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Chi ha paura di Google news?

Gli editori spagnoli e tedeschi sono riusciti a ottenere leggi che obbligano Google news a pagare un diritto se riporta frammenti anche brevi degli articoli citati e aggregati. Non hanno capito che si tratta di un servizio quasi essenziale per i lettori. Internet e l’abuso di posizione dominante.

LE LEGGI ANTI-GOOGLE NEWS
Gli editori spagnoli e tedeschi sono riusciti a ottenere una legislazione che obbliga il servizio di aggregazione di notizie “Google news” a pagare un diritto agli editori stessi, nei casi in cui Google news riporti frammenti anche piccolissimi (cosiddetti snippets) degli articoli citati e aggregati. La legge spagnola va persino oltre, con una proibizione esplicita per gli editori a rinunciare a questo diritto in un eventuale accordo contrattuale con Google news.
La risposta da parte di Google è stata piuttosto perentoria: l’11 dicembre la società di Mountain View ha annunciato la chiusura di Google news a partire dal 16 dicembre, a motivo dell’impossibilità economica di gestire un servizio privo di ricavi diretti a cui viene per legge imputato il costo per i “diritti di citazione” di frammenti degli articoli originali.
Secoli di teoria economica dovrebbero insegnare che raramente la regolamentazione ottiene gli effetti sperati dal legislatore, specialmente quando pretende di infischiarsene delle dinamiche economiche sottostanti e delle contro-strategie messe in atto dai soggetti coinvolti. Di fronte alla minaccia di chiusura da parte di Google, l’Aede, l’associazione di categoria degli editori spagnoli, inizialmente fautrice della draconiana legge sul cosiddetto “diritto d’autore ancillare” (ancillary copyright), ha rapidamente fatto marcia indietro chiedendo alle autorità spagnole e comunitarie di intervenire sul tema. Sempre in termini strategici, gli editori spagnoli potrebbero avere agito chiedendo 100 per arrivare a un ragionevole compromesso che gli frutta 50, ovvero un pagamento annuale forfettario come già attuato in Francia.
Tuttavia, il sospetto è che gli editori tradizionali, pur essendo entrati in maniera decisa nel business delle notizie e degli editoriali online, continuino a rimanere spiazzati rispetto al meccanismo stesso di aggregazione delle notizie sulla base della ricerca di parole chiave che rappresenta il fulcro di Google news e servizi simili: dal momento che il costo di produzione di notizie e commenti su internet è largamente più basso rispetto ai canali mediatici tradizionali (tv, radio e carta stampata), i lettori interessati hanno strutturalmente bisogno di un soggetto che li aiuti a “mettere ordine” nella Babele crescente di notizie e commenti su un dato tema, grazie alla costruzione di una graduatoria, possibilmente personalizzata, delle fonti migliori. Google news fornisce un servizio quasi essenziale, in quanto smista l’interesse dei lettori potenziali verso le fonti delle notizie. La preziosità di questa funzione –anche per gli stessi editori- è dimostrata dal fatto che in Germania quelli che non hanno rinunciato a chiedere il pagamento del diritto a Google – e dunque sono stati tolti dai risultati di Google news – hanno subito in media un calo del 40 per cento dei click in entrata: nel mondo nuovo di internet, l’editore che è fuori dal servizio di smistamento offerto da Google news assomiglia al proverbiale albero che cade nel mezzo della foresta, e dunque non è diverso da un albero che non è mai caduto.
UN CLICK DI CONCORRENZA
L’idea di creare tramite regolamentazione il diritto d’autore ancillare sembra dunque abbastanza velleitario. Più sensata appare l’ipotesi di verificare a livello UE se Google si trovi in una condizione di abuso di posizione dominante, come tale sanzionabile dal punto di vista della legislazione antitrust. Google è già stata indagata per abuso di posizione dominante sia negli Stati Uniti sia nell’Unione Europea, ma per una questione diversa, cioè il posizionamento dei “siti sponsorizzati” (da cui Google ricava introiti pubblicitari) all’interno della pagina che contiene i risultati delle ricerche.
Nel caso di Google news un’eventuale contestazione di abuso di posizione dominante si pone in termini diversi, che naturalmente devono essere analizzati sia dal punto di vista economico che da quello strettamente giuridico. Nel caso di una denuncia di Google news presso l’Antitrust europea, molto probabilmente Google riutilizzerebbe la contro-argomentazione già avanzata nel passato: “la concorrenza è solo un click più in là” (competition is one click away), ovvero chiunque – con un semplice click – può esercitare la propria sovranità di consumatore decidendo di utilizzare servizi di ricerca o simili offerti da qualcun altro.
Dall’altro lato, non stupisce che gli editori cerchino di essere remunerati in qualche forma da parte di Google per i contenuti aggregati dal servizio news: in assenza di contenuti, quale sarebbe la materia prima per un servizio di aggregazione di notizie?
Per questa serie di ragioni la questione può essere forse riassunta così: dentro il complicato mondo di internet qual è la remunerazione relativa di chi produce contenuti rispetto a chi li ordina e li rende disponibili? È bene che sia il solo mercato a decidere su queste remunerazioni?
 
 

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  1. DDPP

    Riflettendo sulle implicazioni dell’articolo si rimane stupefatti.
    La rete e i motori di ricerca hanno costituito una fantastica opportunità di aumentare l’accesso alle informazioni da parte di utenti, sia professionali che privati.
    Specularmente, i fornitori di informazioni (qualsiasi informazione) hanno l’opportunità di uscire da nicchie culturali e di proporsi a un pubblico centinaia, migliaia di volte superiore a quello cui erano abituati.
    Ora, qualcuno dei fornitori di informazioni (che hanno beneficiato del sistema nel suo complesso) vogliono essere pagati per le informazioni che loro stessi mettono in rete nello loro piccola nicchia “sito”.
    E per farsi pagare fanno lobbing sulla classe politico/burocratica loro sodale.
    Forse non si rendono conto che Google o Yahoo o a chi volesse cimentarsi nei motori di ricerca potrebbe eliminare dalle ricerche coloro che non danno un esplicita liberatoria ad utilizzare ciò che essi stessi mettono in rete.
    Se i fornitori di informazioni sono convinti che la loro proposta di contenuti sia talmente buona da vivere di vita propria e che pertanto preferiscono rimanere nella propria nicchia: ci rimangano. Fatti loro!
    Chi li andrà a cercare sarà motivato e invogliato dai contenuti proposti.
    Non so quanto sia difficile mettere filtri nei motori di ricerca, ma mi sembra che i nostri amici regolatori ci riusciranno a convincere Google.

  2. Trovo irragionevole l’ultimo discorso:
    «Dall’altro lato, non stupisce che gli editori cerchino di essere remunerati in qualche forma da parte di Google per i contenuti aggregati dal servizio news: in assenza di contenuti, quale sarebbe la materia prima per un servizio di aggregazione di notizie?»
    Come dire che siccome chi vende petrolio non avrebbe modo di venderlo se non ci fosse chi lo compra allora dovrebbero vedere gratis oppure pagare per dare il petrolio. Non mi sarei aspettato un discorso così comunista in un giornale liberale. Invece si tratta di incontro di domanda e offertta dove un editore propone la sua news e se google non accetta di pagarlo l’editore si porta la sua news si altri aggregatori di news oppure si fa il proprio aggregatore di news. Qui invece c’è una legge che dice o si fa come dico io o ti metto in galera.

  3. Come dire che siccome chi vende petrolio non avrebbe modo di venderlo se non ci fosse chi lo compra allora dovrebbero vedere gratis oppure pagare per dare il petrolio. Non mi sarei aspettato un discorso così comunista in un giornale liberale. Invece si tratta di incontro di domanda e offertta dove un editore propone la sua news e se google non accetta di pagarlo l’editore si porta la sua news si altri aggregatori di news oppure si fa il proprio aggregatore di news. Qui invece c’è una legge che dice o si fa come dico io o ti metto in galera.

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