A partire dal primo maggio 2015 la Nuova assicurazione sociale per l’occupazione (Naspi) prenderà il posto sia dell’Aspi, sia della mini-Aspi. L’innovazione principale riguarda l’abbattimento dei requisiti contributivi e di anzianità assicurativa, che vengono portati rispettivamente a 30 giornate di lavoro effettive nei 12 mesi precedenti l’inizio del periodo di disoccupazione e a 13 settimane di contributi versati negli ultimi quattro anni. Per avere un termine di paragone, si ricordi che la mini-Aspi richiedeva 13 settimane di contribuzione nell’anno precedente la perdita del lavoro, mentre l’accesso all’Aspi era ancora regolato secondo criteri definiti nei primi decenni del XX secolo. Si tratta dunque di un risultato importante perché, modificando le rigide condizioni di accesso previste in passato, si dà vita per la prima volta in Italia a un’indennità assicurativa di natura tendenzialmente universale.
La durata della nuova indennità sarà pari alla metà delle settimane di contribuzione versate negli ultimi 4 anni, fino a un massimo potenziale di 24 mensilità. Con le nuove regole si stima una durata media effettiva delle prestazioni superiore all’assetto vigente, a fronte di un incremento degli oneri complessivi di circa 1700 milioni di euro una volta a regime.
Il decreto attuativo introduce altre due novità. La prima riguarda l’indennità assicurativa riservata ai collaboratori a progetto (Dis-Coll), che sostituirà la precedente misura “una tantum” caratterizzata da un importo più limitato e da più stingenti requisiti di accesso.
La seconda novità riguarda l’introduzione di un Assegno per la disoccupazione (Asdi), riservato alle persone in stato di bisogno, e prioritariamente ai lavoratori appartenenti a nuclei familiari con minorenni o in età vicina al pensionamento che hanno esaurito la Naspi senza trovare un’occupazione. Al momento si tratta di uno schema di durata semestrale non rinnovabile, che eroga una somma pari al 75% dell’ultimo importo della Naspi ricevuto, fino a un ammontare non superiore all’assegno sociale. L’importo potrebbe quindi rimanere limitato per i redditi da lavoro molto bassi, non essendo prevista una soglia minima (o fissa) di sussistenza. Ciononostante, si tratta di un’innovazione importante che potrebbe servire da “testa di ponte” per l’introduzione e il consolidamento di un sussidio assistenziale per la disoccupazione di carattere permanente e universale, da tempo presente in molti paesi europei.
ALLA RICERCA DI UNA MAGGIORE COERENZA
Il nuovo sistema di tutele del reddito contro la disoccupazione è certamente più equo rispetto a quello disegnato dalla legge 92 del 2012 sia in virtù della sua maggiore copertura, sia perché il suo importo è agganciato più esplicitamente all’effettiva storia contributiva del lavoratore. È possibile comunque ravvisare alcune debolezze che potrebbero risiedere nel raccordo tra questo decreto attuativo e le altri componenti del Jobs Act. Per brevità, menzioneremo solo due aspetti.
Il primo aspetto riguarda il rapporto tra la Naspi e le indennità di licenziamento previste nel decreto sul contratto a tempo indeterminato “a tutele crescenti”. Queste ultime sono concesse solo nel caso in cui il giudice sentenzi l’illegittimità del licenziamento o quando le parti giungono a una conciliazione. Non si tratta dunque di indennità che scattano automaticamente in caso di licenziamento, indipendentemente dalla sua legittimità, come avviene in altri paesi. Se anche in Italia si optasse per tali misure (severance payments), esse potrebbero affiancare la stessa Naspi, rafforzando per tutti il livello delle tutele offerte e liberando eventualmente risorse.
Il secondo aspetto riguarda l’annosa riforma del sistema delle politiche attive del lavoro, oggetto anch’esso del Jobs Act. Il decreto sugli ammortizzatori sociali tocca indirettamente la questione sia con riferimento all’introduzione del nuovo contratto di ricollocamento, sia alle politiche di condizionalità che dovrebbero accompagnare la concessione dei sussidi. È chiaro che la reale consistenza di quanto previsto dal decreto dipende da come verrà rivista la governance dei servizi per l’impiego pubblici e privati, che finora ha dato prova di scarsa performance.
ASDI: SPERANZA O DELUSIONE?
Una delle novità più rilevanti introdotte dal decreto è l’Asdi. Purtroppo tale assegno ha per ora solo una natura sperimentale e sarà disponibile fino all’ esaurimento dei fondi stanziati, anche se, una volta introdotto, non rifinanziarlo significherebbe assumersi la responsabilità politica di un passo indietro. Come rilevato da più parti, l’Asdi non potrà rispondere ai bisogni di quelle persone in condizioni di povertà caratterizzate da una bassissima intensità di lavoro o che non hanno mai lavorato, per le quali sarebbe opportuno intervenire con uno strumento diverso da un sussidio di disoccupazione. Tale questione ci riporta al grande assente nell’agenda di riforma del governo Renzi, ovvero lo schema nazionale di reddito minimo. Le novità introdotte dal Jobs Act, pur essendo focalizzate sulle politiche del lavoro e non di assistenza sociale, potrebbero comunque essere foriere di sviluppi anche su questo fronte.
Tanto più l’Asdi sarà in grado di assistere i disoccupati che hanno esaurito la copertura assicurativa, tanto più mirata e residuale potrà essere la risposta che l’introduzione di un reddito minimo universale dovrà dare. In tal senso, l’Asdi, potrebbe contribuire a levigare alcune resistenze di fondo, favorendo la futura introduzione di uno strumento di garanzia di ultima istanza, a fianco o in sostituzione dello stesso Asdi. Se però ciò non dovesse avvenire, l’Asdi, una volta generalizzato come schema assistenziale di disoccupazione,contribuirebbe perlomeno a rafforzare il sostegno fornito dalla nuova indennità di disoccupazione (la Naspi), divenuta ora di facile accesso anche rispetto a quanto accade in altri paesi. Dopo anni di buoni intenti e propositi, si tratterebbe di un risultato non trascurabile.
La replica di Chiara Saraceno
Come ho scritto, le buone intenzioni dell’Asdi non ne modificano il carattere categoriale, che conferma la frammentarietà, oltre che l’iniquità, del sistema di protezione sociale in Italia. Pensare che possa servire da “testa di ponte” verso l’introduzione di un reddito di garanzia per chi si trova in povertà è, nel migliore dei casi, un “wishful thinking” che non trova alcuna giustificazione nella storia passata e recente del nostro paese.
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Patrik Vesan
Ringrazio la prof.ssa Saraceno. Quando parlavo di “testa di ponte” intendevo fare riferimento sopratutto al consolidamento di un sussidio assistenziale di disoccupazione di II livello, pensato a copertura dei limiti intrinseci della Naspi. L’attuale Asdi potrebbe anticipare l’adozione di un “vero” assegno di disoccupazione (non solo sperimentale) per tutti i jobseekers al di sotto di un certo reddito, come esiste ad esempio in Francia. Questo obiettivo non è stato raggiunto, ma se così fosse si tratterebbe di una novità rispetto alla storia del nostro paese, che può cambiare. Come forse cambierà domani rispetto al sistema delle Casse integrazioni guadagni.
Se l’eventuale consolidamento di uno schema di II livello finirà con il costituire un alibi per rinviare sine die l’adozione di uno strumento di garanzia di ultima istanza (rinvio avvenuto anche quando l’Asdi non esisteva), dipenderà ovviamente da come verranno giocate le carte della politica (al di là del Jobs Act che non è incentrato sulla lotta alla povertà).
Ho comunque presente i rischi di frammentazione che Lei denuncia e che mi preoccupano egualmente. Purtroppo sono ben consapevole del fatto che il nostro sistema di ammortizzatori sociali sia stato costruito per successive stratificazioni, che l’hanno reso sempre più iniquo. Ma adesso mi pare che lo sia meno, anche se il percorso finora compiuto deve essere completato. In tal senso, mi auguro che Lei si sbagli, solo perché in fondo desideriamo la stessa cosa.