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Il rischio sovrano negli stress test

Gli stress test dicono molto anche per quanto riguarda il legame tra rischio sovrano e rischio bancario. La scelta di maggior trasparenza delle banche italiane si è rivelata penalizzante. Perché la Bce non ha concesso la facoltà di sterilizzare le variazioni delle “riserve availble for sales”?
IL “CIRCOLO VIZIOSO” DELLE BANCHE EUROPEE
I risultati dello stress test pubblicati a fine ottobre dall’Eba rappresentano una base dati estremamente interessante, anche per indagare un problema, quello del legame tra rischio sovrano e rischio bancario, che è al cuore della banking union. Per usare le parole di Ignazio Angeloni in un’intervista a La Repubblica dello scorso 28 ottobre “nel codice genetico del supervisore europeo c’è l’obiettivo di rimuovere il circolo vizioso tra banche e debito sovrano”. Nella tabella sottostante si è calcolata l’esposizione aggregata al rischio sovrano per le banche di alcuni paesi dell’area euro incluse nel campione analizzato da Eba.
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Fonte: elaborazioni su dati European Banking Authority (2014) “Tools: Interactive maps, Excel aggregation tools and Stress Test dataset”.
Ad esempio, le quindici banche italiane hanno un’esposizione netta al rischio sovrano pari a 340 miliardi di euro, di cui 257 miliardi verso lo Stato italiano. Rapportando il rischio sovrano all’equity, si nota che le banche italiane registrano il valore maggiore in Europa (305 per cento), secondo solo a quello delle banche tedesche (307 per cento). La peculiarità però è nell’esposizione al rischio sovrano domestico, dove, in rapporto all’equity, le banche italiane sono sul massimo assoluto (231 per cento). La forte esposizione delle banche italiane al debito pubblico domestico ha contribuito ai risultati deludenti del comprehensive assessment condotto dalla Bce. L’esercizio si è articolato in due fasi, l’asset quality review (Aqr) e lo stress test: se si fosse limitato solo alla prima fase, le banche italiane, dopo le operazioni di patrimonializzazione effettuate nel 2014, lo avrebbero superato. Purtroppo, non è andata così a causa dello stress test, che ha coinvolto anche i titoli di Stato.
LE DIFFERENZE CON LE BANCHE TEDESCHE
Nonostante i titoli di Stato siano considerati a zero-rischio da un punto di vista regolamentare, sono stati applicati haircut significativi nel cosiddetto “scenario avverso” e nel farlo sembra esserci stata un’attenzione “particolare” all’emittente italiano. Ma, oltre al problema del trattamento speciale riservato ai Btp, un’analisi comparata dei dati messi a disposizione sul sito dell’Eba rivela differenze, ad esempio nel trattamento contabile dei titoli di Stato tra i paesi, che potrebbero aver pesato e non poco sui risultati finali. Le banche tedesche, incluse nel campione analizzato dall’Eba, sono quelle che hanno in Europa la maggiore esposizione al rischio sovrano (483 miliardi di esposizione netta), con le italiane che arrivano seconde (360 miliardi), ma distanziate di 123 miliardi. In Italia, però, la maggior parte dei titoli di Stato, 268 miliardi (il 75 per cento), è classificata in available for sale (e marginalmente in held for trading) e solo il 25 per cento in held to maturity (e marginalmente in loans&receivables); mentre in Germania il 57 per cento è classificato in held to maturity. Può apparire solo un dettaglio contabile, ma non lo è. Stando ai criteri contabili internazionali, le variazioni di prezzo dei titoli classificati in available for sale impattano sullo stato patrimoniale, direttamente attraverso la cosiddetta “riserva available for sale”; viceversa, i titoli classificati in held to maturity non impattano sullo stato patrimoniale (e ovviamente nemmeno a conto economico), salvo che si proceda a un impairment, cosa che con i titoli obbligazionari accade di rado, praticamente solo in una situazione di default conclamato. L’uso della classificazione available for sale rispetto alla held to maturity è una scelta di trasparenza, perché il mercato (e l’autorità di vigilanza) può conoscere il valore del portafoglio titoli semplicemente leggendo il bilancio. Lo stesso non si può dire se i titoli sono in held to maturity (o in loans&receivables). L’applicazione dell’haircut previsto dall’Eba in caso di scenario avverso ha quindi un impatto negativo sui titoli classificati in available for sale (e held for trading) ma non ha alcun impatto sui titoli classificati in held to maturity (e loans&receivables). Ora, se rileggiamo la classifica dell’esposizione al rischio sovrano in base alle categorie contabili, vediamo che le banche italiane balzano in testa con 268 miliardi di rischio sovrano sensibile agli haircut ipotizzati dall’Eba, mentre le banche tedesche ne hanno solo 209 miliardi.
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La scelta di maggiore trasparenza delle banche italiane si rivela penalizzante negli stress test dell’Eba. Per fare un esempio numerico, a fronte di un haircut ipotetico del 10 per cento applicato uniformemente all’esposizione sovrana classificata in available for sale (e held for trading), le banche italiane registrano una perdita di 26,8 miliardi, superiore di ben 6 miliardi rispetto a quello che registrerebbero le banche tedesche (20,9 miliardi). Se lo stesso haircut fosse applicato a tutti i titoli di Stato, indipendentemente dalla classificazione contabile, l’impatto patrimoniale sarebbe di 12,3 miliardi a sfavore delle banche tedesche.  Da notare che, grazie a un provvedimento di Banca d’Italia del 2010, le condizioni di eccezionalità dei mercati (un vero scenario avverso) indussero l’allora Governatore Mario Draghi a concedere la facoltà alle banche italiane di sterilizzare le perdite registrate nella riserva Afs, a causa di variazioni di prezzo dei titoli di Stato UE, ai fini di calcolo del capitale regolamentare. Provvedimenti simili furono varati da altri sistemi bancari per contrastare una situazione estremamente pericolosa di “aspettative auto-realizzantesi”. La ratio del provvedimento stava nel fatto che, se escludiamo la possibilità del default dello Stato italiano (nel qual caso lo stress test dell’Eba sarebbe un giochetto da ragazzi), l’effetto del “pull-to-parity” riporterebbe i titoli di Stato verso il valore nominale all’avvicinarsi della scadenza. E quindi una eventuale ricapitalizzazione sarebbe “inutile”, perché i margini di sicurezza verrebbero recuperati in modo naturale con il passare del tempo. Cosa che tra l’altro è successa dopo la crisi del 2011 e del 2012. Sarebbe interessante capire per quale motivo la Bce non ha tenuto conto di tale facoltà. La rescissione del legame tra rischio sovrano e banche prevede che al ripetersi di una crisi del debito le banche non avranno più la possibilità di sterilizzare le variazioni della riserva available for sales a fini del calcolo del capitale di vigilanza?

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La manovra dimezzata

  1. avete visto che il trend recente – visto che lo Stato è praticamente in bancarotta, con un 2300 miliardi di euro di debito – è quello dello Stato medesimo di chiamare le banche a finanziare le “opere grandi” inutili con i soldi dei risparmiatori, mettendoci la garanzia (si fa per dire) lo Stato medesimo?
    Ormai siamo alla frutta.

  2. gianni

    Possibile che la scelta di non classificare il debito sovrano come held to maturity sia solo una scelta di trasparenza?

  3. Mario rossi

    Certo che di parole se ne fanno tante, ma poi bisogna vedere dove sono i soldi veri!! Si può dire che i titoli di stato sono monetizzabili subito o no si può dire che la banca ha capitale immobilizzato da investimenti sicuri o no. Quello che nessuno dice è che in Italia sistema bancario e sistema politico e finanziario si sono legati alla malavita carica di capitali veri da riciclare per creare un sistema di potere fondato sul clientelismo e sull’annullamento della cultura collettiva. Questo porta evidentemente al crack economico e finanziario, oramai peraltro inevitabile, ben sapendo che tutti coloro che sono dai tempi della trattativa in giro per i palazzi hanno già pronta la via di fuga.

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