Un’uscita dall’Eurozona non comporta necessariamente il default della Grecia. Il ritorno alla dracma, seppure pesantemente svalutata, farebbe crescere le esportazioni e in una decina di anni il Pil greco tornerebbe ai valori attuali, rendendo così possibile la restituzione del debito estero. Soprattutto se questo fosse ricontrattato su scadenze più lunghe e a un tasso dell’1,5 per cento. La Germania alla fine non registrerebbe alcuna perdita. Mentre i paesi più deboli dell’area subirebbero il doppio colpo dell’effetto contagio e dei più alti costi di rifinanziamento.
A quanto ammonterebbero le perdite dei creditori della Grecia se il paese dovesse lasciare l’Eurozona? In genere, si presuppone che un’uscita dall’euro dovrebbe essere seguita da un default perché la nuova valuta si deprezzerebbe così pesantemente che un servizio del debito in euro sarebbe impossibile.
È un’ipotesi sbagliata. Nella sua gran parte il debito greco è debito estero e in ultima analisi va ripagato con maggiori esportazioni o con una compressione delle importazioni. Un’uscita seguita da un forte deprezzamento della nuova dracma dovrebbe accelerare la crescita delle esportazioni e provocare un’ulteriore caduta delle importazioni, incrementando così la capacità del paese di ripagare il suo debito estero. Dopo un decennio di aggiustamento, la Grecia dovrebbe essere in grado di pagare i suoi debiti.
L’EQUAZIONE USCITA=DEFAULT
Oggi, il Pil greco ammonta a circa 200 miliardi di euro l’anno. Se la Grecia dovesse re-introdurre la dracma, la nuova moneta si deprezzerebbe di circa il 50 per cento, cosicché il Pil del paese probabilmente scenderebbe al sotto dei 100 miliardi di euro. Anche le entrate dello Stato greco registrerebbero una caduta di proporzioni simili: dai circa 80 miliardi di oggi a circa 40 miliardi dopo l’uscita dall’euro. Queste magre risorse sembrano del tutto insufficienti per ripagare gli oltre 330 miliardi di euro che lo Stato greco deve ai suoi creditori stranieri.
La maggior parte del restante debito del paese è dovuta a creditori europei istituzionali, in particolare Efsf e Bce. A prima vista, sembra che questi creditori istituzionali dovranno rinunciare a reclamare i loro diritti, almeno in larga parte (tralasciamo qui i 22 miliardi dovuti dalla Grecia all’Fmi, che sono innegabilmente senior e dunque saranno probabilmente rimborsati in toto).
Tuttavia, dopo l’iniziale sfondamento, è probabile che il tasso di cambio ritorni al suo equilibrio di lungo periodo, chiudendo lentamente il divario di prodotto. Esperienze simili per i mercati emergenti suggeriscono che dopo dieci anni il Pil nominale (misurato in una valuta forte) dovrebbe tornare almeno ai livelli precedenti; nel caso della Grecia, diciamo almeno 200 miliardi di euro.
Inoltre, le esportazioni non necessariamente cadono con una svalutazione, al contrario è probabile che crescano più del Pil. (1) E questo, nel tempo, dovrebbe aumentare la capacità del paese di ripagare il debito sovrano. Le esportazioni potrebbero arrivare a raddoppiare nel corso di un decennio, passando dagli attuali circa 42 miliardi di euro (beni più servizi) a circa 85 miliardi. A quel punto, il paese sarebbe in grado di ripagare il suo debito estero, posto che i tassi di interesse siano bassi abbastanza.
Tavola 1. Esposizione verso la Grecia per paese (miliardi di euro)
Fonte: nostri calcoli su dati Bis, Bce e Efsf. Scarica i dati in formato excel qui.
DEFAULT DEL DEBITO PRIVATO E DEL DEBITO PUBBLICO
Un’uscita dall’euro della Grecia con conseguente introduzione di una dracma svalutata del 50 per cento potrebbe perciò condurre a uno scenario in cui lo Stato greco dichiara ufficialmente il default sulle sue restanti obbligazioni verso i creditori privati e il settore privato del paese non è in grado di ripagare la gran parte del suo debito estero. Ciò comporta che le banche europee dovranno cancellare la maggior parte dei restanti 70 miliardi di esposizione verso la Grecia (e dato che le banche fanno affidamento sugli aiuti statali, ciò significa una perdita corrispondente anche per gli stati).
Tuttavia, i creditori istituzionali dell’Eurozona possono assumere una prospettiva di lungo periodo e dare il loro assenso a un congelamento temporaneo dei crediti con il consueto sistema dell’extend and pretend (prolunga e pretendi). Facciamo lipotesi che i creditori istituzionali concedano un periodo di tregua di dieci anni seguito da un pieno ripagamento dei debiti nei successivi venti anni (sono i termini dell’ultimo accordo Efsf) a un tasso di interesse dell’1,5 per cento (l’attuale tasso dei Bund). In questo scenario il servizio del debito del paese (aggregando le obbligazioni dello Stato greco verso l’Efsf e il debito delle banche verso la Bce) dovrebbe essere soltanto di circa 6 miliardi l’anno, equivalenti al 3 per cento del Pil, certamente non un peso insostenibile. Ciò dovrebbe valere in particolare per lo Stato, le cui obbligazioni interne dovrebbero essere state svalutate dallinflazione nel frattempo.
Il trasferimento di risorse agli stranieri dovrebbe ammontare a circa il 6 per cento del totale delle entrate per esportazioni, di nuovo non un peso eccessivo. Infine, poiché è probabile che il Pil greco (e le esportazioni crescano in termini nominali molto più dell’1,5 per cento, la capacità di ripagare il debito dovrebbe continuare a migliorare dopo che il paese si è aggiustato al nuovo equilibrio.
Certo, a prima vista, un tasso di interesse dell’1,5 per cento rappresenta un sussidio straordinario per un paese i cui titoli attuali vengono scambiati con rendimenti superiori al 25 per cento: in termini di valori attuali rappresenterebbe un haircut di più dell’80 per cento attraverso la ridefinizione del debito ufficiale. Ma i rendimenti sui titoli del settore privato sono oggi così elevati perché tutti i crediti del settore pubblico sono di fatto divenuti senior rispetto a quelli del settore privato.
Per lo Stato tedesco, tuttavia, un tasso di interesse dell’1,5 per cento rappresenterebbe il costo che affronterebbe per rifinanziare i suoi diritti sulla Grecia e dunque non comporterebbe alcun haircut. Ciò implica che se la Grecia fosse in grado di ripagare il suo debito nel corso di trenta anni a un tasso dell’1,5 per cento, la Germania potrebbe alla fine non registrare alcuna perdita rispetto alla sua esposizione. La tavola 2 mostra che le sole, piccole, perdite per la Germania deriverebbero dalla esposizione residuale delle banche tedesche.
Tuttavia, la maggioranza dei paesi dell’Eurozona dovrebbe sopportare un peso gravoso, dato che hanno costi di rifinanziamento ben più alti. Per esempio, Italia e Spagna dovrebbero partecipare alloperazione per un ammontare che in termini di Pil è simile a quello della Germania: circa il 4 per cento del Pil (vedi tavola 1). Ma dato che i costi di rifinanziamento per Spagna e Italia sono ora sopra il 6 per cento l’anno, da un’operazione di questo genere ricaverebbero una perdita di circa il 60 per cento (in termini di valore attuale) (vedi tavola 2).
Tavola 2. Totale perdite fiscali (in miliardi di euro e come percentuale del Pil)
*Calcolato agli attuali tassi di interesse
Fonte: nostri calcoli su dati Bis, Bce e Efsf. Scarica i dati in formato excel qui.
La tavola 2 mostra anche che il paese con minori possibilità di sopportare un peso ulteriore, il Portogallo, è anche quello che rischia di perdere di più, oltre il 5 per cento del Pil.
L’ironia della situazione attuale è che il paese con la maggiore esposizione e che in larga parte detta la politica sulla Grecia è anche quello che probabilmente alla fine della vicenda perderà meno, lo 0,3 per cento del Pil. Il peso reale di un’uscita della Grecia ricadrebbe in modo sproporzionato sui paesi più deboli dell’Eurozona , che sarebbero investiti dal doppio colpo dell’effetto contagio e di costi fiscali diretti, che per loro sarebbero dieci volte maggiori, a circa il 2,2 per cento del Pil.
(1) Borenzstein, Eduardo and Ugo Panizza, The costs of sovereign default: Theory and reality, VoxEU.org, 6 May 2010.
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Gilberto Desiati
Articolo interessante che offre molti spunti. Uno spunto potrebbe essere che se nell’analisi inserisco l’inflazione forse le conclusioni possono portare a presumere che la Grecia (povera di materie prime a differenza dell’Argentina) possa scontare una forte inflazione, con peggioramento del Pil ed ulteriore svalutazione della divisa, con conseguente allungamento del periodo di dieci anni per recuperare il gap del Pil. Il livello dei prezzi allora potrebbe impoverire ulteriormente il livello dei cambi e forse nei paesi Ue il valore nominale del credito sarebbe da azzerare, modificando parzialmente le conclusioni. Perchè una perdita su crediti è una cattiva notizia, ma è uan tragedia per chi debiti elevati e scarsa liquidità.
Alfonso Fumagalli
Non sono in grado di capire questi numeri, ma come un paese così inefficiente come la Grecia possa rimanere nell’euro e perfino nella EU, senza trasferimenti continui di denaro dagli altri paesi della EU. Da turista ho noleggiato barche in Grecia l’esperienza con società di noleggio tedesche e personale non greco è stata molto migliore che con società greche. Per non dire che barche veleggiano in Grecia ma la manutenzione viene fatta in Turchia: + economica e migliore, o che vari cantieri europei vari hanno aperto cantieri in Turchia e non in Grecia. Solo dall’uscita dall’euro e dalle normative anti-competitive della EU: lavoro, emissioni di CO2, emissioni elettromagnetiche, privacy, ecc, la Grecia può tornare competitiva e soppravivere da sola. Ahimè in gran parte si può applicare ai paesi Pigs
Giovanni
Ho prima di tutto un problema di base: dire che la ristrutturazione proposta non è un default è un paradosso; allungare le scadenze unilateralmente ed applicare tassi ben al di sotto dei tassi di mercato è una forma di default e anche molto pesante, con ingenti perdite in valore atteso. Ho anche un altro problema, più tecnico. Come può materializzarsi il raddoppio delle esportazioni greche in 10 anni, data la esigua base manifatturiera del paese? In paese emergenti con esperienze simili la crescita delle esportazioni è stata fortemente spinta da materie prime (vedi Argentina con la soia), con crescitte rapide sia sui prezzi che sulle quantità. Sinceramente, lo scenario proposto mi sembra uno scenario di default e, comunque sia, altamente irrealistico.
Massimo Matteoli
Se deve andare come si prevede nell’articolo, prima il fallimento della Grecia e poi la ristrutturazione del debito a tassi ridottti, mi domando perchè non lo facciamo subito? La Grecia già da quest’anno avrà un importante avanzo primario che nei prossimi anni, ovviamente in un otttica di mantenuto rigore finanziario, permetterebbe di sopportare un costo del debito ridotto all’1,5% come si propone. In questo modo rinunceremmo agli esagerati (ed impossibili) interessi attuali sui nostri crediti verso la Grecia, ma eviteremmo di pagare quelli ben più certi sui nostri debiti Mi sembra abbastanza evidente che una ristrutturazione in euro del debito greco garantita dalla BCE sarebbe conveniente per tuttti, sia per i greci ma anche per noi italiani e, perchè no, per i nostri vicini del Nord Europa. E non parlo solo di soldi. Giustamente l’ex Ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer ricordava che già due volte la Germania ha causato la distruzione dellordine europeo. Sappiamo tutti come andò a finire, vediamo di non farlo una terza volta.
Piero
Non so perche’ Gros abbia fatto questo articolo contrario a tutti i manuali economici, il ritorno alla moneta nazionale con una svalutazione della moneta al 50%, e’ stato affrontato in Italia nel 1992, abbiamo abbandonato lo SME (cambio fisso = moneta unica) e i mercati hanno svalutato la lira di oltre il 50% ( ricordiamoci che il marco da 765 e’ passato a 1100), non e’ successo nulla, l’Italia e’ riuscita ad agganciare il carro dell’euro, lo sbaglio e’ che dovevamo aspettare un altro decennio che avrebbe permesso una ulteriore riduzione del debito nominale. Gros ragiona al contrario, come se la Grecia ritornasse alla moneta nazionale ma senza riappropriarsi della politica monetaria, e’ un grave errore, forse una distrazione?
Paolo Bolpet
Non ho visto articoli in tal senso su La Voce, ma sembra una domanda che si fanno in molti. Per molti motivi: il credit crunch, la necessità da parte degli stati di salvare le banche, le colpe delle stesse banche in questa crisi finanziaria, la mancanza di controlli sul management e sulle scelte delle stesse, etc. etc.
Vendicatore solitario
Questi arrampicamenti su specchi previamente unti hanno dell’allucinante, almeno per un matematico come me. Visto che, purtroppo, i mercati sono del tutto (ed inspiegabilmente ) irrazionali (o meglio la “spiegazione” può provenire solo da una forzatura dei dati di fatto a fini speculativi) l’unica via d’uscita sensata sarebbe ( o meglio sarebbe stata, visto che non la si è voluta applicare, da parte dei tedeschi, al momento giusto) quella di “regalare” o, se volete, di abbonare un buon 30% del loro debito ai greci, possibilmente in parti non perfettamente proporzionali al P.I.L. di ciascuna nazione, ma caricando un pochino di più i più ricchi, come ad es. Germania ed Olanda. So perfettamente che questo modo di agire non è “previsto” dalle leggi della matematica finanziaria che prevede sempre e comunque la restituzione del debito in toto più gli interessi, tanto più alto è il rischio. Benone, allora becchiamoci le gigantesche perdite dei mercati che si sono fin qui verificate: Il MIB è ormai sotto i minimi assoluti e per quanto riguarda l’EUROSTOXX poco ci manca! E se avessimo pagato una parte dei 4 soldi di debito della Grecia non staremmo certo in queste condizioni!
Lorenzo Magni
L’articolo è un esercizio di macroeconomia che presuppone una miriade di se: la dracma si svaluta del 50%, i debiti privati non vengono ripagati, la Grecia raddoppia le esportazioni, di cosa poi non si sa, allora conviene fare così. Tra l’altro non viene presa in considerazione la possibilità che un Paese con due monete (euro e dracma) continui a svalutare la seconda.
andrea
Concordo pienamente con Giovanni e Piero. Inoltre, la svalutazione fortissima provocherebbe la perdita di ricchezza disponibile delle famiglie, sia di quelle a reddito fisso(quelle che un lavoro ce l’hanno ancora), sia di quelle con investimenti già in portafoglio che si vedono allungare la scadenza e annacquare dall’inflazione il valore reale. La povera e già martoriata base manufatturiera della Grecia non credo sia capace di aumentare le esportazioni, e poi va contato che il credit crunch sarà (ulteriormente)feroce e le aziende magari non sono proprio nè efficenti nè affidabili da parte degli acquirenti stranieri.Rimarrebbe il turismo ma a beneficiarne sarebbero le isole e poche parti della Grecia “continentale”.Non mi è chiaro come la Germania potrebbe pagare una perdita minore o nulla, ma sono le ipotesi a monte che non trovo fondate. Non dimentichiamo il rischio di rigurgito nazionalista che si creerebbe e il contagio che se ne avrebbe in Europa e i costi sociali del grexit con la fuga di greci che scapperebbero dal paese per andare dove?
marco
Il dubbio è legato alle capacità manifatturiere del Grecia molto scarse; per aumentare le esportazioni occorre fare dei prodotti appetibili non solo avere un contesto valutario conveniente; la bilancia commerciale greca è fortemente deficitaria- Penso che invece dovrebbe essere proprio l’Italia a dover fare un’operazione di questo tipo visto che è un paese manifatturiero fortemente esportatore, con una bilancia commercilae quasi in pareggio, che potrebbe puntare pesantemente sulle energie rinnovabili nei prossimi anni; si riuscirebbe a ridurre il debito nominale e a riavviare la crescita con una svalutazione del 20%-30% della moneta (in Germania venderemmo tante di quelle Maserati da mettere in crisi la Mercedes!); la disoccupazione conterrebbe l’inflazione-Una volta riavviata la crescita si potrebbe diminuire drasticamente e fare riforme strutturali efficaci che non ammazzino il tenore di vita della gente – Il tasso di cambio dell’euro è stato esagerato per l’Italia, ha fatto lo stesso effetto della quota 90 di Mussolini-Smettiamola con le ideologie europeiste si tratta di strumenti monetari; come fa un medico ha operare con un coltello da cucina al posto che col bisturi?
andrea
Non capisco alcune cose:
1) come può un paese con una moneta svalutata del 50% e perció con debiti raddoppiati overnight a non fare default ?
2) come può un paese che avrà tassi di inflazione da brivido a finanziarsi al 1.50% ?
3) per raddoppiare le esportazioni, la Grecia dovrebbe avere un sistema manifatturiero solido, cosa che non ha…. dunque dovrebbe costruire la propria rinascita su olive e feta ?
4) zero materie prime, scarsa istruzione, operosità da dimenticare e poca propensione al rispetto delle regole sono gli ingredienti giusti per pianificare un rilancio ?
Confucius
L’autore dell’articolo suppone che il PIL della Grecia possa risalire la china del 100% in alcuni anni. Forse ha in mente l’Argentina. Tra la Grecia e l’Argentina ci sono alcune piccole differenze: l’Argentina è un paese dotato di risorse naturali, non foss’altro che l’enorme estensione di terreno, e si trova dalla parte “giusta” del mondo, quella che cresce (Brasile), mentre la Grecia si trova dalla parte “sbagliata, quella che si avvizzisce (Europa). Che dovrebbero esportare i Greci oltre alla feta ed alle olive? Esiste una alta tecnologia greca? I Greci hanno speso ingenti risorse per la ricerca e lo sviluppo? Sono all’avanguardia nelle nanotecnologie? nei nuovi materiali? nel biomedicale? Quanto al congelamento dei crediti fino ad un periodo di trenta anni, ha l’autore un’idea di quale sarà la geopolitica tra trenta anni? Probabilmente la lingua commerciale sarà il cinese e l’inglese sopravviverà soltanto perchè in India non c’è una lingua nazionale come il dialetto Han. Gli USA saranno come la Gran Bretagna thatcheriana e la Germania sarà per la Russia quello che la DDR era per l’URSS. E la Grecia esisterà ancora?
Osservatore fuori dal coro
A Confucius e a quelli che pensano che l’Argentina sia cresciuta, dopo il default, perché ricca di materie prime e che dunque abbia fondato la ripresa sulle esportazioni, segnalo che in realtà, come ha scritto di recente Paul Krugman sul New York Times, ed altri economisti hanno confermato, la ripresa Argentina è stata tutta basata sullo stimolo della domanda interna e non sulle esportazioni. E’ ora di iniziare a pensare in termini di deglobalizzazione dei mercati, sopratutto di quelli finanziari. Guardate che la Cina e l’India, vista la crisi europea, hanno iniziato a ripensare la propria economia su basi autocentriche, privilegiando la domanda aggregata interna rispetto alle esportazioni. Aprite gli occhi. La salvezza non sta nel liberoscambismo assoluto e deregolato, che è quello che ci ha portato al disastro attuale. Osservatore fuori dal coro
Piero
Monti ha garantito che riporta a casa gli eurobond, se però ciò avviene con il piano Prodi/Gros abbiamo toccato il fondo, privarci delle riserve auree e delle partecipazioni statali delle Ferrovie, delle Poste, della Rai dell’Eni, cio’ sicuramente vuole dire uccidere le generazioni future, che pare stiano tanto a cuore a Monti; la tutela delle generazioni future avviene spostando la tassazione dal lavoro alla rendita e quindi solo con l’inflazione strisciante del 4% per un decennio riesce a riequilibrare lo stato sociale, naturalmente vanno garantite le fascie deboli; i provvedimenti da prendere sono nel breve periodo l’annuncio da parte della bce dell’acquisto di almeno il 50% dei debiti statali in un decennio, l’altro il fiscal compact con gli eurobond per le infrastrutture di utilità europea, tutti lo sanno occorre avere il coraggio di puntare i piedi in Europa per tali misure, in difetto addio Euro ( l’Inghilterra con la sua politica, che ha potuto fare stando fuori euro ma dentro all’Europa è diventato il paese più interessante per gli investimenti esteri).
andreag.
Leggere ipotesi di uscita dall’euro per poter esportare di più sperando in una svalutazione del 20-30% e nella disoccupazione che tenga ferma l’inflazione … non ha prezzo! Se diamo ragione alle stime di Passera, poco più di 1/3 dei giovani sono senza impiego e 1/4 di tutti gli altri adulti in età da lavoro in verità sono disoccupati, e se sommiamo i sottoccupati allora… ciao! Queste sono stime a oggi: siamo sicuri che con l'”Itaexit” le aziende tengano queste percenli di occupati? E le crisi sociali le ignoriamo? In ogni caso se speriamo che la disoccupazione tenga ferma l’inflazione malgrado una svalutazione della moneta, vuol dire implicitamente che speriamo che la domanda inerna non decolli e tutto il surplus di ricchezza rimanga alle aziende che esportano e allo Stato che le tassa.
bob
quello che giustamente dice Osservatore fuori dal coro è stato confermato dal Ministro dell’Econnomia dell’ India in una intervista a Report 1 mese fa. Alla domanda sull’interesse del mercato Europeo rispose “privilegiamo e stimoliamo quello interno, anche perchè più grande…”. Essendo un piccolo imprenditore ( alimentari) da decenni vado dicendo che la nomea dell’Italia esportatrice è una delle tante bufale che raccontano. Quante macchine FIAT avete visto in giro per l’Europa? Io da 20 anni ne avrò contatte 10. Essendo il nostro Paese fatto di piccole e medie aziende i dati dell’esportazione sono fasulli ( basta gonfiare fatture per recuperare l’IVA e il gioco è fatto. Vicenza con il distretto della concia insegna). Nessun Paese può prescindere dal mercato interno. Vi do i numeri di una nota marca di accessori italiana: nel negozio di un centro commerciale a Roma sabato scorso, la commessa (non prende stipendio da 2 mesi) ha battuto alla cassa: 1 maglia 18 euro, un pantalone 45 euro + la sostituzione di una giacca. A fronte di questi numeri, le statistiche diventano passatempi, la realtà è drammatica
Stefano Valenti
Era ora che qualcuno cominciasse apertamente a parlare del fatto che, per alcuni paesi dell’Eurozona, l’unica soluzione ragionevole a un dissanguamento progressivo (ma neanche tanto lento) delle loro economie sia proprio la tanto deprecata uscita dall’euro. Visto che i paesi forti non sono disposti né a sostenere le economie dei paesi deboli dell’eurozona, né a dar loro il tempo necessario perché le tanto invocate riforme strutturali sortiscano i loro effetti, tanto vale lasciare andare le pecore nere. Le si considera zavorra, no? Se tali sono, meglio mollarle. Il paragone con la Repubblica Argentina è forse improprio: meglio pensare alla Gran Bretagna che, nel 1932, abbandonò la pretesa di difendere una parità aurea eccessiva e accettò una svalutazione, e la cui economia iniziò a riprendersi, e all’Italia che, in quegli stessi anni, sprofondò nella crisi anche a causa della pretesa di mantenere una parità aurea assolutamente irrealistica.
ALDO
Mi sembra decisamente forzata la traslazione tra surplus commerciale e capacità di rimborsare il debito pubblico. Il surplus commerciale contribuisce sì ad aumentare le entrate fiscali, ma in una proporzione piccola rispetto al saldo totale. In generale, sul piano delle conseguenze interne della Grecia, tutto l’articolo mi sembra decisamente sbilanciato verso i vantaggi di una uscita dell’euro, trascurando o ignorando molti altri fattori negativi. Convengo che piuttosto che una lunga agonia ci possa essere un momento in cui sia meno peggio uscire dalleuro. La Grecia non mi sembra arrivata a quel punto, ma potrei sbagliarmi. Per lItalia invece sono convinto che sarebbe di gran lunga prematuro ed un enorme sbaglio. Anziché uscire dalleuro, cambiamo la classe politico-dirigente, quella attuale ci ha condotto nella situazione attuale e se non la blocchiamo ci porterà al punto di rottura.
lorenzo magni
Purtroppo lei, Krugman e tutti quelli che illustrano l’apologia dell’Argentina dimenticano che questa cresce, come giustamente dice cofucius, perché sta dalla giusta parte del mondo ma soprattutto perchè facendo default si riparte da zero debiti, facile sviluppare la domanda interna stimolandola col debito, però si ricordi che oggi l’Argentina si indebita su mercati off-shore a costi molto, molto più elevati ed è tornata alla canna del gas, nonostante le risorse che possiede, tanto che è stata costretta a nazionalizzare la Repsol…
Piero
Chi dice che l’euro tutela le nuove generazioni afferma la piu’ grossa falsità della storia, con l’euro come concepito dalla Germania ( moneta forte da non svalutare mai) si ha la tutela della rendita a scapito del lavoro e dell’impresa, naturalmente non penso che la rendita stia nelle mani dei giovani, forse nelle mani dei genitori tuttalpiù; solo la svalutazione del cambio con l’inflazione importata sposta la ricchezza dalle generazioni passate alle generazioni future, naturalmente vi dovranno essere delle tutele per le fascie deboli. Ma questo Monti non lo dice, si appella ai giovani, fa tutto per loro, ma alla fine sta conservando lo status quo, la rendita i grossi patrimoni finanziari.
Michela
Mi scuso, non sono un’economista, ho solo una domanda: cosa dovrebbe esportare la Grecia per far “tornare” il proprio Pil ai valori attuali? E gli altri paesi dell’area euro (prima la Germania) permetterebbero questo tipo di concorrenza?