Tra i migranti che arrivano in Italia per ragioni di lavoro cresce il numero delle donne. Aiutano le italiane nella conciliazione di lavoro e cura di bambini e anziani. Ma così cambia anche il “mercato matrimoniale”, con l’aumento delle unioni miste. Il welfare e una nuova idea di famiglia.

IL RUOLO DELLE DONNE MIGRANTI
La migrazione in Italia è iniziata circa venti anni fa ed era prevalentemente maschile; in genere, l’uomo era poi raggiunto dalla moglie e dagli altri membri della famiglia. Più di recente sono iniziati i flussi di donne “first mover”, che a volte si fanno raggiungere dal partner e a volte no.
Oggi, la distribuzione di genere degli stranieri è bilanciata: 47 per cento uomini e 53 per cento donne, ma questo equilibrio è ottenuto da una diversa composizione dei gruppi nazionali (tabella 1).
La migrazione maschile prevale, per esempio, tra gli stranieri originari dall’Africa (40 per cento donne, 43 per cento nel caso del Marocco e 36 per cento per la Tunisia), mentre quella femminile è preponderante tra gli stranieri provenienti dall’Est Europa (56 per cento in media e 79 per cento dall’Ucraina).
Il dibattito politico e la ricerca economica si sono finora concentrati principalmente sugli effetti dei migranti nel mercato del lavoro. E i risultati di vari lavori hanno dimostrato che gli stranieri non competono con la popolazione autoctona: non incidono negativamente sui salari degli italiani, né influenzano le loro probabilità di entrata e persistenza nel mercato del lavoro.
Tabella 1 – Femminilizzazione della migrazione in Italia:
popolazione straniera residente in Italia secondo il genere e l’area di provenienza
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COMPLEMENTARIETÀ SUL MERCATO DEL LAVORO
Studi più recenti hanno invece analizzato il ruolo delle donne straniere che lavorano come collaboratrici domestiche e badanti, evidenziando ancora una volta la complementarità: le lavoratrici straniere permettono a quelle italiane di impegnarsi nel lavoro per più ore e riducono il rischio di pensionamento anticipato per prendersi cura dei genitori anziani.
La complementarietà tra straniere e autoctone nel mercato del lavoro è un elemento tipico dei paesi dove il welfare è delegato prevalentemente dalle famiglie perché manca una struttura pubblica in grado di fornire servizi.
Le donne si trovano oggi a dover affrontare sfide complesse: da una parte, la necessità di lavorare per contribuire al sostentamento di una famiglia dai redditi sempre più incerti data l’elevata disoccupazione e, dall’altra, il desiderio di procreare in un contesto che non prevede sufficienti supporti pubblici per la cura dei bambini e degli anziani. Gli uomini, per parte loro, non sembrano modificare partecipazione e contributo ai lavori domestici e di cura e hanno difficoltà ad adattarsi al nuovo ruolo della donna che lavora e guadagna. La possibilità di ricorrere ad aiuti domestici facilita, quindi, la conciliazione tra modello tradizionale di famiglia come “distributore di servizi” e scelta di essere presenti nel mercato del lavoro.
Ne deriva che il ruolo dei migranti non rimane confinato solo nel mercato del lavoro, ma si estende anche alle dinamiche familiari.
COME CAMBIA IL MERCATO MATRIMONIALE
Sul contributo che l’immigrazione gioca nei cambiamenti della struttura familiare e della sua organizzazione non si sa molto. Tuttavia, è lecito pensare che la crescita dell’offerta femminile possa produrre cambiamenti non solo sugli equilibri del mercato del lavoro, ma anche in quelli del mercato matrimoniale. Se l’offerta femminile aumenta, uomini che non erano in grado di trovare una partner adesso hanno più probabilità di riuscirci. Allo stesso tempo, il fenomeno può anche incidere sulla remunerazione di equilibrio: se aumenta l’offerta, la remunerazione diminuisce, e alcune donne potranno considerarla inferiore alle loro richieste e decidere di uscire dal mercato matrimoniale.
In ogni caso, la crescita dell’offerta femminile nel mercato matrimoniale, dovuto alla maggiore presenza di donne straniere, favorisce l’aumento di matrimoni misti. Dal punto di vista della popolazione italiana, le unioni miste rappresentano un elemento chiave per bilanciare la crisi dei matrimoni (diminuiti notevolmente negli ultimi anni), specialmente per gli uomini di istruzione più bassa che tendono a preferire una partner che più delle italiane accetta ruoli di genere tradizionali (e subordinati).
Se ne trova una conferma in un nostro studio condotto con Elena Pirani, che analizza il rischio di separazione di fatto delle coppie italiane nel periodo 2001-2010. I dati sono tratti dall’indagine multiscopo “Famiglia e sociali soggetti” condotta dall’Istituto nazionale di statistica nel 2009, che raccoglie informazioni per circa 50mila famiglie e 25mila individui e fornisce informazioni retrospettive sulle date di formazione e scioglimento delle unioni. Nello studio viene stimato un modello di durata del matrimonio e la variabile esplicativa chiave è rappresentata dalla percentuale di migranti presenti nelle regione italiane, divisi per genere, così come ricavata dai dati sui permessi di soggiorno.
I risultati suggeriscono che, se le donne migranti sono complementari alle donne italiane nel mercato del lavoro, tendono a essere competitive nel mercato matrimoniale. Laddove la presenza di donne straniere (specialmente se provenienti dall’America Latina e dall’Europa dell’Est) che migrano in Italia per ragioni di lavoro è più alta, il rischio di separazione di fatto delle coppie italiane aumenta. L’associazione tra la presenza di donne migranti e gli scioglimenti coniugali caratterizza essenzialmente le coppie dove l’uomo non ha alti livelli di istruzione, mentre gli effetti sono scarsi o nulli per gli italiani altamente istruiti.
In conclusione, la presenza sempre più consistente e consolidata di cittadini con passato migratorio apporta cambiamenti ai modelli di vita familiare. Le nuove generazioni affrontano la scelta del se e quando sposarsi, e successivamente del se rimanere sposati, in modo meno rigido e preordinato. In questo processo di mutamento, le famiglie italiane sono più in affanno rispetto a quelle degli altri paesi europei, dove legislazione e sistemi di welfare sono cambiati insieme a loro. In Italia, la legislazione è invece rimasta ancorata al passato. Ma la forma familiare di riferimento per il welfare non può più essere la coppia monoreddito con due figli; e le generazioni di donne che si affacciano alla pensione non possono essere contemporaneamente il fulcro della cura dei bambini e dei grandi anziani.
Probabilmente, è giunto il momento di pensare a una nuova organizzazione della società, basata su un’idea diversa – anche molto – di famiglia.
Per saperne di più
Vignoli D., Venturini A., Pirani E. (2015), “Are foreign women competitive in the marriage market?”, paper presentato alle Giornate di studio sulla popolazione, febbraio 4-6 2015,

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