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Agenda per l’immigrazione Ue: la realtà dietro la retorica

Arrivi dal mare come una questione comunitaria e stanziamento di 60 milioni sono tra i pochi passi avanti dell’agenda europea per una nuova politica dell’immigrazione. Il primo superamento del “muro di Dublino” rischia di bloccare i rifugiati in un paese, indipendentemente dalle loro preferenze.

I passi avanti
L’agenda dell’Unione Europea per una nuova politica dell’immigrazione approvata dalla Commissione di Bruxelles contiene alcuni interessanti progressi: anzitutto, sul piano politico, per la prima volta tratta gli arrivi dal mare come una questione comunitaria, e non solo come un problema dei singoli paesi interessati dagli sbarchi. Ossia, sostanzialmente, in questa fase, dell’Italia.
Comporta poi un primo allentamento delle rigidità delle convenzioni di Dublino, introducendo un sistema di ricollocamento dei richiedenti asilo già entrati nel territorio europeo (non degli immigrati, come erroneamente si dice) a carico di ciascun paese, fino a un numero complessivo di 20mila persone.
Formalizza un impegno al reinsediamento di altri 20mila profughi accolti nei campi delle zone adiacenti alle aree di crisi.
Ultimo punto, ma non per importanza, mette sul piatto 60 milioni di euro.
L’agenda è stata sbandierata con molta enfasi dai politici italiani e da qualche voce raccolta a Bruxelles, ma resta in realtà timida, non condivisa da tutti i partner e soprattutto fuorviante su aspetti qualificanti.
Cominciamo dalla condivisione: Regno Unito, Danimarca e Irlanda hanno già fatto sapere che non parteciperanno. Alcuni paesi dell’Europa orientale, come Polonia e Ungheria, hanno espresso contrarietà, ma le loro posizioni non vengono prese troppo sul serio. Probabilmente, si confida nelle capacità di persuasione di Angela Merkel. L’assenso di Germania e Francia non deve illudere troppo: anche questi paesi sono in credito sul numero dei rifugiati. La Germania ha ricevuto nel 2014 circa un terzo delle domande di asilo presentate in Europa.
Accoglienza solo per 40mila
Ma i problemi maggiori sono altri e li abbiamo già segnalati. Persiste, anzitutto, la retorica dell’invasione e dei numeri ingestibili. Nella UE arrivano meno del 10 per cento dei rifugiati del mondo.
Ma anche rispetto ai 191mila nuovi richiedenti registrati nell’Unione Europea nel 2014, e ai 170mila sbarcati in Italia, la proposta di accoglienza e redistribuzione di 40mila profughi tra 25 paesi dell’UE appare molto lontana dalle necessità. Nella più ottimistica delle valutazioni, può forse essere considerata un riluttante avvio di una nuova fase.
Non è affatto vero, come si sta lasciando credere in questi giorni, che la quota dell’11,84 per cento assegnata all’Italia (9,94 per cento per i reinsediamenti) valga per il complesso dei richiedenti asilo che cercheranno rifugio sulle nostre coste nei prossimi mesi: riguarda persone già arrivate o persone oggi accolte in campi profughi prossimi alle zone di guerra. I nuovi sbarcati rimarranno sotto il regime precedente, cioè almeno in teoria a carico nostro. Con un’aggravante: arriveranno funzionari di Bruxelles a vigilare sull’identificazione e sulla corretta registrazione degli sbarcati. Se così sarà, il transito verso altre destinazioni desiderato dalla maggior parte dei profughi e benignamente tollerato dalle nostre autorità diventerà più difficile e aumenteranno le probabilità che rimangano in Italia.
Un nuovo muro
L’idea delle quote poi, pur segnando un primo superamento del “muro di Dublino”, per come è stata presentata rischia di istituire un secondo muro: blocca i rifugiati nel paese a cui sono stati ricollocati in quota. Ciò significa disconoscere i legami, le aspirazioni, le capacità progettuali dei rifugiati: se hanno parenti o compaesani in un altro paese, ne conoscono la lingua o semplicemente pensano che vi si troveranno meglio, non è giusto né ragionevole impedire loro di raggiungerlo. I rifugiati continuano a essere visti come soggetti passivi, che devono soltanto sottomettersi alle decisioni delle autorità che li accolgono. Non è un’impostazione rispettosa dei diritti umani. Sarebbe più sensato semmai prevedere di addossare i costi dell’accoglienza al bilancio comunitario, anziché a quello dei singoli Stati.
La proposta europea insiste poi, non senza successo, sulla criminalizzazione dei trasportatori. I fondi serviranno soprattutto a finanziare la vigilanza nell’ambito del programma Frontex, fino a immaginare l’uso della forza militare.
I richiedenti asilo in realtà oggi non hanno alternative e gli scafisti vendono un servizio che le linee aeree e marittime ufficiali non svolgono. Posti sotto pressione, peggiorano le condizioni di viaggio dei clienti trasportati: impiegano barche più vecchie, le affollano ancora di più, la fanno guidare dai profughi stessi.
Se l’UE volesse davvero sgominare il traffico illegale, dovrebbe prevedere canali d’ingresso sicuri, o misure di rapido reinsediamento di chi trova provvisoriamente scampo nei paesi vicini: non 20mila persone, ma molte di più. Ricordo che Libano, Turchia e Giordania accolgono ciascuno più rifugiati di tutti i 28 paesi dell’Unione Europea messi insieme.
Infine, l’UE ha riesumato la retorica dell’aiuto ai paesi di origine. In realtà, i profughi arrivano soprattutto da zone di guerra e repressione, Siria ed Eritrea in testa. Coloro che scappano non sono i più poveri del loro paese: nel caso siriano, quelli che riescono a raggiungere l’Europa sono perlopiù professionisti o commercianti con buona disponibilità di mezzi. Qualche aiuto al Niger o ad altri paesi africani non risolverà il problema.
Più in generale, i migranti non arrivano dai paesi più poveri del mondo. Proprio per questo, se anche si favorisse davvero lo sviluppo, obiettivo in sé più che auspicabile, il risultato almeno in una prima, non breve, fase sarebbe un incremento delle partenze: crescerebbe infatti il numero delle persone in grado di emigrare, mentre sul posto non aumenterebbero ancora le opportunità di una vita migliore per tutti.
La retorica è un aspetto non secondario dell’azione politica, e lo stesso vale per i simbolismi. Può darsi che l’agenda inauguri davvero una nuova fase delle politiche dell’asilo in Europa. Ma per ora rimane lontana nei risultati dall’enfatica propaganda che l’accompagna.
Paesi che si dichiarano campioni della tutela dei diritti umani devono ancora dimostrare di saperli difendere per davvero.
L’articolo è disponibile anche su www.tvsvizzera.it

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  1. Bruno

    Supponiamo che i Paesi europei organizzino dei servizi regolari di trasporto tra gli Stati elencati nell’articolo e l’Europa. Servizio regolato da norme accettate dallONU e dagli Stati interessati.
    Quanti milioni di individui, compresi quindi i relativi familiari a carico, possono essere assorbiti in Europa? Quali sarebbero le conseguenze dopo 30 anni e poi oltre?

  2. Forse ho capito le critiche del Prof. Ambrosini all’agenda UE sull’immigrazione. Ma non trovo nel suo articolo proposte esplicite su come affrontare il problema; intravedo solo accenni ad alcune soluzioni, che a me sembrano demagogico-buoniste, e non altro. Libano, Turchia e Giordania, e aggiungo il Kenya, hanno milioni di profughi; allora quanti ne dovrebbe ospitare l’Europa ? Ma in quali condizioni e con quali prospettive quei paesi li stanno ospitando? Se arrivassero in Europa vari milioni di immigranti il cibo non mancherebbe di certo, le case forse basterebbero, ma loro cosa potrebbero fare tutto il giorno, e per quanti anni? Non facciamo finta che questi problemi non esistono, salvo scoprirli tra dieci o vent’anni. E l’affermazione che se si favorisse lo sviluppo nei paesi da cui provengono ” il risultato sarebbe in una prima fase un incremento delle partenze” mi sembra assurdo; in realtà la stabilizzazione politica e lo sviluppo economico sono le uniche cose che i loro abitanti cercano quando scappano.

  3. Jack

    Sbaglio o vedo quasi “un’apologia dello scafismo” ?La verità è, anche se nessuno lo dice chiaramente : nessuno Stato europeo vuole rifugiati , quantomeno nel numero che si auspica l’autore. E non vedo perché se la Giordania ne ospita tot, anche gli Stati europei devono fare lo stesso. Ma ci sta scritto da qualche parte ? A volte si dibatte tra chi dice ” non possiamo accogliere tutti” e chi dice appunto ” sono pochi”. Chi ha ragione ? Non possiamo dirlo.Sicuramente gli immigrazionisti sono convinti di avere la verità in tasca, perché loro sono “buoni” ,mentre gli “sporchi razzisti” che non vogliono immigrazione di massa ( che siano profughi o meno) sono brutti e cattivi. Quindi, chi lo dovrebbe decidere il numero se non gli Stati , che dovrebbero decidere tenendo conto dei bisogni prima dei propri cittadini ( welfare, consumo del territorio, sovrappopolazione, sanità, delinquenza , dumping salariale etc) ? Io francamente non trovo giustificabile , per esempio, tagliare le cose messe tra parentesi e quindi peggiorare la vita degli “autoctoni” in nome di un non meglio precisato dovere umanitario. Nel caso dell’Italia è vero che, vista l’assenza di welfare , da quel punto di vista non c’è niente da tagliare, ma altri paesi il problema se lo pongono, e giustamente. Quindi anch’io sono favorevole ad accogliere i profughi ( quelli veri) ma tenendo conto delle esigenze dello Stato che li accoglie. Non siamo colpevoli di niente, al contrario di quello che ci vogliono far credere.

  4. Massimo Gandini

    Secondo l’autore l’Europa è un recipiente con una capacità inesauribile. Le conseguenze nefaste di questa visione credo che porteranno a conseguenze catastrofiche nei prossimi anni per i cittadini europei. L’unico aspetto positivo è che perfino un “buonista-terzomondista” accanito come il nostro professore non chiama i migranti con il ridicolo termine di risorse, ormai ci si è resi conto che non sono una risorsa ma solo un grosso problema. Un problema immenso che ci porterà grandi guai

  5. IC

    I numeri dei profughi presenti in alcuni paesi extraeurope citati dall’Autore si riferiscono ad archi temporali non ristretti e a popolazioni che spesso appartengono alla medesima etnia del paese ospitante. Per coerenza dovremmo conteggiare anche i profughi arrivati nei vari paesi europei nel sec. XX. Pensiamo a greci e armeni fuggiti ai genocidi turchi, ai russi fuggiti per la rivoluzione d’Ottobre, agli istriani vittime della pulizia etnica, a tedeschi, ungheresi, romeni, polacchi, finni esodati per gli spostamenti dei confini dopo la seconda guerra mondiale, ai profughi per il comunismo passati dall’Europa orientale a quella occidentale e così via.

    • IC

      Mi ero dimenticato di ricordare i pieds noirs d’Algeria e tutti gli europei cacciati dalle ex colonie europee in Africa, fra le quali Libia, Somalia, Etiopia. Tutti profughi accolti in Europa

  6. bob

    ..non è l’ immigrazione che mette spavento ma fa terrore sentire che la cosa si può risolvere parlando di “quote”. Un evento epocale storico di proporzioni bibliche si può risolvere con un evento politico uguale e contrario. La domanda che gli Stati si devono porre è: può una situazione come quella dell’Africa Mediterranea e del Medio Oriente essere lasciata così e non risolta? Io credo di no! Le quote sono pannicelli caldi di piccoli e miseri poltici che in altri momento storici non avrebbero fatto neanche il presidente della bocciofila di Buccinasco

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