L’esperienza di altri paesi suggerisce che un salario minimo definito a livello adeguato e, soprattutto, differenziato per età e aggiornato spesso può essere uno strumento utile per combattere il rischio povertà. Ma da solo non basta.
Chi ha il contratto e chi no
Un elemento del Jobs Act finora rimasto nel cassetto è quello del salario minimo. L’esperienza internazionale suggerisce che se definito a un livello adeguato, aggiornato frequentemente in base a valutazioni obiettive e possibilmente differenziato per classi d’età, il salario minimo legale può essere uno strumento di contrasto al rischio di povertà tra i lavoratori a bassa qualifica anche se non può sostituire altre politiche di sostegno di reddito delle famiglie meno abbienti (si veda l’Employment Outlook 2015 dell’Ocse 2015). In Italia esistono circa duecento contratti collettivi, che interessano il 59,7 per cento degli occupati dipendenti. Questi contratti, a norma dell’articolo 36, della Costituzione sono però estesi anche a imprese e lavoratori non firmatari, arrivando a coprire circa l’80 per cento dei lavoratori. Del restante 20 per cento, alcuni lavoratori possono essere pagati più dei minimi collettivi e, inversamente, tra l’80 per cento dei lavoratori ufficialmente coperti alcuni possono essere pagati meno del minimo contrattuale (in nero o per errore data la complessità del sistema). Inoltre, lo sviluppo di nuovi settori, occupazioni e forme contrattuali con minori coperture dei contratti collettivi ha reso questi ultimi meno efficaci nell’offrire a tutti i lavoratori dei minimi salariali adeguati. Statistiche sull’effettiva copertura del sistema italiano sono ancora poche (si vedano Garnero o Leonardi). Per comprendere il potenziale impatto dell’introduzione di un salario minimo legale è necessario non solo stimare il numero di lavoratori potenzialmente coinvolti, ma anche definirne il livello. La preoccupazione più importante è il potenziale effetto negativo sull’occupazione. La ricerca economica ha dibattuto a lungo sul tema e continua a farlo: in generale gli effetti tendono a essere piuttosto limitati se il salario minimo è fissato a un livello relativamente contenuto (nei paesi Ocse la media è di circa il 50 per cento del salario mediano, abbastanza stabile rispetto all’inizio della crisi, figura 1).
I criteri da seguire
Sarebbe poi utile discutere, sempre in conformità a evidenze empiriche, eventuali differenze per età, area geografica e durata della disoccupazione. Differenze per età esistono in quattordici dei ventisei paesi Ocse con un salario minimo legale, in particolare per i giovani sotto i 20 anni. Differenze geografiche esistono soprattutto negli Stati federali, come gli Stati Uniti, il Canada o il Messico ma anche in Giappone. Eccezioni per i disoccupati di lungo periodo sono state previste in Germania. Nel contesto italiano il salario minimo non deve costituire un disincentivo all’assunzione di giovani e disoccupati di lungo periodo o a investimenti in aree meno sviluppate.
Più in generale, il metodo di definizione e aggiornamento del salario minimo legale è molto importante. Lo si può lasciare agli umori della politica oppure affidare a una commissione indipendente in cui possano confrontarsi datori di lavoro, lavoratori, esperti e governo (un buon esempio è la Low Pay Commission nel Regno Unito). È’ bene prevedere aggiornamenti frequenti, basati su criteri trasparenti, imparziali e pubblicamente discussi, slegati da valutazioni puramente politiche, ma nemmeno eccessivamente formalizzati da formule matematiche per potersi adattare facilmente al contesto economico del paese.
Da solo non basta
Forse l’elemento più importante, è l’interazione tra salario minimo, sistema fiscale e politiche sociali. Anche a livelli di salari bassi le tasse sul lavoro e i contributi sociali possono creare differenze rilevanti tra quanto un’impresa deve pagare, includendo tasse e contributi sociali a carico del datore di lavoro, il lordo in busta paga e il netto. Per esempio, in Germania un lavoratore single vede il proprio salario minimo orario ridursi da 8,50 lordi a 6,30 euro netti a causa di tasse e contributi sociali. In Irlanda, ben il 95 per cento di un aumento del salario minimo lordo del 5 per cento sarebbe assorbito da tasse e minori trasferimenti, mentre in Spagna la situazione sarebbe speculare con il 95 per cento dell’aumento nelle tasche dei lavoratori (si veda figura 2). Inoltre, alcuni paesi prevedono forti decontribuzioni per i lavoratori al livello minimo per contenere i costi per le imprese. La Francia, per esempio, grazie alle decontribuzioni passa dall’essere uno dei paesi con il salario minimo in busta paga più elevato a uno in cui il costo del lavoro al livello minimo è nella media Ocse. Queste decontribuzioni, però, devono essere compensate da maggiori contributi a livelli più elevati della distribuzione salariale.
Infine, è opportuno ricordare che un salario minimo legale è uno strumento semplice da utilizzare, ma difficile da focalizzare sui lavoratori più vulnerabili e quindi, preso da solo, scarsamente efficace a sostenere adeguatamente i redditi. Non avere un lavoro oppure lavorare poche ore a settimane o pochi mesi all’anno sono fattori molto più importanti nel determinare il rischio di povertà. Politiche sociali di sostegno al reddito rimangono insostituibili per combattere efficacemente la povertà e utili complementi al salario minimo legale.
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Bruno
Dovrebbero allora essere riviste comunque le pensioni minime , comprese quelle di chi ha versato 15 anni di contributi ,e di chi oggi riceve una pensione di vecchiaia di € 80 / mensili ,a causa di cumulo con il reddito famigliare . Per questo allora dovrebbero essere esclusi i figli che vivono in famiglia con i genitori con reddito famigliare superiore al minimo !
Alfonso Salemi
Il salario minimo deve essere associato ad un’attività congruente con la preparazione e la formazione precedente.
L’inserimento nelle attività lavorative dovrebbe essere fatta anche in sovranumero.
Perché mai la nostra società dovrebbe mandare al macero anni di studio ed esperienza?
Che vantaggio ne trae la società ad esautorare i propri cittadini?
In questo modo, invece, non vengono perse le cognizioni e le potenzialità delle persone.
Vorrei conoscere l’azienda o l’ente che non accetterebbe di inserire persone,
anche part-time pagate dallo Stato…….
Non è vero che mancano i fondi perché gli sperperi sono così grandi che sarebbero adeguati allo scopo.
Chi toglierà dalla testa dei legislatori che il lavoro è un diritto e non una opzione ?