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IL FEDERALISMO NELLA SPENDING REVIEW

Attraverso la spending review il governo cerca gli oltre 4 miliardi di risparmi promessi entro il secondo semestre 2012. Ma il federalismo fiscale può abortire di fronte a una revisione della spesa attuata d’imperio dal governo centrale e diretta non solo a estendere la regola dei prezzi Consip, ma anche a individuare i consumi unitari ottimali. Più probabile comunque che il processo si arresti sotto un’ondata di ricorsi. Non ci sono alternative alla concertazione con i governi locali.

La revisione della spesa (spending review) che il governo dovrebbe avviare tra poco, in cerca dei 4,2 miliardi di risparmio promessi entro il secondo semestre del 2012, come impatterà sul federalismo fiscale? All’inizio della storia, la revisione avviata da Tommaso Padoa-Schioppa nel 2007-2008 concerneva solo alcuni ministeri. Era peraltro ovvio che dovesse estendersi a tutta l’amministrazione centrale, e così avvenne presto con la legge 196/ 2009 e il decreto 123/2011. Ma per le Regioni e gli enti locali le dettagliate norme sul cosa e come valutare diventavano solo “disposizioni di principio ai fini del coordinamento della finanza pubblica”: raccomandazioni, insomma, e nulla più. Il governo Monti, invece, non sembra affatto arrestarsi di fronte all’autonomia locale e annuncia una revisione estesa a tutte le amministrazioni pubbliche. Siamo in un terreno in cui contano i dettagli. Meglio quindi aspettare l’annunciato piano Bondi-Giarda prima di pronunciarsi. Ma qualche riflessione anticipata conviene farla sulle questioni di principio.

GUIDATI DAL CONCETTO DI “STANDARD”

Se si guarda alla ragioni di fondo, il federalismo italiano appare basato su due solidi dati strutturali, uno universale e uno nazionale. A livello universale si osserva nei paesi economicamente maturi l’avanzamento della cultura del glocale, come si usa dire. Si tratta della tendenza al decentramento come desiderio di fedeltà alla proprie radici e di soddisfazione delle peculiari esigenze della propria comunità, in un mondo reso più ricco ma anche più uniforme dalla globalizzazione. E a livello nazionale c’è il radicato rifiuto della finanza centralistica, giudicata fallimentare di fronte al perdurante dualismo Nord-Sud, il cui superamento ne costituiva l’obiettivo e la fonte di legittimazione. Da qui la riforma costituzionale del 2001 e l’elaborazione abbastanza bipartisan del federalismo fiscale nell’ultimo triennio.
Cosa succede quando questa tendenza di fondo si scontra con una grave crisi economica? Vi sono due forze contrastanti all’opera. A favore del federalismo sta la sua relativamente maggiore capacità di prelievo. Anche quando il contribuente è vicino alla rivolta fiscale contro l’erario, mantiene qualche margine di disponibilità per un prelievo locale il cui gettito venga speso nell’ambito della sua ristretta comunità. Ecco allora che in epoca di crisi il governo nazionale tende ad addossare al governo locale più oneri in cambio di una maggiore autonomia. (1)
Contro il federalismo sta invece la logica emergenziale. La storia, a partire dal New Deal di Roosevelt nella grande depressione, ci dice infatti che l’emergenza, quella economica non meno di quella fisica, tende di norma a rafforzare il centro rispetto alla periferia. E una crisi prolungata crea una situazione di emergenza, che induce il governo centrale a non pazientare con le autonomie locali. A maggior ragione in una situazione come quella italiana in cui tutti sanno che molti sprechi si annidano nella spesa locale. In realtà, stando alle norme già approvate, il federalismo italiano, non dissimile in questo dal federalismo estero, ha la sua ricetta contro tali sprechi, basata sullo standard: la solidarietà nazionale verso chi sta peggio scatta solo quando le entrate standard non bastano a coprire i fabbisogni standard, non già di fronte a evasione o spesa di livello abnorme. Perciò il federalismo fiscale italiano mette al centro il concetto di costo o fabbisogno standard; e già lo applica nella sanità, mentre lo sta ancora ricercando a livello di spesa di comuni e province.

IL RISCHIO DEL VICOLO CIECO

Vuole ora il governo fare subito e da solo, togliendo l’incomodo alla Sose, la società del Tesoro specializzata negli studi di settore, e al centro studi degli enti locali che ci lavorano da mesi con risultati parziali e incerti? L’interrogativo è giustificato, se si considera il comunicato emesso il 28 maggio 2012 dal Comitato interministeriale per la revisione della spesa, che così configura le macro aree di intervento individuate dal commissario Bondi: “ottimizzazione dei prezzi/costi unitari; ottimizzazione delle quantità/consumi unitari; integrazione e razionalizzazione degli strumenti già esistenti per raggiungere gli scopi sopra indicati”.
Nessun grave problema politico per l’estensione alla periferia degli acquisti a prezzi contrattati a livello nazionale, secondo le regole Consip. Ma se si determinano anche le quantità, si regola l’intera gestione, e i prezzi e le quantità ottimali così individuate configurano per definizione i costi standard da adottare per imposizione governativa.
Se davvero il governo è tentato di seguire simile strada, è doveroso un segnale di allarme. Anche se riuscisse a percorrerla, producendo la morte di un federalismo ancora incompiuto e gracile, sarebbe un esito negativo, perché il federalismo è un buon obiettivo da realizzare, non un errore da eliminare. Ma è più probabile che sia una strada chiusa. Già le autonomie locali sono state ferite dal decreto sulla Tesoreria unica, che le ha private dei più vantaggiosi contratti di gestione della cassa attraverso banche locali, inducendo alcuni governi locali a ricorrere alla Corte Costituzionale. Sono inoltre esasperate dalla feroce stretta fiscale cui sono sottoposte, tra Imu che crea rivolta e patto di stabilità che impedisce gli investimenti. Se si tira la corda con decisioni non condivise sui costi standard, è da attendersi che il processo sia subito bloccato da un’ondata di ricorsi. Anche perché le difficoltà di valutazione sono oggettive, sicché nessun decisionismo può sostituire l’analisi; tanto è vero che anche nei ministeri la revisione della spesa avviene coinvolgendo i ministeri stessi.
Ben venga quindi la revisione della spesa nelle Regioni e negli enti locali; ma nei modi e tempi giusti, senza tentazioni neocentralistiche, con la dovuta concertazione e senza l’ossessione dei risultati immediati.

(1) È quanto avvenuto in Italia con la manovra dell’agosto 2011, che anticipò e inasprì la stretta fiscale sui bilanci locali, anticipando al contempo l’attivazione dei margini di autonomia tributaria riconosciuti a regioni e comuni. Vedi A. Zanardi, “Il cerino finito in mano ai sindaci”, Il Sole-24Ore, 15 agosto 2011.

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LA RISPOSTA AI COMMENTI

  1. sara finzi

    bene, questo dato del federalismo spiace anche a me, però devo dire che io mi fido di Bondi e Monti e non dei partiti! Quindi se lo fa Bondi tenendo ovviamente conto delle cose serie va bene, basta che non lo facciano i partiti politici! Bondi ad un certo punto ha tutto il diritto di chiedere perchè i costi per paziente in lombardia sono tot ed invece in sicilia o calabria sono molto più alti! E dunque mi pare giusto che mandi ad amministrare e sostenere queste regioni da una pattuglia di tecnici nominati da Monti o Bondi. Non ci sono altre vie per imporre la riduzione degli sprechi ed anche ben altro a certe regioni! Per 5 anni saranno affiancate. Le regioni rubano anche loro molti soldi. Dunque che temporaneamente si accentri e si diano direttive sensate e rigide e suprattutto sia possibile commissariare le regioni non virtuose.

  2. f.zadra

    Se non si arresta la folle corsa della spesa della P.A. riportandola dentro i criteri di una normalità corrispondente alle possibilità del ns Paese ,non ci saranno aumenti di imposte o del Pil che tengano :andremo a finire in malora.

  3. Luigi Oliveri

    Da quando è stata approvata la riforma costituzionale del Titolo V la spesa locale è esplosa. Non si può dire che il "federalismo" all'italiana abbia ben funzionato. E' stato anche la scusa per tagliare trasferimenti da Stato a regioni ed enti locali, ma senza ridurre la spesa dello Stato, inducendo gli enti territoriali ad aumentare le tasse, con un contributo decisivo all'impennata della pressione fiscale. Sicuramente, invece di pensare di poter imporre "quantità" di beni e servizi da acquisire (folle pensare di imporre medesime quantità ad un comune turistico invece che a uno montano…), sarebbe opportuno imporre la spending review su specifiche voci. Era, in fondo, il vecchio sistema di realizzazione del patto di stabilità. Applicandolo rivisto con gli standard potrebbe consentire di prevedere precisi tetti di spesa a ciascun ente, obbligandolo a tagliare rami secchi (consulenze, contributi a pioggia, spese per convegni, manifestazioni, comunicazione, etc…).

  4. antonio petrina

    Ogni idea buona la si scopre dopo molti e ripetuti sbagli e tra queste l’ottima idea di attuare l’art.119 della Costituzione e quella recente del pareggio di bilancio : non è buona idea europea , inserita nel fiscal compact ,quella di rientrare nei debiti o no ? é buona idea anche quella di ridefinire il patto di stabilità interno ? Allora se nell’emergenza , come nel new deal,si scopre che il centro fa meglio della periferia, si vada realmente verso questa strada con la coerente revisione della spesa sia del centro e della periferia ,coerentemente con i programmi di tagliare tutti i rami secchi e tra questi , ad es. quelle mini province sarde ,di cui il popolo ha nel referendum del 6 maggio, decretato di chiuderle ! Abbia il coraggio il centro di prendere decisioni indefferibili per evitare ancora laddove sono sprechi e regalie!

  5. serlio

    I nostri politici, nella loro ignoranza amministrativa, hanno ignorato alcune regole base della gestione, quale quella di imporre alle regioni criteri omogenei per la redazione dei bilanci, cosicchè ora non sono confrontabili, se non nei loro deficit inoltre hanno aumentato i centri di spesa, facendo sempre capo ai soliti bancomat, che già da tempo si trovano a pagare imposte comunali, provinciali, regionali e statali con il conseguente aumento del carico fiscale a valori ignobili per un paese civile (sopratutto in relazione alla qualità ed alla quantità dei servizi resi…)

  6. Alberto Vezzali

    L’unica spending review efficace e duratura può essere solo l’abolizione delle province e il taglio netto del numero dei comuni. Nessuno sembra accorgersi dell’assurdità di avere comuni con 1000-2000 abitanti (e anche meno in montagna), con una moltiplicazione incredibile di spese e un aggrovigliamento di competenze (lo si vede bene nella gestione delle emergenze), che porta all’immobilismo. Il solo taglio delle province non basta, perchè a quel punto si creerebbe un divario dimensionale eccessivo tra regioni grandi e comuni minuscoli; l’accorpamento dei comuni dovuto al taglio del numero porterebbe invece ad una loro crescita anche qualitativa, in termini di servizi, bacino d’utenza, valorizzazione delle competenze, economie di scala, ecc. E’ una cura da cavallo per i dipendenti della PA, ma se andiamo avanti così il cavallo rischia di schiattare sotto il peso abnorme del cavaliere.

  7. Carlo Bozzi

    Putroppo il rimedio deve essere estremo, perché il malcostume è talmente diffuso e radicato che si può rialzare la testa solo usando la mano ferma (e a volte il pugno chiuso). Bondi sa benissimo che il trucco per aggirare i costi standard sarebbe nel compensare con quantitativi esorbitanti. La siringa non può costare più di 1 Euro, quando in alcune regioni ne costa 5? Le ASL spendaccione ne ordinerebbero cinque volte tanto per mantenere i legami clientelari. Se ci sono altre soluzioni rapide rispetto al centralismo decisionale, io non le vedo. Principi di trasparenza e accountability sono così difficili da implementare che sarebbero validi per la prossima crisi… cordialmente.

  8. Piero

    Non si puo’ tornare indietro, ricordiamoci che il debito statale è stato prodotto dalla prima repubblica per la mancata responsabilità dei governi dell’epoca, duravano al massimo sei mesi, erano irresponsabili per forza, era più facile fare politiche di spesa che di rigore. Il federalismo è una buona riforma dove il cento ha meno poteri, ciò sicuramente va onero gli obbiettivi di Monti che vuole accentrare tutto nemmeno a Roma ma bensì a Berlino.

  9. fd64

    Occorre una politica selettiva….tagliare i piccoli comuni renderebbe ben poco ….meglio prevedere l’obbligo di convenzionare per i comuni sotto i 1000 tutti i servizi con i comuni limitrofi allo stesso modo accorpare le province costerebbe meno e darebbe meno problemi che sopprimerle infine evitare che dopo la soppressione delle comunità montane e dei consorzi, palesi carrozzoni, il problema si riproponga favorendo quegli enti di secondo grado come le unioni di comuni che comportano solo duplicazione di organi e spesa…

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