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Quei “matrimoni” contrastati tra piccoli comuni

La partita delle gestioni associate obbligatorie giocata da governo e piccoli comuni produce per ora un solo risultato: il continuo allungamento dei tempi per gli enti inadempienti. Ecco i motivi per cui la riforma non decolla e i percorsi per farla diventare un’ opportunità di cambiamento.
Gestioni associate nei piccoli comuni
La normativa italiana obbliga i comuni sotto i 5mila abitanti (3mila per i comuni montani) alla gestione associata delle funzioni definite fondamentali. Il termine per l’adempimento previsto in un primo tempo dalla legge era il 31 dicembre 2013, poi prorogato a fine 2014 e successivamente posticipato alla fine del 2015.
L’intento del legislatore è di ottenere – attraverso le gestioni associate – risparmi di spesa, imponendo, salvo eccezioni che possano essere previste in sede regionale, forme di intermunicipalità con dimensione demografica minima pari a 10mila abitanti.
Ma a che punto siamo con l’introduzione della gestione associata nei “piccoli comuni”? Sono confermate le previsioni del legislatore? Per comprendere la rilevanza del tema, basta ricordare che in Italia sono presenti oltre 8mila comuni, dei quali quelli con popolazione fino a 5mila abitanti costituiscono il 70,2 per cento del totale e in essi risiede il 17,1 per cento della popolazione italiana.
Per una nostra ricerca abbiamo costruito un campione stratificato e rappresentativo composto da 1.362 comuni con meno di 5mila abitanti e inviato un questionario ai tutti i responsabili dei servizi economico-finanziari ottenendo 349 risposte.
giacomini1La nostra ricerca si basa quindi sulle percezioni degli “adopters delle riforme” e misura alcune variabili i cui esiti potrebbero mutare nel tempo (ad esempio, la diminuzione dei costi potrebbe avvenire dopo un certo numero di anni). Tale scelta ci è parsa preferibile in quanto finora i dati di bilancio sono troppo recenti e incompleti; future ricerche saranno tuttavia necessarie per continuare a monitorare il fenomeno delle gestioni associate.
I nostri dati dicono che i comuni italiani sono ben lontani dal raggiungere l’obiettivo di associare le undici funzioni fondamentali individuate dal legislatore: solo uno su quattro si trova oltre la metà del percorso. La funzione che maggiormente viene svolta in forma associata è quella di protezione civile (in 182 comuni su 349), seguita dalla polizia municipale e dai servizi sociali.
Il dato più preoccupante è però quello sui comuni che, nonostante l’obbligo, non hanno ancora provveduto ad associare alcuna funzione: sono il 6,6 per cento.
Certo, l’indecisione dei governi che si sono succeduti non ha spinto i comuni verso un’adesione convinta; il termine di adempimento è stato rinviato per ben tre volte e l’ultima proroga è stata una palese dimostrazione di incertezza: in pochi giorni, tra gennaio e febbraio 2015, si è passati dalla minaccia di commissariamento dei comuni inadempienti a un rinvio di oltre undici mesi.
 I benefici percepiti
 La tabella 2  riporta il polso dei responsabili economico-finanziari rispetto ai potenziali benefici che vengono tradizionalmente correlati con la gestione associata. In almeno un caso su tre, non sembrano esserci aspettative di maggior efficacia, efficienza e professionalizzazione. Mentre si ritiene di poter ottenere un maggior peso politico-istituzionale in un caso su due circa.
Giacomini2Inoltre, come si vede dal grafico sotto riportato, solo un comune su cinque ipotizza una riduzione dei costi a seguito della gestione associata.
Grafico 1 – Percezione sull’andamento dei costi a seguito delle gestioni associate obbligatorie
giacomini3
Non basta un decreto per risolvere una questione aperta sin dall’Unità d’Italia. Il percorso verso l’intermunicipalità si sta confermando più lento del previsto e in circa un terzo dei comuni non si vedono effetti positivi dal punto di vista della riduzione dei costi. Il continuo slittamento dei tempi di attuazione della riforma svuota di credibilità l’ipotesi del commissariamento in caso di inadempimento e non porta gli enti refrattari a impostare percorsi di progettazione organizzativa che vadano oltre al mero adempimento normativo.
Come sempre, non basta fare buone leggi, ma bisogna favorirne una attuazione corretta e certa. È per questo che il legislatore dovrebbe ora prevedere un reale sistema di premi e punizioni, per accompagnare gli enti locali coinvolti nei percorsi di apprendimento collaborativo. Solo così le gestioni associate potranno trasformarsi da adempimento normativo a reale opportunità di cambiamento positivo per l’universo dei piccoli comuni italiani.

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Le conseguenze dell’immigrazione

  1. Alfonso Salemi

    Molto interessante la norma che impone ai piccoli Comuni di unirsi.
    A mio avviso, tuttavia, sarebbe preferibile unire tutti i Comuni della Provincia al Capoluogo della Provincia che diverrebbe il vero COMUNE della Regione. Nelle singole comunità degli attuali comuni (8000) si potrebbe eleggere un numero limitato di rappresentanti, in base alla popolazione e all’importanza oggettiva del comune, con prerogative diverse da quelle attuali che di fatto attribuiscono le stesse prerogative al comune di 1000 abitanti e quelle dei comuni di 100.000 abitanti o più. Attualmente, ad esempio, non si riesce a fare la circonvallazione in un comune perché un piccolo tratto dovrebbe passare dal comune vicino che si oppone. I Casi analoghi sono infiniti e stucchevoli. Non riesco a capire perché non sia possibile attuare una soluzione di questo tipo che sarebbe certamente più razionale ed economica anche nella sua implementazione.

  2. Marco

    Il punto problematico è l’atavico campanilismo, non la razionale analisi costi/benefici che comporta un’unione.
    Ho visto Comuni programmare opere pubbliche senza il minimo criterio (l’esempio della circonvallazione calza: è facile diminuire il traffico spostandolo nei comuni vicini con tracciati stradali assurdi che raddoppiano il chilometraggio, tanto “pagano” gli altri).
    Unificare le amministrazioni non cambierà questa mentalità da cortile, NIMBY come dicono gli anglofili.

  3. maura

    Ne mio comune il referendum ha deciso per la fusione di quattro municipalità di montagna che erano già in Unione I sostenitori hanno garantito che le sedi attuali dei municipi non verranno chiuse e che il patto di stabilità verrà sospeso, ma siamo proprio certi che la causa del disavanzo pubblico sia proprio il piccolo comune?

    • bob

      ..il disavanzo sono le Regioni per come sono impostate (Governatore in USA è colui che gestisce un territorio di 20 milioni di abitanti in Italia Governatore si attribuisce al Molise gli stessi abitanti di 3 condomini di Roma) e a seguire la follia della ” bufala federalista” in pratica il Paese di Arlecchino e Pulcinella ampiamente rappresentato

  4. Davide Giacomini

    Grazie per le osservazioni. Non si ritiene che la causa del disavanzo pubblico siano i comuni, i numeri dicono chiaramente il contrario. I comuni al contrario hanno contribuito non poco al tentativo (per ora fallito) di risanamento delle finanzae pubbliche. Economie di scala e di specializzazione sono preseguibili sopratutto nei piccoli comuni, dove spesso 1-2 persone devono occuparsi di ambiti eterognei con normative continuamente mutevoli. In questo senso possono essere utili le gestioni associate. Condivisibile l’osservazione del signor Salemi, un comune con 200 abitanti non può avere le stesse competenze di una metropoli, anche in questa direzione le GAO possono essere uno strumento utile.

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