Smentito dal voto britannico il previsto testa a testa conservatori-laburisti. Cameron esce dal confronto con la maggioranza. Ma il bipartitismo storico rimane azzoppato. Alla massiccia rappresentanza dei nazionalisti scozzesi, si affiancano i deboli liberaldemocratici.
Le elezioni di Giovedì 7 nel Regno Unito sembravano alla vigilia le più incerte nella lunga storia della democrazia britannica: nessun partito avrebbe i numeri in Parlamento per governare da solo. Questo è successo solo due volte nel dopoguerra, una volta negli anni Settanta, quando i laburisti formarono un governo di minoranza con il supporto dei liberali, un’altra nel 2010, il Parlamento uscente. Il fatto che questo potesse succedere in due elezioni consecutive (2010 e 2015) avrebbe rappresentato un segnale profondo della frammentazione politica nel Regno Unito così come in molti altri paesi. Gli ultimi sondaggi ci consegnavano questo scenario:
Questo scenario è stato smentito dal voto di giovedì 7 maggio. Cameron esce dal confronto con la maggioranza. Ma il bipartitismo storico risulta azzoppato. Alla massiccia rappresentanza parlamentare dei nazionalisti scozzesi, si affiancano comunque i liberaldemocratici, bastonati dagli elettori ma significativamente presenti e probabilmente utili al prossimo governo per rafforzare la maggioranza di misura dei conservatori.
La legge di Duverger
Nel Regno Unito i parlamentari vengono eletti con sistema uninominale a turno unico “first-past-the-post”: chi ottiene più voti vince il seggio. Si tratta del metodo con il quale veniva eletto il 75 per cento dei parlamentari in Italia con il sistema elettorale che fu denominato mattarellum. È un sistema che stabilisce un forte legame fra il parlamentare e i suoi elettori in quanto ogni collegio è rappresentato da un solo parlamentare. Storicamente, inoltre, ha di solito dato la maggioranza assoluta dei seggi a un singolo partito, a volte anche con percentuali di voto popolare inferiori al 40 per cento.
La governabilità nei sistemi maggioritari, e senza ricorrere a premi di maggioranza, è resa possibile dalla cosiddetta “legge di Duverger”, secondo la quale il maggioritario produce naturalmente un sistema bipolare, per la logica del voto utile. Ossia gli elettori in un sistema first-past-the-post tendono a privilegiare uno dei due partiti maggiori, quelli che realisticamente hanno una possibilità di guadagnare il seggio. Per parecchi decenni quello britannico è stato un sistema a “due partiti e mezzo”, in cui i laburisti e i conservatori si contendono di fatto il governo e i lib-dem hanno il ruolo di terza forza. Alcuni altri partiti riescono a essere rappresentati in Parlamento grazie alla concentrazione territoriale dei voti in alcune aree del paese (ad esempio lo Scottish national party). Il partito liberal-democratico, più diffuso sul territorio come i due principali, rimane sistematicamente sottorappresentato ma riesce a eleggere un manipolo di parlamentari grazie al fatto di essere storicamente dominante in alcune aree.
Le elezioni del 2010 hanno consegnato un hung Parliament, un Parlamento in cui nessuno partito aveva la maggioranza assoluta dei seggi. Ciò ha dato origine a una coalizione tra conservatori e liberal-democratici. L’alleanza è stata siglata entro pochi giorni dalle elezioni e si è basata su un programma condiviso dai due partiti. Per il lib-dem, i cui elettori in maggioranza avrebbero preferito un’alleanza con il Partito laburista, si è trattata di una scelta politicamente costosa: da una percentuale record del 23 per cento nel 2010, le elezioni del del 7 maggio hanno attribuito loro meno di dieci seggi: un crollo. Anche per questo motivo (i mal di pancia nei lib-dem) in pochi scommettevano che la coalizione sarebbe durata, e invece è durata cinque anni e credo non molti si siano accorti della differenza con un governo monocolore.
Le differenze tra sistemi elettorali…
Può essere utile chiedersi dov’è la differenza con il nostro paese, dove invece le maggioranze (sempre di coalizione) sono sempre rissose ed instabili. La versione prevalente è che questo dipende dalla legge elettorale, e l’ennesima riforma approvata in settimana dal Parlamento va in quella direzione. Eppure di leggi elettorali ne abbiamo cambiate tante, probabilmente come nessun altro paese democratico, e la rissosità e l’instabilità sono rimaste. Più interessante forse è guardare alla diversa funzione dei partiti nei due paesi. Nel Regno Unito i partiti politici sono organizzazioni stabili, che esistono da qualche secolo sempre con gli stessi nomi, ben identificabili dagli elettori e con processi abbastanza chiari di selezione del personale politico (anche grazie ai collegi uninominali). In Italia, perlomeno dall’avvento della seconda repubblica, queste organizzazioni sono state man mano rimpiazzate da fazioni a carattere personale, estremamente fluide e di breve durata. Le fazioni in gioco sono non solo sempre pronte a far valere il proprio potere contrattuale (come succede in ogni coalizione), ma anche molto instabili, malleabili e costantemente aperte a nuove alleanze. È la vecchia pratica del trasformismo che rende i parlamenti italiani degli ultimi anni più simili a quelli del Regno d’Italia di epoca liberale (un’epoca in buona parte pre-partitica) che a quelli della cosiddetta prima repubblica. In un contesto di questo tipo ci sarà sempre qualche fazione pronta a far saltare il tavolo: usare la legge elettorale per favorire l’aggregazione in liste o pseudo-partiti non risolve il problema. In breve, la stabilità della coalizione di governo britannica è probabilmente da attribuirsi più alla stabilità dei partiti che la componevano che alla legge elettorale.
…sempre meno visibili
Per queste elezioni ci si aspettava ancora un hung-Parliament. Invece la legge di Duverger non è saltata ma non convince fino in fondo: sempre più elettori scelgono di votare per partiti minori anche se questi voti non si tradurranno in seggi. Il punto a cui si è arrivati oggi non è più un’eccezione: se guardiamo alle elezioni prima del 2010, possiamo notare un declino storico nella percentuale combinata di voti laburisti e conservatori (la linea continua nella figura), da oltre il 90 per cento del dopoguerra a circa il 70 per cento del 2005, percentuale poi scesa al 65 per cento nel 2010. La linea tratteggiata rappresenta invece la percentuale di distretti in cui i laburisti e conservatori rappresentano i due partiti maggiori: questa percentuale, che nel dopoguerra era di quasi il 100 per cento è oggi poco più del 50. Il sistema politico britannico si sta progressivamente non si è drammaticamente frammentato ma l’equilibrio bipartitico di un tempo rimane un ricordo.
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Maurizio Cocucci
Il risultato finale dimostra come non ci sia stata la frammentazione che i sondaggi e gli exit poll paventavano oltre alla loro imprecisione in termini di scostamento tra le percentuali di voto previste e quelle ottenute.
Alberto Fuzzi
Ho sempre avuto la sensazione che più sono grandi i gruppi politici più sono diversificate le posizioni all’interno degli stessi e più è necessaria la mediazione all’interno degli stessi per i diversi interessi rappresentati dagli eletti (ed inseriti in lista per ottenere l’appoggio elettorale di categorie).
Alla faccia della rappresentanza dell’interesse comune dei cittadini….
Asterix
La legge elettorale inglese comporta un legame forte tra elettore ed eletto grazie ai seggi uninominali. E’ democrazia. La legge elettorale italiana prevede un premio di maggioranza attributo al partito vincitore con elezioni di eletti scelti dal segretatio, possibilità di candidarsi in più collegi, salvo in caso di elezione far vincere il secondo in lista.. Dove è il legame eletto elettore, c’è solo il legame segretario eletto..