Dopo l’approvazione definitiva, ricapitoliamo come la Legge di stabilità influirà sui conti pubblici. Non rappresenta una sfida al rigore di Bruxelles, ma un modesto e temporaneo sforamento degli obiettivi di deficit. La spending review non ha tagliato la spesa in misura sufficiente.
CONTI PUBBLICI PRIMA E DOPO
Per mesi, parlando di conti pubblici, si sono confrontate opinioni molto diverse. Quando il presidente del Consiglio, Matteo Renzi, presentò la prima versione della legge di stabilità a metà ottobre, parlò di una norma nella quale finalmente lo Stato dava, anziché prendere dalle tasche dei cittadini. La Legge di stabilità 2015 veniva presentata come una sfida alla stupidità del rigore fiscale di Bruxelles e della Germania. Alcune voci critiche obiettavano che, al contrario, la montagna di slide del premier aveva partorito solo il topolino di un modesto impulso al Pil. Prima ancora della presentazione del disegno di legge alle camere, il negoziato con Bruxelles ha portato a modificare in senso meno espansivo alcune voci di spesa e di entrata. E poi si è arrivati alla maratona parlamentare conclusasi il 20 dicembre, che ha lasciato i saldi complessivi inalterati con il cambiamento di poche voci di spesa e di entrata. Con la sua approvazione definitiva si può ora ricapitolare come la Legge di stabilità 2015 influirà sui conti pubblici dell’Italia. Per fare una valutazione precisa, bisogna però stabilire quale sarebbe stato l’andamento naturale dei conti pubblici senza le correzioni messe in atto dal Governo con le misure introdotte. Ovviamente, parlando di conti pubblici, non c’è niente di naturale e tutto di politico: esistono però leggi e regole che – se applicate – producono conseguenze quasi automatiche sulle variabili di finanza pubblica. È a questo andamento che ci si riferisce nei documenti ufficiali quando si parla di “quadro tendenziale”. Ed è sulla base dell’andamento tendenziale che si possono calcolare gli effetti della Legge di stabilità su spese, entrate e deficit pubblico. Tali effetti sono riassunti nel cosiddetto “quadro programmatico” presentato separatamente rispetto ai dati tendenziali nelle tabelle della Relazione tecnico-illustrativa della Ragioneria generale dello Stato.
In breve, si può parlare di dati “prima” e “dopo” la Legge di stabilità. Ecco i numeri principali.
LA SPESA PUBBLICA ACCELERA
I dati della Ragioneria (figura 1) dicono che “prima”, cioè senza gli interventi della Legge di stabilità 2015, la spesa pubblica – pari a 835 miliardi, cioè al 51,4 per cento del Pil, nel 2014 – sarebbe scesa marginalmente (a 833 miliardi) nel 2015. Il calo sarebbe però temporaneo perché la spesa dovrebbe poi riprendere a crescere fino al livello di 854 miliardi nel 2017, dunque con un aumento di 19 miliardi in tre anni. A guidare la crescita della spesa pubblica tendenziale era e rimane la spesa pensionistica che, malgrado le riforme degli ultimi anni, è prevista in aumento lineare dai 259 miliardi del 2014 fino ai 275 miliardi del 2017.
Figura 1
Con la Legge di stabilità 2015, l’andamento “naturale” della spesa esce marginalmente accelerato: di 5,8 miliardi di euro nel 2015, di 6,9 miliardi nel 2016 e di 6,6 miliardi nel 2017. E così nel 2015, “dopo” la Legge di stabilità, anziché scendere, la spesa pubblica salirà da 835,3 a 838,8 miliardi. Nel 2017 poi la spesa toccherà il livello di 860 miliardi, 25 miliardi in più che nel 2014. Va qui tuttavia sottolineato che alcune delle riduzioni di imposta previste (a cominciare dal rinnovo del bonus di 80 euro, ma anche il bonus bebè e il credito di imposta per le spese in ricerca e sviluppo, per un totale di circa 10 miliardi) sono contabilizzate dalla Ragioneria come “maggiori spese” e non come “minori entrate”, come forse farebbero molti italiani a digiuno di norme contabili. Se i vari bonus fiscali fossero riclassificati si potrebbe concludere che la spesa pubblica totale scende nel 2015 (da 835 a 829 miliardi) per poi salire comunque a 850 miliardi nel 2017. C’è poi da aggiungere che lo sforamento di 5,8 miliardi della spesa per il 2015 che emerge “dopo” la Legge di stabilità non deriva dall’aumento della spesa per le pensioni (già preventivata prima), ma dall’aumento di spese sociali diverse dalle pensioni. Nelle voci di spesa sociale riassunte nella tabella della Ragioneria si trovano risorse per interventi a sostegno della famiglie, per i non autosufficienti, per la “buona scuola”, per le politiche sociali, per la social card, per il rifinanziamento degli ammortizzatori sociali. A controbilanciare gli aumenti di spesa legati alle voci di carattere sociale, c’è la riduzione di 2,7 miliardi di spesa per interessi sul debito pubblico, in calo (insieme con lo spread sul bund tedesco) sia nel 2015 che – più marginalmente – negli anni successivi. In netta discesa (da 128 a 123 miliardi) ma per ora solo sul 2015 sono anche i consumi intermedi della pubblica amministrazione, la voce che riassume la spesa dei ministeri diversa dal costo del lavoro per i dipendenti pubblici. E solo in lieve aumento sono i redditi dei dipendenti pubblici che hanno visto rinviare ancora una volta per mancanza di risorse sia il rinnovo dei contratti in scadenza che la fine del congelamento degli aumenti di stipendio automatici.
Nel complesso, i dati sull’evoluzione della spesa pubblica dicono che i risultati della limitata spending review avvenuta fino a questo momento faranno risparmiare sulle spese che lo Stato destina all’offerta di servizi pubblici, ma non su quelle voci di spesa sociale la cui entità complessiva non è stata per ora scalfita. Che le spese sociali aumentino in periodi di crisi non è strano ed è anzi giusto entro una certa misura. Ma tutte le spese, anche quelle sociali, devono essere prima o poi finanziate. Il loro aumento, se non controbilanciato dal calo di altre voci di spesa, rappresenta un ostacolo alla riduzione delle imposte spesso indicata come la via maestra per far recuperare competitività alle imprese e potere d’acquisto alle famiglie.
LA SPESA AGGIUNTIVA È FINANZIATA IN DEFICIT
I dati della Ragioneria (figure 2 e 3) indicano anche che con la Legge di stabilità 2015 il Governo ha scelto di finanziare l’aumento di spesa del 2015 (+3,5 miliardi rispetto ai dati effettivi del 2014 e +5,8 rispetto al quadro tendenziale) con un deficit temporaneamente più elevato nel 2015. Nel 2017, il deficit “dopo” è invece più basso di quello previsto “prima”. Se i vari bonus fiscali sono classificati come “maggiori spese”, le entrate totali sono in aumento- come preventivato – nel 2015 e in misura più marcata nel 2016 e nel 2017. Se invece i bonus fiscali sono considerati riduzioni di imposta, le entrate 2015 si riducono di circa 10 miliardi “dopo” la legge di stabilità rispetto alla situazione precedente.
Figura 2
Figura 3
Prima della Legge di stabilità, infatti, il deficit pubblico 2015 era dato in calo al 2,2 per cento del Pil (da 49 a 37 miliardi di euro), in conseguenza delle tendenze “naturali” della spesa e delle decisioni assunte dai Governi fino a oggi. Dopo la Legge di stabilità, dicono i dati della Ragioneria, il deficit invece “salirà” a 42,6 miliardi di euro, cioè al 2,6 per cento del Pil. Per il 2015, il Governo ha cioè scelto di mantenere inalterate le entrate totali rispetto al quadro tendenziale, con l’implicazione che la maggiore spesa di 5,8 miliardi di euro sarà coperta con maggiore deficit.
Quando il premier diceva che la Legge di stabilità 2015 dà anziché togliere dalle tasche degli italiani si riferiva al fatto che – traducendo dall’italiano nell’ostico linguaggio della contabilità – il quadro programmatico è più generoso del quadro tendenziale. Nello stesso tempo, quando i suoi critici gli rimproverano che la montagna ha partorito un topolino, si riferivano al fatto che, se tutto va come previsto dal Governo, il deficit pubblico dell’Italia nel 2015 scenderà dal 3 per cento al 2,6 per cento del Pil, il che rende difficile spiegare agli italiani che il segno della manovra è complessivamente espansivo. Le cose cambiano nel 2016 e 2017: le entrate sono date in aumento e il deficit è corrispondentemente in calo. Viene cioè fuori un quadro roseo per i conti pubblici. Malgrado l’aumento di 25 miliardi della spesa pubblica ricordato in precedenza, il deficit 2017 è previsto in calo a 17 miliardi di euro, lo 0,7 per cento del Pil. Oltre che dall’attivazione di clausole di salvaguardia che prevedono un aumento dell’Iva nel 2016 e 2017, la magia contabile è spiegata dall’evoluzione prevista per il Pil a prezzi correnti: dopo il modesto +1,2 per cento del 2015 si passa a +2,6 per il 2016 e +3,1 per il 2017. Con un Pil che cresce rapidamente, sale anche la base imponibile delle imposte e quindi si genera un andamento automaticamente positivo per le entrate fiscali. La previsione del governo è in linea con quella che il Fondo Monetario riserva all’Italia nel suo più recente World Economic Outlook. La crescita del Pil per il 2016 e il 2017 appare tuttavia ottimistica se guardata con gli occhi di chi vede un’inflazione zero e un aumento del Pil in termini reali anch’esso a zero nei dati oggi disponibili.
Nel complesso, indipendentemente dai criteri di classificazione, i dati della Ragioneria suggeriscono che la Legge di stabilità 2015 non rappresenta una sfida al rigore di Bruxelles, ma un modesto e temporaneo sforamento degli obiettivi di deficit fissati in precedenza. La legge non porta a una netta riduzione di imposte, ma solo a una riallocazione del carico fiscale tra lavoro e risparmio (e imposte indirette che potrebbero aumentare a seguito delle clausole di salvaguardia del 2016 e 2017). La mancata riduzione delle imposte ha una sola causa: l’assenza di un taglio più incisivo della spesa pubblica, senza il quale le imposte sono destinate a rimanere dove sono anche negli anni a venire.
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Enrico
Ottimo articolo, chiaro anche per chi non è “del mestiere”.
In definitiva si torna sempre al punto di partenza: taglio della spesa (e quindi, sempre e comunque, del bacino elettorale….).
E’ anche preoccupante che non si parli piu di spending-review: dove sono i documenti partoriti da Cottarelli?
Infine la domanda delle domande: quanto può durare?
Roberto
Complimenti per l’ottimo articolo che spiega in modo semplice le variazioni dei conti pubblici in base all’ultima legge di stabilità.
In pratica il governo sta sfruttando quel margine che ci separa dal 3% di deficit/pil, cercando di fare misure minimamente espansive nella speranza che le previsioni di crescita odierne vengano rispettare altrimenti si rischia l’ennesima manovra correttiva.
In questo modo però non si riuscirà a ridurre il deficit strutturale secondo i parametri europei ne tanto meno ridurre il debito pubblico.
Le previsioni oltremodo ottimistiche per il 2016 e 2017 non le prenderei seriamente in considerazione visti i tanti errori che sono stati commessi in questi ultimi anni.
Concordo nel considerare la riduzione della spesa pubblica la vera sfida per la politica italiana e l’unica possibilità per lanciare politiche realmente espansive.
Su questo aspetto la spesa pensionistica è uno dei temi cardine quindi spero che il nuovo presidente dell’Inps e ideatore de lavoce.info, Tito Boeri, riesca a mettere in pratica le tante teorie espresse proprio su questo sito.
bob
“….La spending review non ha tagliato la spesa in misura sufficiente.” Professore la ritengo troppo seria e competente per sostenere una affermazione del genere. Nessuno in questo Paese può tagliare la spesa pubblica come in tanti “proclami” si grida. Lei sarebbe capace? Sa cosa vuol dire eliminare spesa in un Paese che ha oltre 10 livelli di potere ( Stato, Regioni, Provincie, Comuni, circoscrizioni,comunità montane, enti vari di bonifica, magistrati delle acque etc etc) vuol dire mettere alla fame non meno di 10 milione di persone. Lei crede che sia possibile?
Rainbow
Analisi della legge di stabilita’obiettiva, ineccepibile,perfetta,direi scientifica,complimenti! Peccato che in nessuno dei talk show politici la manovra di bilancio venga spiegata ed analizzata in questo modo! Questa spiegazione del prof. Daveri potrebbe essere presa come modello didattico x spiegare,ai cittadini volenterosi di informarsi ( non lo farebbe quasi nessuno,perche’e’complicato e manca la volonta’di imparare!)come funziona la comunicazione politica: ciascuno estrapola i dati di bilancio secondo la convenienza personale x avallare faziosamente la propria tesi! Gli oppositori -esempio un esponente del movimento 5 stelle,una Giorgia Meloni,un Salvini- direbbero che le tasse non calano citando unicamente il volume complessivo delle entrate che rimane invariato,e il dato sul deficit sotto al 3% per veicolare l’idea che la manovra non e’espansiva ( omettendo di citare il dato sul tendenziale,che in assenza di manovra, sarebbe al 2,2 del pil invece che al 2,6% del Pil!). Un esponente del governo citerebbe il volume assoluto della spesa in aumento x avallare l’idea della manovra espansiva ( tecnicamente lo e’rispetto al tendenziale!), e il dato sul deficit al 2,6%- che rimane sotto il 3, ma aumenta rispetto al 2,2 del tendenziale! Tutti hanno un po’ragione e un po’torto,e’tutta questione di interpretazione e di numeri ( ognuno citerebbe quelli che gli convengono!),”di comunicazione”, appunto! Tutti utilizzano ( non solo Renzi!) a piene mani comunicazione e retorica!
Elena Pizzo
Segnalo che la relazione tecnico-illustrativa della Ragioneria generale dello Stato cui rinvia attraverso apposito link l’articolo è quella della legge di stabilitá 2014
francesco daveri
Grazie della segnalazione ora correggiamo
Guest.1
”la legge non porta a una netta riduzione di imposte, ma solo a una riallocazione del carico fiscale tra lavoro e risparmio (e imposte indirette che potrebbero aumentare a seguito delle clausole di salvaguardia del 2016 e 2017). La mancata riduzione delle imposte ha una sola causa: l’assenza di un taglio più incisivo della spesa pubblica, senza il quale le imposte sono destinate a rimanere dove sono anche negli anni a venire.”.
nihil novi sub sole.
Come potrebbe essere diversamente? Questa non e’ matematica. Non e’ economica. Sempre e solo ‘Manuale CENCELLI’. Nonostante i Pasolini, Montanelli (e prima i Prezzolini). Struttura di costi neofeudale (Fara, Eurispes 2007; siamo in vena di citazioni, per scolpire il concetto: nihil novi sub sole). Serve un cambio radicale di paradigma. Che nessuno fara’, o vorra’, confidando nell’impunita’ e nella consueta compravendita di voti/azzardi morali. Spiace per i toni, ringrazio il Prof. Daveri, ma, again, niente di nuovo da decenni. Ergo…
Mario Cancellieri
è una nota chiara, la legge di stabilità sembra aumentare la spesa pubblica 2015 più per motivi elettorali, di breve respiro che per visioni scelte lungimiranti, considerando l’attuale momento di prezzi al ribasso cercare di ridurre il rapporto debito pubblico PIL mi sembra sia una priorità ineludibile improcrastinabile per la classe politica
Maurizio
Volevo fare una breve sottolineatura delle perplessità dell’autore circa le prospettive di crescita degli anni a venire: 1,2% 2,6% addirittura 3,1% mi sembrano numeri a caso buttati li per far quadrare i conti. Da dove dovrebbe venire questa crescita non è dato capire, dalla rinnovata efficenza della PA? dall’assunzione di prof senza concorso? dal’aumento esponenziale dell’emigrazione o dalla chiusura continua di imprese in tutti i settori? o dal continuo calo dei prezzi? Dato che ogni anno c’é una piccola manovra correttiva prepariamoci che a settembre (se non a giugno!) ci sarà un ulteriore giro di vite sulla pressione fiscale. Dobbiamo sempre sperare che i tassi restino bassi perché è chiaro che un leggero rialzo dello spread accompagnato ad una mancata crescita renderebbe difficoltoso il mantenimento della Stabilità dei conti pubblici
Piero
Legge di stabilità ridicola.
Come rileva il Prof Daveri, abbiamo minori spese, aumentano le spese correnti, diminuiscono quelle in conto capitale e gli interessi, contestualmente aumentano le entrate tributarie. Questa è una legge per campare al governo, sperando in tempi migliori. A mio avviso Renzi dovrebbe fare subito due cose:
– una vera legge di stabilità 2, ossia ridurre la spesa pubblica del 10% in due anni, abbiamo 40 mld annui, contemporaneamente si devono eliminare l’Irap e ridurre le imposte si lavoratori.
– a livello europeo deve fare un richiamo ufficiale alla Bce, come riferito da Draghi e’ in una situazione di illegalità, fare subito un vero QE e non uno zoppo, come si accingono a farlo; penso che gli screzi tra Draghi e la Bundsbank siano finti, alla fine Draghi pur avendo la maggioranza non sta facendo nulla.
– per rilanciare il credito alke imprese occorre a livello interno un poderoso intervento dello stato con il fondo centrale di garanzia.
Non riesco a vedere un’altra soluzione, avremo un 2015 ancora peggiore, con la riforma del lavoro, appena pubblicati i decreti delegati vi saranno licenziamenti di massa da parte delle grandi aziende, vi dovrà essere l’intervento dello stato, che non è stato previsto nella legge di stabilità.
Alla fine a questa legge si dovrebbe cambiare nome legge di instabilità.
Massimo Bertarelli
Complimenti per la chiarezza dell’articolo. Il tema della riduzione della spesa pubblica deve essere la priorità assoluta. I denari pubblici vengono spesi senza ordine, etica nè equità da troppi anni. Credo che nessun governo democraticamente eletto in Italia possa essere in grado di affrontare tale tema in maniera efficace ed efficiente. Pertanto mi auguro che la Troika arrivi al più presto.
marcello
Come si può verificare dalla lettura della relazione della RG la spesa pubblica nel 2014 è di 780 milirdi di questi 90 sono diinteressi sul debito e 221 di rimborso prestiti, cioè 311 miliardi. Le spese in conto capitale sono di 58 milairdi e si arriva così a 370 milairdi, La speaa corrente aggredibile è di 410milairdi di questi circa 300 miliardi sono trasferimenti all’INPS, trasferimenti agli enti locali e spese per il personale. rimangono 110 miliardi che servono a finazare tutto il resto dalle missioni all’estero all’Università. Si può sicuaramente tagliare sul costo del personale a cominciare dagli incentivi e bonus dei dirigenti pubblici, che non hanno eguali nel mondo, e che sono vere e proprie regalie posizionali altro che incentivi per prevenire l’azzardo morale, ma da qui a fondare una manovra di risanamento sui tagli della spesa corrente ce ne corre, anche con tagli del 10% si avrebbe una manciata di miliardi insufficenti per una qualunque inversione del trend in presenza di aspettative deflattive. Non vedo alternative a una massiccia spesa pubblica per investimenti e a una patrimoniale sulla ricchezza, comunque composta e ovunque detenuta, oltre il milione di euro.
Aldo
E’ inutile la pressione fiscale è aumentata pure con Il nuovo regime dei minimi: con l’imposta al 15% non conviene più, inoltre l’aumento contributi inps si è finito per uccidere i semi o i germogli di eventuali nuove imprenditorie, ma tanto questo vale pure per le imprese più anziane così espatriare è la soluzione migliore
In un paese dove si uccide sul nascere non c’è speranza ma illusioni per i più incantati!!!