché i prezzi hanno bisogno di tempo per aggiustarsi e sono guidati da aspettative difficili da modificare. Ma opera con lentezza anche perché i difetti nella costruzione dell’Eurozona ostacolano il meccanismo di Hume. I deficit delle partite correnti non sono un male di per sé, in particolare se aiutano a superare difficoltà di consumo temporanee dovute a un anno particolarmente difficile oppure finanziano le importazioni di beni capitali per rispondere a opportunità produttive. Tuttavia, dall’inizio della crisi finanziaria, i paesi dell’area euro con deficit cronici hanno sperimentato anche significativi deflussi di capitali e deficit di bilancia dei pagamenti. Ai tempi del sistema di Bretton Woods, prima del 1971, il Fondo monetario internazionale avrebbe estinto questi fuochi attraverso piani di stabilizzazione fiscale: Gran Bretagna e Italia ne sono stati due esempi memorabili. Squilibri cronici di bilancia dei pagamenti non erano tollerati perché nessuno si aspettava che un paese sovrano finanziasse in modo permanente i deficit degli altri.

I LIMITI DI UN SISTEMA

Nell’Eurozona non c’è nessuna autorità che regoli gli squilibri fra i diversi paesi sovrani:
– il trattato di Maastricht non prevede esplicitamente interventi come quelli del Fmi;
– il Patto di Stabilità e crescita, progettato per prevenire gli squilibri causati dai governi, ha chiaramente fallito il suo compito;
– mentre i flussi di capitale privato in questi paesi si sono prosciugati e si sono anzi trasformati in una fuga di capitali, la Bce ha involontariamente finanziato i deficit nelle bilance dei pagamenti derivanti da questo fenomeno, attraverso il cosiddetto sistema di Target 2. (vedi Buiter et al 2011).
Queste entrate contabili nei bilanci delle banche centrali nazionali sono diventate oggetto di animate discussioni in Germania. (Sinn 2012, Dullien and Schieritz 2012, Tornell and Westermann 2011).
Monetizzando in modo passivo gli squilibri intra-europei, la Bce ha “messo Hume in attesa”, rimandando il necessario aggiustamento dei prezzi relativi fra regioni. Inizialmente sottovalutato dalla maggioranza degli economisti, il problema è ormai troppo grande per essere ignorato. I surplus della Bundesbank verso la Bce ammontano a più di 700 miliardi di euro, circa il 30 per cento del Pil tedesco. La Germania è ormai diventata ostaggio dell’Unione monetaria, perché un’uscita unilaterale implicherebbe una nuova banca centrale con equity negativa.
In un mondo senza frontiere nazionali e senza banche centrali nazionali, non possono esserci deficit nelle bilance dei pagamenti – i deficit di conto corrente sono sempre finanziati da capitale privato. Finché i membri dell’unione monetaria li accettano, cambiamenti di proprietà, anche di rilevante entità, degli asset nazionali all’interno dell’Unione dovrebbero essere perfettamente accettabili e lasciati ai proprietari dei flussi di capitale.
Compito dei governi dovrebbe essere quello di evitare che gli errori delle banche private e degli investitori ricadano sui contribuenti. E la Bce dovrebbe astenersi dall’immettere liquidità direttamente su un particolare mercato. Tuttavia, finché i “nazionalisti economici” continuano a prestarvi attenzione, i deficit e i surplus delle bilance dei pagamenti nazionali continueranno ad avere un ruolo nella formulazione delle politiche. Nel caso di una rottura dell’euro, le entrate contabili derivate da Target2 diventerebbero espliciti attivi e passivi nazionali, aprendo la strada a ulteriori recriminazioni e a un deterioramento delle relazioni economiche e anche politiche.
Alla fine, i fondatori dell’euro hanno commesso un grave errore ignorando il non irrilevante dettaglio che Hume avrebbe certamente colto. Decidendo di non abolire definitivamente le banche centrali nazionali, la porta sul retro è rimasta socchiusa permettendo agli interessi nazionali di interferire con il normale funzionamento del sistema finanziario e del meccanismo di Hume. Questa svista, assieme all’incapacità di istituire una Autorità bancaria europea veramente forte, ha lasciato scoperto uno squarcio nell’integrazione monetaria e finanziaria dell’Unione Europea che ci perseguiterà nei mesi e anni a venire.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

11 commenti

  1. Anonimo

    Gli incrementi dei valori aggiunti delle aree di libero scambio (vedi UEM) sono dovuti ad una maggiore quantità di produzione di merci con domanda simplettica (vedi social-consume) tale che i rapporti di scambio internazionali sono dati dalle funzioni marginali di profitto con scarsa partecipazione di quantità di lavoro. In altre parole, la maggiore domanda di lavoro è strumentale agli aggiustamenti di scambio quali risultano essere le parità di risk-free dei titoli di investimento (vedi BOT o CTZ):

  2. bob

    a fronte di un debito di 400 milioni di euro chi è più preoccupato il creditore o il debitore? Con questa frase vorrei sintetizzare l’attuale situazione europea. Aggiungo 2 cose:
    1° il cambio dell’euro è stato fatto ad uso consumo della Germania.
    2° con l’arrivo di attori come la Cina e l’India alla Germania stessa serviva un mercato interno (Europa) che potesse bilanciare i mercati interni ( ben più potenziali) di questi 2 attori. Lo stesso Ministro Indiano in una intervista ha specificato che più del mercato Europeo gli interessa in primis il mercato interno. Non si può prescindere dal mercato interno. Ma il problema Germania è storico-economico. I Tedeschi hanno sempre vinto tante battaglie mai nessuna Guerra! Risulta perfino banale dirlo, ma creare una unione mercantile per favorire la vendita dei propri prodotti e poi strangolare i soggetti che questo mercato sostengono a cosa porta? Allora si capisce che l’economia senza la politica e la diplomazia non va da nessuna parte. La diplomazia apre i mercati e chiude le guerre! La Merkel in politica è come un elefante dentro un negozio di cristalli, non può fare altro che danni. Ma la storia delle Germania come al solito si ripete!

  3. Johann Gossner

    L’errore è aver dimenticato la libera iniziativa economica. Questa Europa è fatta esclusivamente di burocrati che poco o nulla conoscono del fare impresa più governi con politiche di tassazione aberranti e incongruenti tra loro. Il vero squilibrio europeo è rappresentato dai sistemi fiscali penalizzanti e punitivi, da una distribuzione dei fondi europei centralizzata e inefficiente(vedi i fondi per la formazione), gestita da un’organizzazione fatta da burocrati in connessione con le varie lobby economiche-industriali che tende a escludere le piccole medie imprese europee, soprattutto del Sud Europa a vantaggio degli interessi delle grandi imprese del Nord Europa (per es. tutta la politica agricola e alimentare). La centralizzazione e il dirigismo economico-fiscale non hanno mai portato da nessuna parte. La conseguenza di tutto ciò è stato lo squilibrio della bilancia commerciale e dei pagamenti. La soluzione è consentire alle singole banche centrali dei paesi in deficit di monetizzare l’annullamento di una percentuale dei titoli del debito pubblico in possesso delle banche più concessione alle imprese e ai lavoratori delle riduzioni di carico fiscali necessarie.

  4. Piero

    Non so se hanno mai letto Hume, ma non posso pensare che i prof Monti, Draghi non sappiano le basi della politica monetaria, sono mesi che affermo che il problema è solo monetario, si risponde con le politiche di bilancio rigorose, si afferma che il rigore porta alla crescita, penso che siamo governati da ignoranti, penso che dovremmo andare subito all’elezioni di un nuovo parlamento che a seguire elegga un nuovo presidente della repubblica, il tutto entro un paio di mesi, si sta rompendo l’equilibrio sociale in Italia, può essere anche vero che abbiamo fatto pagare al resto dell’Europa con la svalutazione della lira la nostra bassa produttività, ma la politica monetaria serve proprio a questo, i paesi non sono tutti uguali, con la globalizzazione sono stati colpiti i paesi che producono prodotti con alta intensità di anodo pera, quindi questi paesi anno bisogno di una valuta debole per competere. L’America svaluta, l’Inghilterra svaluta, noi dobbiamo seguire la germanoa che vuole un euro forte.

  5. Giorgio

    Questo articolo è incredibile e vergognoso, più per le premesse di valore (che come al solito non si esplicitano) che per le mezze verità (o mezze falsità) che contiene. Gli interessi nazionali non vengono affatto cancellati dall’abolizione delle banche centrali o dal mascheramento dei dati delle bilance dei pagamenti. L’attuale condizione economica e finanziaria dimostra ampiamente che l’euro è contrario all’interesse nazionale italiano, cioé all’interesse dei lavoratori italiani che la politica economica dell’austerità, degno frutto di trent’anni di politiche monetarie antinazionali e antipopolari, consegna a un futuro di miseria e disoccupazione.

  6. Carlo Buralli

    Possiamo scomodare Hume e chissà quanti altri economisti del passato e del presente per dimostrare che l’integrazione monetaria europea è nata zoppa, ma l’esercizio si esaurisce in una esibizione di erudizione del tutto sterile. Si dimentica, infatti, che l’unione monetaria nacque come una cosciente forzatura, ben sapendo che quella che Ciampi chiamà una “zoppìa” non poteva reggere. Ciò nondimeno nacque come coraggioso atto politico (il Cancelliere tedesco Kohl si impose sulle strenue resistenze della Bundebank) nella speranza che le tensioni e gli squilibri che avrebbe determinato avrebbero indotto, o addirittura imposto, quella integrazione politica che in punto di logica avrebbe dovuto essere preliminare, ma che era irrealizzabile. Oggi siamo ad una crisi il cui esito sarà, appunto, o una disgregazione dell’Unione, o un suo raffiorzamento attraverso un maggior grado di integrazione politica. I tanti soloni che, dimenticando questa storia, ci spiegano le ovvietà di una Unione che così non funziona, potrebbero più produttivamente spendersi per premere affinchè l’esito sia il secondo e non il primo.

  7. AM

    L’articolo denota una buona conoscenza della storia del pensiero economico da parte dell’Autore, il quale forse si dimentica tuttavia che nel modello del Sistema della riserva federale statunitense sopravvivono le 12 Federal Reserve Banks. Il punto cruciale sta nel fatto che la politica monetaria è accentrata nel Board of Governors di Washington, che non è una banca, ma un’agenzia federale di coordinamento.

  8. marco

    Anche se avessimo fatto una banca nazionale europea ed eliminato le banche nazionali, nell’ipotesi di Hume, i lavoratori e i cittadini italiani ne avrebbero comunque avuto un danno causato dal progressivo abbassamento dei salari e dalla fuga di capitali a meno che non si metta insieme il debito pubblico europeo e non si uniformi la politica fiscale di tutti i paesi dell’euro. Siccome è più realistisco che io vada a piedi sulla luna piuttosto che la Germania faccia una cosa del genere, all’Italia converebbe senz’altro tornare alla sua moneta, svalutare, e aumentare le esportazioni. Ovviamente a questo andrebbe associato un processo di taglio della spesa pubblica improduttiva e all’introduzione di forme diverse di tassazione più eque e meno ingenerose con le imprese e i dipendenti. Se a questo associassimo anche una più efficace lotta all’evasione fiscale e alla corruzione e una maggiore redistribuzione della ricchezza in modo da incentivare il mercato interno il gioco sarebbe fatto! Metteremmo tutti in difficoltà e la macchina ripartirebbe ai 200 all’ora, come un razzo!

  9. Anonimo

    L’affermazione secondo cui il “meccanismo di Hume” è sufficiente a garantire la stabilità macroeconomca in un’area valutaria come l’Eurozona mi sembra molto azzardata, e dovrebbe essere quantomeno corredata di riferimenti. Anche se non ho studiato la questione in dettaglio, sembra intuitivo che politiche di macrostabilità regionali (comprese le politiche di bilancio) possano giocare un utile ruolo nel rendere meno brusche e più prevedibili dagli operatori economici le fluttuazioni degli aggregati nominali (ad esempio, PIL nominale e livello dei prezzi) nelle singole regioni dell’area, con tutti i vantaggi del caso. Un articolo che almeno a prima vista sembra giungere a conclusioni simili è: Galì, Monacelli; Optimal Monetary and Fiscal Policy in a Currency Union. (Essendo Monacelli collaboratore del sito, mi sembra di poter suggerire che sarebbe utile un suo commento al riguardo.)

  10. Piero

    Bob in maniera semplice ha sintetizzato cio’ che predico da mesi, l’euro è un calcolo fatto a tavolino per finanziare la riunificazione della Germania, ma vi e di più, quando la Germania non aveva i conti in regola non sono state applicate le sanzioni, non si puo’ costruire l’Europa su tali basi.

  11. Piero

    Speriamo in Hollande e non in Monti, anche se adesso sembra critico nei confronti della Merkel, ma non c’e da fidarsi. In Italia Monti non ha attuato ancora i provvedimenti dei suoi decreti per la crescita e semplificazione e salva Italia, non abbiamo ancora il decreto attuativo sulla legge salvaitalia per la garanzia della 662 alle imprese ( fino a 2500000), non si puo’ ancora fare la SOCIETA semplificata a responsabilita limitata understatement 35 anni, sbandierata dal governo, perché manca il decreto ministeriale del testo dello statura da adottare ecc.

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