Il 31 maggio vota in sette regioni. Ma poco si sa di come i candidati governatori intendano realizzare i risparmi di spesa sanitaria previsti dalla Legge di stabilità. Eppure, la sanità resta l’attività principale delle regioni. Le scelte del governo, i tagli e il poco tempo per attuarli.
Come tagliare 2,3 miliardi
Arrivano le elezioni regionali e dei tagli alla sanità per 2,3 miliardi di euro previsti dalla Legge di stabilità non si sa più nulla. L’ultima notizia risale ormai all’inizio di maggio, quando il presidente della conferenza Stato-Regioni, Sergio Chiamparino, aveva giustamente osservato che una manovra pensata su dodici mesi non può essere realizzata nella metà del tempo.
La bozza di accordo che circolava a metà aprile su come ripartire i tagli fra le regioni riprendeva le riflessioni in tema di revisione della spesa avanzate dal gruppo di lavoro sulla sanità. La proposta era di agire su quattro leve: la più importante, quella che doveva condurre ai risparmi più consistenti, era la rinegoziazione dei contratti di fornitura di beni e servizi (con l’obiettivo di risparmio del 4 per cento) nonché dei contratti di acquisto dei dispositivi medici, con l’applicazione del meccanismo del pay-back (che impone alle imprese fornitrici di contribuire al ripiano della spesa in eccesso rispetto a quanto programmato). La seconda leva era legata alla pubblicazione di prezzi di riferimento per i farmaci e alla revisione straordinaria del prontuario farmaceutico da parte dell’Aifa. A seguire, il contenimento delle prestazioni inappropriate, sia specialistiche (tramite una sorta di responsabilità patrimoniale da parte dei medici prescrittori), sia per la riabilitazione (attraverso una decurtazione delle tariffe).
La protesta di alcune regioni (che giudicavano “troppo lineari” i tagli proposti) unita alle osservazioni del governo (che, per esempio, riteneva inaccettabile la responsabilità patrimoniale dei medici) hanno portato all’impasse; e alla scomparsa del tema anche dalle campagne elettorali dei candidati governatori.
La spesa sanitaria in sette regioni
Eppure, la sanità costituisce la parte preponderante dell’attività delle regioni; e per i cittadini che si apprestano ad andare al voto sarebbe bene saperne qualcosa di più. Per esempio, sull’andamento della spesa nelle sette regioni dove si tengono le elezioni.
La tabella 1 riassume qualche dato a partire da dati Agenas. Si è considerato il quadriennio 2010-2013 per tener conto delle ultime elezioni regionali. Solo Puglia e Campania sono sottoposte a piano di rientro e la Campania è anche commissariata. Una prima osservazione evidente è che nel quadriennio la spesa corrente si è ridotta in quasi tutte, con l’eccezione dell’Umbria dove è aumentata dello 0,9 per cento. Il calo maggiore si è registrato nella commissariata Campania (-6 per cento); ma un taglio rilevante si osserva anche in Liguria (-4,2 per cento), anch’essa soggetta a piano di rientro fino al 2009.
La sanità sembra quindi aver contribuito a una riduzione della spesa pubblica (con un meno 0,8 per cento su base nazionale), confermando che non tutte le componenti della spesa primaria si muovono nella stessa direzione.
Qualche ulteriore osservazione interessante arriva guardando alle singole componenti della spesa. Per esempio, i costi del personale si sono ridotti in tutte le regioni, ma con percentuali molto diverse: più elevate in quelle commissariate (-12,6 per cento la Campania, -9,6 per cento la Puglia), ma superiori al 4 per cento anche in Toscana e Marche, dove sembrano essere il frutto di razionalizzazioni volontarie della spesa.
Per quanto riguarda i farmaci, una delle leve sulle quali punta il governo per portare a casa i 2,3 miliardi di tagli, si osserva una sostituzione tra la spesa per la farmaceutica convenzionata (che si riduce) e la spesa per acquisti diretti (che invece aumenta). I saldi sono però diversi tra le regioni: fa meglio di tutti la Liguria, ma pure il Veneto e la Toscana riescono a ottenere risparmi del 5-6 per cento.
Interessante infine l’andamento dei costi per servizi esterni, che mostrano gli andamenti più variegati: in Veneto, il taglio è quasi del 9 per cento, mentre nelle Marche si ha una crescita superiore al 7 per cento. E aumenti si registrano pure nelle regioni sottoposte a piano di rientro, segno che il taglio dei costi del personale potrebbe essere stato in parte riassorbito da un incremento dei contratti esterni.
A pochi giorni dal voto, questi numeri impongono qualche domanda. Primo: che cosa pensano i candidati governatori dei tagli è scontato, meno scontato è come intendono affrontarli se dovessero vincere. Se ne può sapere qualcosa? Secondo: come ipotizzano di definire i tagli e su quali parametri? Tagli lineari – anche alla luce delle percentuali discusse sopra – continueranno a essere difficilmente accettabili. Terzo: il governo ritiene di riproporre 2,3 miliardi di risparmi da qui a dicembre? O, più realisticamente, pensa di rimettere mano in fretta al Patto per la salute e dimezzare le previsioni di risparmio, visto che sei mesi sono già passati?
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