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Rifugiati: i limiti della rilocalizzazione

La Commissione ha proposto un meccanismo di redistribuzione dei richiedenti asilo tra gli Stati membri che supera Dublino 3. Tiene conto di dimensioni e situazione economica di ciascun paese e di quanti richiedenti asilo sono già stati accolti. Due punti deboli e l’alternativa possibile.

La proposta della Commissione
Nell’articolo precedente abbiamo esaminato alcuni dei problemi posti dall’aumento del numero di profughi e dall’applicazione delle disposizioni del regolamento Dublino 3
A metà maggio, in una comunicazione al Consiglio e al Parlamento UE, la Commissione ha proposto l’istituzione di un meccanismo di redistribuzione automatica dei richiedenti asilo tra gli Stati membri, in deroga al regolamento Dublino 3, secondo percentuali determinate in base alle dimensioni e alla situazione economica di ciascuno Stato e al carico già sopportato in materia di richiedenti asilo. In base alla situazione attuale, all’Italia spetterebbe una frazione del numero di richiedenti asilo pari all’11,8 per cento (contro il 14,2 per cento della Francia e il 18,4 per cento della Germania).
La proposta della Commissione, se venisse approvata in modo da garantire una redistribuzione automatica e immediata dei profughi e delle relative domande di asilo, farebbe venir meno da un lato l’iniquità insita nel regolamento Dublino 3 e, dall’altro, renderebbe inutile l’atteggiamento un po’ truffaldino dell’amministrazione italiana. Inoltre, se nell’assegnazione individuale di ciascuno dei richiedenti asilo si tenesse conto (sia pure in modo non vincolante) delle preferenze dell’interessato, potrebbe ridursi di molto la volontà di elusione dei controlli da parte dei profughi.
Non è detto, invece, che, nel breve periodo, una soluzione di questo genere alleggerisca il carico che effettivamente grava sull’Italia. Mentre, infatti, la vulgata messa in giro dai politici italiani tende ad accreditare l’immagine di un paese – il nostro – martire del suo stesso spirito umanitario, le cifre descrivono una realtà un po’ diversa. Valga per tutti il confronto tra Italia, Germania e Francia. Ecco i dati:
– stranieri presenti alla fine del 2013 quali beneficiari di protezione internazionale: Italia, 78.061 (8 per cento del totale UE); Germania, 187.567 (19,1 per cento); Francia, 232.487 (23,7 per cento)
– richieste di asilo ricevute nel 2014: Italia, 64.625 (10,3 per cento del totale UE); Germania, 202.645 (32,4 per cento); Francia, 62.735 (10 per cento)
L’Italia non raggiunge, né quanto a stock né quanto a flusso, la percentuale che la proposta della Commissione le attribuisce. La Germania, per parte sua, trarrebbe vantaggio da quella proposta. La Francia, invece, sarebbe chiamata a un maggior onere rispetto al flusso di nuove domande, ma, sul lungo periodo, vedrebbe ridursi lo squilibrio relativo allo stock di beneficiari di protezione.
A una conclusione diversa si arriverebbe se l’Italia non avesse messo in atto il meccanismo elusivo di cui si è detto nel primo articolo. Se, infatti, dei 170mila stranieri sbarcati sulle coste italiane nel 2014 la maggior parte avesse depositato impronte e richiesta di asilo in Italia, il nostro paese avrebbe registrato una percentuale di domande vicina al 27 per cento del totale UE, e la proposta della Commissione rappresenterebbe un effettivo alleggerimento dell’onere italiano. In altri termini: quella proposta darebbe una base legale (quasi completa) al meccanismo redistributivo che il nostro governo ha realizzato, o lasciato che si realizzasse, in modo illegale.
Punti deboli e alternative
Vi sono punti deboli nella proposta della Commissione? Ne vedo due. Il primo è che lascia inalterato il fatto che ciascuno Stato membro può comunque ridurre i propri oneri applicando restrittivamente i criteri in base ai quali riconoscere il diritto alla protezione. Sarebbe opportuno, allora, che l’esame delle domande fosse comunque gestito da organismi espressione della UE e non del singolo Stato membro, fermo restando il diritto del singolo Stato di adottare misure di protezione nazionale più generose. Se il numero di richieste di asilo arrivasse, poi, a livelli tali da essere percepito come una minaccia intollerabile per il sistema di welfare della UE, sarebbe molto più onesto ammettere che l’Unione Europea non è moralmente matura per riconoscere il diritto alla protezione sussidiaria (senza la possibilità di porre un limite numerico al numero, grande, dei beneficiari). Si potrebbe ripiegare sulla concessione di una protezione temporanea a un numero predefinito di profughi, limitando il riconoscimento del diritto alla protezione ai soli rifugiati (ossia, a quanti siano personalmente perseguitati).
Il secondo punto debole è legato al fatto che la distribuzione tra Stati membri sarebbe decisa in base a una mediazione tra burocrazie e difficilmente una decisione di questo genere risulterebbe economicamente efficiente e oggetto di aggiustamenti opportunamente rapidi.
L’alternativa potrebbe consistere nel lasciare la decisione sullo Stato in cui chiedere o godere del diritto d’asilo agli interessati (scommettendo sulla loro razionalità), ripartendo però tra tutti gli Stati membri i costi dell’assistenza da accordare, fino a raggiungimento dell’autosufficienza economica, a ciascuno straniero.

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Vocecomics del 25 giugno

  1. AM

    Il problema non è solo la ripartizione dei rifugiati fra i vari membri UE, ma il rimpatrio, o comunque l’espulsione (vera e non solo sulla carta bollata) dei falsi profughi, che sono la maggioranza. Vi è il rischio che questi se li accolli tutti l’Italia

    • Sassoli

      L’Italia deve rinegoziare Dublino 3. Questo accordo, secondo le sue clausole, puo’ essere ridiscusso. Non si capisce perchè il governo Renzi non metta sul tavolo questa opzione imprescindibile.

  2. Piero Fornoni

    Secondo me la maggioranza dei paesi EU ha bisogno nei prossimi 20 anni di una immigrazione netta positiva per evitare un tracollo della popolazione attiva .
    Perche’ non usare degli incentivi e facilitazioni per invogliare i profughi ad installarsi e rimanere per esempio 5 anni (un periodo sufficientemente lungo per adattarsi ) nei paesi EU dell’est o nelle zone montane /agricole che hanno una immigrazione netta decisamente negativa ed un invecchiamento accelerato (causa emigrazione ) della popolazione ?
    Da dove potrebbero venire i fondi ? Dai fondi umanitari e strutturali dell’ EU .

    • AM

      Certo in teoria i profughi potrebbero essere insediati in aree rurali abbandonate come quelle montane e collinari di alcune parti d’italia e indirizzati a coltivare terreni oggi incolti, ma gli agricoltori italiani del Nord difficilmente sarebbero indotti a dare loro lavoro in presenza degli attuali vincoli ai livelli salariali. E quindi gli immigrati potrebbero lavorare la terra in proprio come affittuari o usufruttuari associandosi in cooperative. Dubito molto che questi immigrati abbiano volontà e capacità di lavorare la terra. Forse molti preferiscono stabilirsi nelle aree urbane vivendo di aiuti statali, di accattonaggio, di prostituzione e di espedienti.vari

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