L’Australia è una federazione che ha dovuto affrontare il problema dei debiti pubblici dei singoli stati. La soluzione fu trovata nel Loan Council, un organismo che ha coordinato la politica fiscale australiana fino al 1985. E in un emendamento alla costituzione che dava al governo centrale un potere eccezionale per contrastare i comportamenti scorretti degli stati. Il tutto con il sostegno incondizionato dell’opinione pubblica. Insomma, un quadro istituzionale molto diverso da quello dell’Eurozona. Eppure, non è bastato: alla fine la responsabilità fiscale è tornata ai singoli stati.

L’Australia sembra essere quanto di più lontano possiamo immaginare dall’Eurozona, ma la sua secolare esperienza nel trattare le sfide del debito pubblico in una federazione può essere di insegnamento per l’Europa.
Per affrontare quelle sfide, l’Australia ha sviluppato istituzioni altrettanto singolari come i suoi ornitorinchi e canguri. Un ruolo centrale tra queste istituzioni è stato svolto dal Loan Council, che per molti anni ha coordinato la politica fiscale all’interno della federazione e ha stabilito le regole sulla cui base il governo del Commonwealth, ovvero il governo federale, prende a prestito per conto degli stati. 
Gli insegnamenti che si possono trarre dalla storia del Loan Council sono facilmente sintetizzabili in un concetto: anche in Australia, che è uno Stato relativamente omogeneo e comprende solo un numero limitato di giurisdizioni, il federalismo fiscale non è di facile realizzazione. L’attuazione della disciplina fiscale ha richiesto forti poteri centrali e un grande sostegno dell’opinione pubblica, in particolare quando è stato necessario esautorare governi democraticamente eletti. E sebbene i politici australiani fin dall’inizio si siano preoccupati di controllare l’azzardo morale, costruire istituzioni capaci di ottenere quel risultato nella realtà non si è rivelato semplice.

IL LOAN COUNCIL

Fin dalla sua istituzione negli anni Venti e fino agli anni Ottanta, il Loan Council, che aveva il potere di approvare i prestiti richiesti dagli stati, è stato un elemento centrale del coordinamento fiscale australiano. In origine nato nel 1923 come un accordo volontario, il Council ha ricevuto il suo riconoscimento istituzionale nel Federal Financial Agreement del 1927. L’Agreement stesso fu il risultato di un lungo e controverso negoziato tra il governo del Commonwealth e gli stati: al centro del negoziato c’era appunto la questione di come trattare i debiti degli stati, sia quelli ereditati dal passato sia quelli che gli stati avrebbero avuto la necessità di contrarre in futuro.
Questi problemi erano particolarmente sentiti perché con la federazione del 1901, gli stati avevano rinunciato al diritto a esigere dazi sulle importazioni e a imporre accise sui commerci interni. Si erano così privati di quelle che erano state le principali fonti di entrate, mentre mantenevano la gran parte delle responsabilità di spesa, inclusa quella del servizio dei debiti che avevano contratto per costruire infrastrutture e per gestire servizi pubblici, spesso in perdita, ma politicamente vitali. Naturalmente, anche i fondatori della federazione erano consapevoli che un simile problema sarebbe sorto: confidavano che sarebbe stato trovato un modo per trasferire parte del peso del servizio del debito esistente al nuovo stato centrale. E confidavano anche che il Commonwealth avrebbe alla fine emesso bond per conto degli stati, in modo da ridurre i costi del debito, evitando la competizione tra stati e mettendo in comune i rischi. Tuttavia, la costituzione, nella sua forma originale, non prevedeva alcun meccanismo di questo tipo.
L’obiettivo del Financial Agreement del 1927 era appunto quello di istituirlo e nello stesso di proteggere il Commonwealth dall’azzardo morale degli stati. I termini dell’accordo prevedevano che il Commonwealth accettasse di assumersi i debiti esistenti degli stati e di garantire i nuovi, in cambio di crescenti contributi degli stati a un National Debt Sinking Fund. Gli stati, per parte loro, accettavano di coordinare tutto l’indebitamento fino al 1985 attraverso l’Australian Loan Council, nel quale il Commonwealth avrebbe avuto tre voti, in modo da garantirgli una maggioranza – e quindi il potere di bloccare i prestiti di un singolo stato – con il sostegno di solo due dei sei stati. Come ulteriore controllo sui comportamenti scorretti, ogni stato che prendeva un prestito per finanziare un deficit di entrate doveva pagare al fondo interessi a tassi punitivi.
Fu dunque scritta una nuova sezione della costituzione, la 105A, che permetteva al Commonwealth di acquisire e gestire il debito, e di emetterne di nuovo, per conto di uno o più stati. La nuova sezione prevedeva anche che se il Commonwealth fosse stato chiamato a far fronte al debito di uno stato con le garanzie date, avrebbe potuto chiedere ed esigere il rimborso, da parte di quello stato, dei costi nei quali fosse incorso. Inoltre, la nuova sezione attribuiva al Commonwealth un potere illimitato per attuare il Financial Agreement: poteva emanare qualunque legge per farlo, “indipendentemente da questa costituzione e dalle costituzioni dei diversi stati o da ogni legge del Commonwealth o statale”. In altre parole, e caso unico nella costituzione australiana, sulla base dell’Agreement, il Commonwealth poteva oltrepassare tutte le altre tutele costituzionali per far valere i propri diritti.

LA CRISI DEL NEW SOUTH WALES

La credibilità di quei vasti poteri e della volontà del Commonwealth di far valere i termini dell’Agreement furono presto messi alla prova. Il New South Wales era una Grecia d’Australia su più larga scala e con circa la metà dell’allora reddito nazionale australiano.
Come gli altri stati, il New South Wales aveva speso moltissimo negli anni Venti, anche per linee ferroviarie inutili e inattuabili piani di insediamenti militari. Come per gli altri stati, quella spesa era stata finanziata in larga parte da prestiti della Gran Bretagna. Ma i costi del servizio del debito estero erano quasi raddoppiati nel corso degli anni Venti, con i pagamenti per interessi che crescevano rapidamente in relazione al reddito prodotto dalle esportazioni e alle entrate per il governo. La crisi del 1929 chiuse ogni accesso ai prestiti per l’Australia. Nel gennaio di quell’anno, il Commonwealth ottenne un prestito a Londra per 8 milioni di sterline, dopodiché i prestiti a lungo termine divennero praticamente inaccessibili fino alla fine della seconda guerra mondiale. La depressione abbatté le esportazioni, le riserve in valuta straniera e le entrate fiscali e i governi australiani dovettero far affidamento sugli scoperti e i titoli a breve termine per finanziare le importazioni e ripagare gli interessi sul debito. Il risultato fu un’incessante necessità di trovare nuove risorse in un mercato profondamente scettico sulla capacità e sulla volontà dell’Australia di ripagare i prestiti. Dopo tutto, era stata un’autorità come John Maynard Keynes a bollare l’Australia come “pesantemente sovra-indebitata” e a consigliare di “evitare le sue obbligazioni”. E sir Otto Niemeyer della Banca d’Inghilterra dichiarava: “L’Australia deve rassicurare il mondo sulla direzione che vuole prendere, finanziariamente ed economicamente, e nessun altro può farlo per lei”.
Sottoposto a tutte queste pressioni, nel giugno del 1931, il Commonwealth e gli stati dettero il loro assenso al Premiers’ Plan che prevedeva una riduzione del 20 per cento di tutte le spese statali comprimibili, compresi stipendi e pensioni, e un incremento delle tasse. Il New South Wales aveva votato il piano nel Loan Council, ma il governo laburista in carica dall’ottobre 1930 non aveva nessuna intenzione di attuarlo. Lo stato aveva il più generoso sistema di welfare d’Australia e i più alti salari nel settore pubblico, e benché anche le tasse fossero più alte, aveva fatto meno accantonamenti rispetto ad altri stati per ripagare il suo debito. Quando il premier laborista Jack Lang e i sindacati rifiutarono i tagli di spesa, la posizione finanziaria del New South Wales divenne insostenibile: nel febbraio 1931 lo Stato non pagò gli interessi dovuti ai correntisti della Government Savings Bank; un anno dopo Lang informò il primo ministro Joseph Lyons, che aveva appena portato al successo una coalizione di partiti conservatori, che il New South Wales non avrebbe fatto fronte ai suoi obblighi sul debito estero. Con l’Australia fortemente dipendente dai prestiti a breve termine, il fallimento del New South Wales minacciava di portare al collasso l’intero sistema finanziario del paese.
Ma lo scenario greco non ebbe luogo: servendosi degli ampi poteri garantiti dalla sezione 105A, il Commonwealth approvò una legge che gli permetteva di mettere uno stato in moratoria e dal momento che i debiti su cui Lang si proponeva di fare default beneficiavano di una garanzia del Commonwealth, il Commonwealth era deciso a entrare in possesso delle entrate fiscali del New South Wales. Quando Lang dette istruzioni ai dipendenti pubblici di impedirlo, in altre parole di agire contro la legge, il governatore del New South Wales, sir Philip Game, lo destituì, costringendo lo stato a nuove elezioni.
Senza le previsioni draconiane della sezione 105A, il Commonwealth non avrebbe potuto difendere così efficacemente la sua posizione finanziaria. Ma non furono solo i poteri costituzionali a permettere al Commonwealth di esercitare la sua minaccia e dimostrare così la credibilità di quei poteri, molto fu dovuto anche al fatto che quei poteri godevano dell’esplicito consenso della popolazione. La sezione 105A era stata sottoposta a referendum nel 1928 e aveva ottenuto un largo successo, un risultato relativamente raro nella storia degli emendamenti costituzionali in Australia. Lang aveva creduto che la sua destituzione scatenasse una rivoluzione, ma invece fu sonoramente sconfitto alle susseguenti elezioni.(…)

DOPO LA CRISI

Dopo quella vicenda, il requisito che i prestiti di uno stato dovessero essere approvati dal Loan Council divenne il primo cardine per l’attuazione del coordinamento fiscale all’interno della federazione australiana. Ma non si rivelò affatto una soluzione definitiva.
Nonostante la disciplina imposta dalle dettagliate regole del Loan Council, si fece sempre più difficile monitorare in modo accurato la situazione fiscale degli stati, in particolare quando divennero comuni le transazioni fuori bilancio, comprese le garanzie implicite ed esplicite sui prestiti. Alla fine degli anni Sessanta, l’inventiva delle giurisdizioni nell’abbellire l’apparente situazione di bilancio, mentre in realtà si procedeva a ridurre il patrimonio pubblico, dette molto filo da torcere al Loan Council. Negli anni seguenti, si assistette a una continua rincorsa tra i tentativi del Commonwealth di rendere più efficace il controllo e la capacità immaginativa degli stati nell’aggirare le regole.
Sarebbe esagerato definire un fallimento tutto questo processo, ma non si può negare il sollievo registrato quando gli stati tornarono a controllare i loro prestiti e a emettere debito a loro nome e a loro credito: giusta o sbagliata che sia, l’ipotesi sottostante è che la disciplina imposta dai mercati mondiali dei capitali sia più efficace di quella che può essere esercitata dai burocrati di Canberra.
Benché il requisito costituzionale sulla coordinamento fra stati attraverso il Loan Council sia caduto nel 1985, il Commonwealth è tuttora autorizzato dalla sezione 105A a garantire i prestiti degli stati, e lo ha fatto in tempo di crisi. Su questi poteri si è fatto affidamento nel momento culminante della crisi globale finanziaria, consentendo agli stati un ininterrotto accesso ai mercati dei capitali mondiali, ma queste misure sono state considerate temporanee, da rimuovere non appena possibile. Il coordinamento fiscale continuo e i prestiti comuni, così come erano stati immaginati con l’Agreement del 1927, sono largamente scomparsi.

GLI INSEGNAMENTI

L’esperimento australiano è avvenuto in un periodo in cui i mercati finanziari erano molto meno sviluppati e integrati di quanto non lo siano adesso. (…) E tuttavia la decisione di arrivare a prestiti congiunti non fu presa a cuor leggero.
Inoltre, i poteri garantiti dalla sezione 105A erano basati su un chiaro mandato popolare, testimoniato dal referendum nazionale, nel quale avevano ottenuto la maggioranza dei votanti, sia in termini assoluti sia in termini di maggioranza di stati. Il sostegno popolare si rivelò politicamente cruciale nella crisi del New South Wales.
Considerate nel loro complesso, queste norme vanno molto al di là del quadro istituzionale attuale o che potrebbe essere adottato per l’Eurozona. Tuttavia, sono state indispensabili perché si potesse accettare che i contribuenti tutti sopportassero il rischio degli eccessi dei singoli stati. E tutto ciò in un contesto in cui le condizioni per la cooperazione erano di gran lunga più propizie rispetto all’Europa di oggi: la storia, compreso il trauma della prima guerra mondiale, aveva avvicinato fra loro gli australiani. Senza dimenticare che il Commonwealth, a differenza dell’Unione Europea, aveva chiari poteri di tassazione, che agivano da collaterale per garantire i prestiti, mentre il relativamente piccolo numero di giurisdizioni coinvolte, unito alla similarità di approccio al bilancio pubblico, rendeva bassi i costi di monitoraggio.
E tuttavia non è bastato. Almeno per il momento, sembra esserci accordo sul fatto che sia preferibile lasciare che ogni stato si assuma le proprie responsabilità fiscali, eccetto che in caso di crisi. Non resta dunque che augurare buona fortuna agli europei.

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