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GIOVANI DISOCCUPATI ITALIANI TRA MITO E REALTÀ

I recenti dati Eurostat hanno fatto gridare all’allarme disoccupazione giovanile. Ma un tasso di disoccupazione del 33 per cento vuol solo dire che un giovane su tre, tra quelli che hanno cercato lavoro, non l’ha trovato. Ed è un dato tutto sommato costante per il nostro paese. Quello che è troppo basso è il tasso di attività: solo il 29 per cento dei giovani italiani partecipa al mercato del lavoro. Ancora più preoccupante è quel 19 per cento di “Neet”, ovvero di giovani che non lavorano né studiano. Ed è su di loro che dovrebbe concentrarsi l’attenzione della politica.

Nelle ultime settimane, con la pubblicazione dei nuovi dati di Eurostat, i media, soprattutto italiani e spagnoli, hanno gridato all’allarme disoccupazione giovanile. Il fenomeno ha raggiunto il 33 per cento in Italia e il 49 per cento in Spagna, contro una media europea del 22 per cento. Per l’opinione pubblica queste cifre superano la soglia dell’accettabilità. Se da un lato l’aumento della disoccupazione non dovrebbe sorprendere in fase di recessione, a ben guardare si scopre che il vero problema è strutturale.

UN FENOMENO STRUTTURALE

I dati mostrano infatti vari aspetti sorprendenti.
Il rapporto tra disoccupazione giovanile (ovvero per la fascia 15-24 anni) e la disoccupazione per il nucleo principale della forza lavoro (25-49) in Italia è rimasto pressoché costante a partire dalla metá degli anni ’90 e si assesta ad oggi intorno al 4:1.  Anche in Spagna, Francia e Germania, si osserva poca variazione in questo rapporto, pur se i livelli sono molto diversi.

Figura 1: Rapporto tra disoccupazione giovanile e prime age

Fonte: Eurostat, Labour Force Survey

Vale la pena di notare che in Italia il rapporto tasso di disoccupazione giovanile/disoccupazione prime age non è diminuito dopo le più importanti riforme del mercato del lavoro. Quale impatto avranno allora le riforme del governo Monti?
Se è giusto guardare alle percentuali, non bisogna dimenticare le cifre assolute dalle quali le percentuali vengono ricavate. 33 o 50 per cento vuol dire che i giovani in cerca di lavoro erano nell’ultimo trimestre del 2011 esattamente 566.400 in Italia e 884.100 in Spagna. È interessante scoprire che ce ne sono molti di più nel Regno Unito (paese per dimensioni comparabile all’Italia): un milione. Che cosa ci dice il fatto che il paese europeo con il mercato del lavoro più flessibile detiene il record dei disoccupati giovanili?

Tabella 1: Disoccupazione 15-24 (1,000) – quarto trimestre 2011

EU27

Germania

Spagna

Francia

Italia

Polonia

UK

5,372.7

352.4

884.1

648.8

566.4

431.5

1,001.8

Fonte: Eurostat, Labour Force Survey

Visto il rapporto pressoché costante dei tassi di disoccupazione giovanile/disoccupazione prime age non sorprende che la quota dei giovani nel totale dei disoccupati sia anch’essa molto costante. Ma in questa misura l’Italia non è lontana della media comunitaria: i disoccupati giovani (0,6 milioni) sono pari a meno di un quarto (23 per cento) del totale dei disoccupati italiani, che sono 2,4 milioni. È difficile dire se sia un dato positivo o negativo, ovvero se è meglio che siano i giovani ad assorbire lo shock della disoccupazione o i loro genitori.

Tabella 2: Disoccupazione giovanile come % del totale, quarto trimestre 2011

EU27

Germania

Spagna

Francia

Italia

Polania

UK

23

15

17

24

23

25

39

Fonte: Eurostat, Labour Force Survey

COSA FANNO I GIOVANI ITALIANI

Il tasso di disoccupazione non è una misura delle persone che non lavorano: un tasso di disoccupazione del 33 per cento non vuol dire che un giovane su tre non lavora, ma che un giovane su tre, tra quelli che hanno cercato lavoro, non l’ha trovato. Più interessante è porsi un’altra domanda: quale percentuale della popolazione giovane cerca lavoro, ma non lo trova? Si scopre allora che la risposta non è il 30 per cento, bensì il 10 per cento.
Per completare l’analisi, oltre al tasso di disoccupazione è quindi necessario osservare un altro dato: il tasso di attività, ovvero la somma tra quelli che lavorano e quelli che cercano lavoro. Anche qui un’altra scoperta: il tasso di attività (o partecipazione) è incredibilmente basso in Italia. Solo il 29 per cento dei giovani italiani partecipano al mercato del lavoro, metà del valore inglese o tedesco e uno dei valori in assoluto più bassi di tutta l’Unione Europea.

Tabella 3: Tassi di attività, quarto trimestre 2011

EU27

Germania

Spagna

Francia

Italia

Polonia

UK

43

53

39

37

29

34

59

Fonte: Eurostat, Labour Force Survey

Dove sono quindi gli altri giovani? Poco più della metà è a scuola o all’università. Un’altra parte, ed è quella più silenziosa e più pericolosa, rientra nella fascia “Neet”: non lavora e non è in education/training. Questa fascia dovrebbe preoccupare di più perché non solo non lavora, non solo non cerca lavoro, ma neanche accumula capitale umano da spendere quando la fase negativa del ciclo sarà passata. Nel 2010, la percentuale di ragazzi “né né” ammontava al 19 per cento, ancora una volta uno dei valori più negativi di tutta l’UE.

Tabella 4: NEETs, % della popolazione 14-24 anni

EU27

Germania

Estonia

Spagna

Francia

Italia

UK

12.8

8.3

14.5

18.0

12.5

19.1

13.7

Fonte: Eurostat, Population and social conditions

In conclusione, la fotografia degli italiani in età 15-24 anni è la seguente: poco più del 50 per cento è a scuola o all’università. (1) Il 19 per cento è inattivo (e neanche studia) e il restante 29 per cento è attivo, e tra questi 64 su 100 con un lavoro e 36 senza.

Figura 2: istantanea della popolazione italiana in età 15-24 anni

Fonte: elaborazione dati su Eurostat

I disoccupati non costituiscono dunque un terzo dei giovani italiani, ma soltanto il 10 per cento circa della popolazione totale in età 15-24 anni.
Questa rapida rassegna della disoccupazione giovanile suggerisce che la vera sfida per la politica italiana non sono altre riforme del mercato del lavoro, ma altre riforme che inducano i giovani a rimanere attivi: può significare sia studiare sia lavorare.

(1) Il 52 per cento si riferisce ai giovani che studiano full time ed esclude quelli che studiano e lavorano, con i quali la percentuale di giovani che studia sale al 58 per cento.

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27 commenti

  1. Alfredo

    I giovani preparati o meno non cercano più un lavoro perchè quel poco di lavoro che c’è continua ad essere assegnato solo ed esclusivamente per raccomandazione, quindi chi non ce l’ha si rassegna e non ci prova più. La cosa più grave è l’offesa che viene fatta ai giovani che si presentano nei concorsi pubblici dove anche in qiesti casi ci vuole la raccomandazione; infatti basta guardare i tabulati del personale nelle varie amministrazioni, tutti parenti di politici, funzionari degli stessi enti e sindacalisti.

  2. Roberto

    Per avere una visione più veritiera della disoccupazione giovanile bisognerebbe analizzare la somma dei disoccupati (15-24) con i neet per ogni paese. Inoltre sarebbe interessante analizzare anche la disoccupazione della fascia d’età (25-29), quella più grave perchè solitamente riguarda i neolaureati. Questi dati darebbero la reale situazione della disoccupazione giovanile per ogni nazione.

  3. giulio savelli

    A conclusione dell’articolo sarebbe da notare il beffardo totale che si ottiene sommando il 10% dei disoccupati al 20% di coloro che non cercano lavoro né studiano: ancora una volta un giovane su tre, che voglia lavorare o no, di fatto è a spasso. Ma c’è un’altra annotazione da fare: la differenza fra ciò che si intende per “giovane” nelle statistiche europee e ciò che si intende nel linguaggio comune in Italia: i “giovani che non trovano lavoro” sono spesso, perlopiù direi, in Italia, trentacinquenni laureati, con master e stage, che vagabondano in ansia da una prestazione non pagata e una fintamente retribuita. Sono loro (quanti esattamente?) a fare il problema. Gli altri – quelli individuati nell’articolo – sono un problema, ma non specificamente italiano a quanto pare.

  4. Adriana

    A volte la “fonte di reddito” è esigua e, inoltre, da alcuni mesi, molti non possono permettersi nemmeno la pensione, pure esigua, a causa delle nuove norme. Sono questi i 50-60enni “egoisti”? Raccontiamone un’altra. Sono una quasi sessantenne senza figli, forse egoista e forse no, che si augura di rimanere in salute in quanto obbligata ancora a lungo a un lavoro che, per fortuna, le piace. La prospettiva è una pensione esigua, a fronte di uno stipendio da modesta dipendente statale. Sì, forse sono proprio egoista.

  5. marco

    Penso sia molto sbagliato creare divisioni tra le varie generazioni e innescare la classica guerra tra poveri. Il problema dei giovani disoccupati come dei pensionati poveri o degli esodati credo che si possa risolvere solo con una lotta civile pacifica e solidale che riesca a determinare una maggior ridistribuzione della ricchezza nelle società capitalistische ad ideologia neoliberale dell’occidente. La Tobin Tax potrebbe essere un primo passo, la riforme delle aliquote irpef un’altra, il reddito minimo garantito un’altra ancora, ecc. il vero problema è quello del 99% contro l’1%. Bisogna riformare il welfare e la tassazione in questo senso

  6. luca

    personalmente trovo inutili questi dati. prendono in considerazione una fascia di età (15-24) che non è indicativa. 1) perchè in italia si finisce l’università in genere intorno ai 25. 2) perchè vi è la scuola dell’obbligo in ogni caso sino ai 18. occorrerebbe esaminare una fascia d’età differente 25-35. lì avremmo una bella sorpresa vedendo come l’italia sia molto indietro rispetto al resto d’europa. ma non c’è la volontà di mostrare certi dati.

  7. Daniele Ravaioli

    Grazie per l’ottima analisi dei dati. 1) Concordo sul fatto che sarebbe interessante studiare i dati disponbili anche per l’age group 15-29 oltre che 15-24. In alcuni paesi i dati sul mercato del lavoro giovanile vengono presentati sull’age group 15-29 proprio per le condizioni strutturali del mercato del lavoro in quei paesi dove la transizione scuola-lavoro avviene in età più avanzata. Nonostante la questione di armonizzazione delle statistiche per la comparazione dei dati a livello internazionale credo che i dati disponbili per i paesi della EU protebbero permettere facilmente questa ulteriore disaggregazione… e forse ci potrebbero fornire qualche info utile in più. 2) Sarebbe interessante riportare anche il dato su i “discouraged workers” vista l’alta quantità di giovani inattivi. Questo potrebbe fornire indicazioni utili sulla qualità dei servizi all’impiego disponbili in Italia e comprendere attraverso best practice in altri paesi con minori livelli di giovani in questa categoria come migliorare i nostri servizi pubblici. 3) Paragoni in termini di livello salariale e durata/tipologia dei contratti credo completerebbero meglio l’analisi. Grazie ancora per l’articolo

  8. FDv88

    Bisogna vedere quanto incide il lavoro in nero. Sinceramente, io vedo con i miei occhi una situazione un po’ diversa. Buonissima parte dei miei ex compagni di scuola (elementari, medie, superiori) lavorano! Io stesso, una volta diplomato (Ragioneria), ho avuto chiamate con offerte. Per i laureati sapevo di dati attuali dove si dice che l’80% trova lavoro. La mia impressione è che i dati disfattisti, siano tutti portati all’estremo (e a volte ho paura che sia una mera propaganda ideologica delle proprie idee, anche se non corrispondono totalmente al vero). Non dico che non esista la raccomandazione ma io vedo che molti trovano ancora lavoro per le proprie capacità. Io stesso ho avuto chiamate solo per essermi diplomato con 80/100… Questa sarebbe immeritocrazia? Non capisco… Io l’apocalisse non la vedo. La mia impressione è che il dato sia ben più alto di quel 29%. Poi, forse dipende anche dall’età presa in considerazione: Dai 15 ai 19 anni la maggioranza sono studenti della scuola secondaria… Anche perchè al di sotto di una certa età vige l’obbligo scolastico. Grazie che in certe età l’istruzione è così alta.

  9. SAVINO

    L’egoismo dei 50-60enni, che preferiscono mantenere i figli continuando ad avere una fonte di reddito tutta loro piuttosto che dargli un avvenire, ha fatto in modo che, sugli esodati è scoppiato il pandemonio, mentre ci si è dimenticati completamente dei più giovani, i quali non studiano più semplicemente perchè hanno già studiato. I loro padri, studiando molto meno e sapendone molto meno, sono nei posti sociali rilevanti.

    • La redazione

      Non si possono considerare egoisti i 50-60enni che lavorano per due motivi. Prima di tutto bisogna considerare che la quantita’ di posti di lavoro nel mercato non e’ fissa: i lavori scompaiono, appaiano e cambiamo per effetto della tecnologia. Non bisogna quindi pensare che i nonni devono uscire dal mercato del lavoro per far spazio ai nipoti. In secondo luogo, sarebbe molto piu’ egoista andare in pensione quando si e’ ancora relativamente giovani perche’ vorrebbe dire scaricare il costo della propria pensione sulla forza lavoro piu’ giovane.

  10. maria

    Interessante è sommare quel 10% di disoccupazione citato dall’articolo (36% del 28%) con il 19% di Neet sul totale di giovani. La somma porta ad un 29% di giovani che non lavorano, siano essi nella fase di ricerca di lavoro oppure appartenenti alla categoria Neet. Sarebbe interessante verificare quali siano i valori corrispondenti negli altri stati europei (una tabella infatti riporta la quota di Neets, ma non la percentuale di giovani disoccupati)

    • La redazione

      Vero, sommando disoccupati e NEETs, il 30% ritorna. Ma e’ importante distinguere le due categorie: i disoccupati sono alla ricerca di un lavoro e in parte a causa della crisi, in parte a causa del mismatch tra competenze offerte e richieste, non lo trovano. I NEETs invece non cercano e non studiano neanche, cosa che rende molto meno probabile la possibilita’ di trovare lavoro anche quando la crisi sara’ passata. Per quanto riguarda ‘i giovani meno giovani’, il loro tasso di occupazione (indicatore migliore del tasso di disoccupazione per misurare la temperatura del mercato del lavoro), resta inferiore in Italia rispetto agli altri paesi europei (58.8 a fronte di una media EU del 72.1 per la fascia d’eta’ 25-29). Ma anche qui, il problema non e’ dei giovani in particolare. Il tasso di occupazione italiano e’ basso anche per i prime age workers  71.2% in Italia e 78 nell’UE27.

  11. davide

    Preferirei spostare l’attenzione su quel 64% di giovani “attivi” dove si intende qualsiasi tipo di impiego. la questione da considerare è se partecipare ad uno stage non retribuito, ad un tirocinio senza alcuna prospettiva o ad un apprendistato (nel quale spesso paradossalmente si richiede esperienza pregressa) non siano da considerare catgorie a sè dall’attività economica !

    • La redazione

      Quando si guarda ai dati aggregati si perdono di vista effettivamente gli aspetti relativi alla qualita’ del lavoro. Magari in un prossimo articolo potremmo approfondirla?

  12. Milena K.

    Mi chiedo quanto possa incidere il lavoro in nero su questo dato?

  13. roberto fagnoni

    Sono un insegnate di un istituto professionale e quest anno ho “conosciuto” 6 ragazzi che hanno fatto la scelta di abbandonare la scuola senza dedicarsi ad altra attività. 5 sono italiani 1 è indiana; le famiglie non sono mai venute a scuola; 4/6 non avevano problemi particolari di profitto. Sicuramente non hanno già studiato e non hanno competenze in alcun ambito spendibile sul mercato del lavoro. e

    • La redazione

      Grazie per la testimonianza, e’ sempre utile per capire cosa si nasconde dietro ai numeri

  14. Elia Pinto

    L’articolo riassume perfettamente quanto spesso noi ci immaginiamo. Vi è un punto forse che andrebbe approfondito. Parliamo di lavoro flessibile, va bene ma a che prezzo in cambio ? Io conosco bene il mercarto dell’Information Technology. Garantisco che in questo campo almeno i salari in Italia sono da terzo mondo, pur essendo il lavoro flessibile, e richiedendo una formazione continua, costante, spesso personale e … costosa. Ne vale la pena o e meglio lavorare all’estero ? Molti che lavorano nel campo dell’open source, ad esempio, già lo fanno. Facile vedere perchè http://devzero2000.livejournal.com/1582.html. Io seguo 50 mailing list, su sicurezza, open source, e affini, tutte cose molto diffuse, che creano occupazione: vedo un italiano su 1000 partecipare. Io sto anche su linkedin, su 40 gruppi di discussione. Anche qui la proporzione degli italiani è la medesima. In più ci sono TANTE offerte di lavoro, ma solo per l’estero. In sunto: nel settore high tech almeno, che dovrebbe dare maggiore innovazione e possibilità la situazione è desolante a dir poco, e non vedo speranze nell’immediato futuro. Ed è soprattutto colpa della cecità dei nostri governanti, presenti e passati.

    • La redazione

      il settore IT e’ effettivamente molto interessante perche’ uno di quelli con enorme potenziale. In teoria, il numero ristretto di persone capaci di svolgere tali mansioni dovrebbe far migliorare salari e condizioni di lavoro vista la domanda sostenuta. Da studiare meglio…

  15. Sc

    Mi sembra emerga con chiarezza che in Italia esistono delle immense aree di parcheggio in cui mettere i giovani, che adesso stanno esplodendo. Per una decina di anni si é fatto ricorso a scuole di specializzazione, master e compagnia bella che allungando di molto l’ingresso al lavoro tenevano buona una certa fetta di popolazione. Aree di parcheggio molto costose che non fornivano alcun strumento spendibile sul mercato del lavoro. Adesso si é giunti al capolinea e queste non garantiscono piú accesso al lavoro. Concludere che i giovani italiani trovano facilmente lavoro mi sembra una conclusione ben afrettata. I giovani magari non cercano lavoro ma sono parcheggiati in una università o in qualche corso di specializzazione.

  16. MAURO TRAVERSO

    La situazione economica è stagnante! Per smuovere l’acqua ferma di uno stagno da ragazzi lanciavamo un grosso sasso. Si formavano una serie di onde ad anello che raggiungevano tutti i lati della pozza. Anche per la situazione economica credo ci voglia una idea fuori dai normali schemi che potrebbe aiutare a tentare di risolvere il problema. Esiste poca disponibilità di fondi per investire? Allora non si fa niente? Non mi sembra una soluzione. L’importante è se esistono occasioni di lavoro. Copriamole rinunciando alle entrate per imposte e contributi a carico dei neo assunti ed imprese che assumono, realizzando un costo del lavoro dimezzato, non prevede nessun investimento ma potrebbe rimettere in moto l’economia. Pensate se domani mattina alcune centinaia di migliaia di disoccupati trovassero occupazione, giovani e non? Per spiegarmi invierei il progetto. Fatto su uno studio concreto. Grazie

  17. Massimiliano

    Salve, vorrei sapere chi sono i giovani che cercano lavoro/disoccupati che includete nelle vs. statistiche. Mi risulta che nelle statistiche ISTAT siano gli iscritti ai Centri Impiego, se così fosse anche per voi il dato sarebbe drammaticamente sottostimato in quanto in Italia i Centri Impiego di fatto non collocano sostanzialmente nessuno e moltissima gente di tutte le età non vi si iscrive neppure (rendendo di fatto sottostimato anche il dato sulla Disocupazione totale). In attesa di vostro chiarimento porgo distinti saluti.

  18. Bruno

    Mi sorprende il fatto di non veder menzionata la popolazione dei “lavoratori scoraggiati”,coloro che hanno rinunciato ad essere “attivi”, ossia a cercare lavoro.E’ stata una scelta dettata da esigenze tecniche o teoriche? Se sì, da quali?

  19. Mikgar

    Dire che i giovani disoccupati sono solo il 10% dei giovani, è vero ma mi sembra fuorviante. Meglio dire che solo il 40% dei giovani che non studiano hanno un impiego (e poi secondo le attuali statistiche che sono molto generose nella definizione di occupato) e quindi ben il 60% un lavoro non ce ll’ha!

  20. marco polin

    il dato riportato per disoccupazione giovanile in % sul totale per UK mi pare strano… 3% ?? Dato il valore per UK della tabella 1 (1 milione), questo significherebbe che i disoccupati in UK sono 33 milioni?!

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