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Alla ripresa italiana manca l’offerta oltre alla domanda

Molti attribuiscono la bassa crescita del Pil alla carenza di domanda. Non è così. L’Istat dice che nel secondo trimestre i consumi si sono risvegliati con una crescita dello 0,4 per cento. Il guaio è che la maggiore domanda è soddisfatta più dalla produzione estera (le importazioni) che da quella interna.

Si consolida una ripresa più lenta che in passato
Con la diffusione delle stime Istat sulla crescita del Pil (rivista al rialzo al +0,3 per cento) e delle sue componenti (consumi, investimenti, spesa pubblica, export e import) nel secondo trimestre 2015, si può ritornare con maggiore precisione sulle ragioni che frenano la ripresa nell’economia italiana.
Dalla tabella sotto (che contiene un confronto con le riprese del passato) si vede che la crescita del Pil trimestrale nel primo semestre 2015 (mediamente al +0,35 per cento nel primo e nel secondo trimestre 2015) è in linea con quella sperimentata nella precedente ripresa del 2009-11 e nettamente inferiore alle riprese del recente passato (fine anni Novanta e anni Duemila). Il fatto che le riprese di oggi non siano più di quelle di una volta è già stato discusso in un articolo precedente su questo sito.
I dati Istat di oggi arricchiscono il quadro presentato in precedenza perché includono informazioni sull’evoluzione delle componenti del Pil. I dati vanno contro l’opinione consolidata di molti che identificano nella sola carenza di domanda la causa della bassa crescita in Italia. L’Istat dice che nel secondo trimestre 2015 i consumi si sono risvegliati con una crescita dello 0,4 per cento (dunque superiore alla crescita del Pil) mentre nel primo trimestre erano diminuiti leggermente. Gli investimenti, dopo il boom del primo trimestre, fanno invece registrare una nuova flessione. Nella tabella (che riporta il dato medio tra i due trimestri) si vede che la crescita dei consumi nel primo semestre 2015 è stata dello 0,2 per cento e quella degli investimenti dello 0,5 per cento. La domanda interna del settore privato è dunque ripartita, e questa è un’importante novità. La domanda estera (l’export) fa – come al solito – meglio della domanda interna privata (è stata l’unica voce a rimanere positiva anche nei trimestri più negativi), con un +1,2 per cento nel secondo trimestre e un dato medio di +0,9 nel primo semestre 2015. Tra le varie voci del Pil a languire c’è solo la spesa pubblica in beni e servizi che cala marginalmente dello 0,1 per cento. Qui però c’è da ricordare che un’altra metà della spesa pubblica, quella in trasferimenti, non è contabilizzata nel Pil (che misura solo la produzione di nuovi beni e servizi e non i trasferimenti di reddito da una categoria all’altra). E la voce “trasferimenti” non è certo calata in questi anni, compensando la marginale riduzione della spesa in beni e servizi.
La crescita frenata anche dall’offerta
Nel complesso, dunque, la domanda interna ed estera del settore privato vanno piuttosto bene e, sommate insieme, crescono dello 0,4 per cento, cioè di un’incollatura in più rispetto al Pil (che fa registrare, come detto, un +0,35). Ma questa accresciuta domanda viene soddisfatta più che in passato da produzione estera (le importazioni, in crescita del 2,2 per cento nel secondo trimestre 2015, e del 2 per cento nel semestre) anziché da produzione interna (il Pil). Se a soddisfare la domanda di famiglie e imprese sono produttori esteri, il volume di produzione industriale e dei redditi generati in Italia ne soffre per forza. E il Pil cresce meno di quanto potrebbe.
L’entità di questo fenomeno (il crescente boom dell’import durante la ripresa) è particolarmente evidente se si confrontano i dati su consumi e investimenti con quelli delle importazioni nel corso del tempo. Durante la ripresa del 1999-2001, il +0,5 di crescita dei consumi e il +1,3 di crescita degli investimenti “richiedeva” un aumento delle importazioni di +1,6 per cento. Nelle riprese successive il rapporto tra crescita delle importazioni e crescita di consumi e investimenti è sempre cresciuto. Nella ripresa attuale, il magro +0,15 di consumi e il +0,45 di investimenti alimenta un aumento del 2 per cento delle quantità importate. E’ il frutto solo parzialmente inevitabile della globalizzazione che sposta i fornitori e ciò che ieri si chiamava l’indotto delle grandi imprese sempre più spesso all’estero. A pesare sull’aumento delle importazioni è però anche la perdita di competitività subita dall’Italia negli anni della crisi (per la minore produttività a fronte di salari che hanno continuato a crescere sia pure in misura minore che in passato), solo parzialmente compensato dal deprezzamento dell’euro degli ultimi dodici mesi. Siccome l’andamento dell’euro sembra essersi stabilizzato, diventa ancora più urgente ristabilire le condizioni per un recupero di convenienza a localizzare la produzione entro i confini nazionali: riducendo davvero tutte le imposte, accelerando la soluzione dei contenziosi nella giustizia civile e completando le riforme in cantiere per rendere la pubblica amministrazione e la scuola sempre più al servizio degli utenti. Ben di più che politiche di sostegno alla domanda.
Tabella – Il Pil e le sue componenti durante le riprese di oggi e di ieri
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23 commenti

  1. Augusto Morosi

    Non sono un economista ma le pongo una domanda: Seguendo la sua analisi mi pare di capire che incrementi nella dotazione di denaro di ciascuno di noi, esempio gli 80 euro e le promesse misure di sgravio, Tasi, IMU, per chi ne beneficerà – il pensionato, il giovane in affitto e fuori dagli 80 euro è proprio uno sfortunato – comporteranno un aumento del denaro spendibile in consumi ma soprattutto a per beni e servizi importati. Da qui l’importanza, scrive lei “di ristabilire le condizioni per un recupero di convenienza a localizzare la produzione entro i confini nazionali”. Questo però potrà avvenire solo nel tempo, da qui, ecco la domanda, non è che l’agenda fiscale presentata dal Presidente del Consiglio dovrebbe essere reimpostata: cioè prima, quello che va sotto il nome di Costo del lavoro e poi, solo poi, TASI, IMU?
    Grazie

    • Roberto

      Il Sig. Augusto ha ovviamente ragione ma i proprietari di case portano più voti.

  2. Rainbow

    Articolo impeccabile, ho esaminato anche io i Dati dell’Istat sul sito, non ho capito una cosa (o forse si!). Esaminando le varie componenti del P.IL e i flussi, mi pare di aver capito, anche in ragione di quello che lei descrive in questo articolo,c he la componente esportazioni nette e’stata negativa per meno 0,2! Ossia,le importazioni hanno superato le esportazioni totali nel secondo trimestre. L’aumento dei consumi interni, anche se sono andati sopratutto verso l’export, convalida anche la tesi che gli 80 euro non sono stati “una mancia elettorale” come taluni osservatori (Scalfari su Repubblica lo scrive ogni domenica da un anno!) sostengono, ma un effettivo sostegno ai consumi come era nelle intenzioni del governo!

  3. marcello

    I dati riportati indicano che la ripresina italiana è trainata dall’export e anche che l’esport fa crescere le importazioni. Non mi sembra na novità visto che l’Italia ha più o meno lo stesso livello di offshoring e outsourcing della Germania. Quello che è diverso è il valore aggiunto, quindi avendo produzioni nazionali con minore aggiunto la produzione locale pesa meno. Ci sono in atto dei fenomeni importanti di reshoring, che coinvolgono anche l’Itlalia, ma credo che il dato più imporatnte che l’articolo comunica sia quello della profonda difficoltà della manifattura, che non solo ha perso una quota elevata della capacità produttiva (1/5), ma come riportato da una recente indagine del Sole 24 Ore, presenta imprese che per circa il 35% sono si sopravvissute ma non hanno ancora raggiunto il fatturato del 2008 . In una prospettiva internazionale caratterizzata dall’estrema volatilità delle borse e da un’estesa crisi dei BRCS, mi sembra dura affidarsi a qualche riforma, pur necessaria, senza una forte ripresa della domanda interna. Come finanziarla? Il 10% delle famiglie italiane detiene il 50% della ricchezza: più di 4600 mld di euro, l’indice di Gini è arrivato ai livelli UK: esiste un problema di disuguaglianza e di spesa. L’IMU può essere abolita e contemporaneamente introdotta una patrimoniale sopra 800 mila euro: gettito minimo 8mld. Trasformare Cdp sul modello di KWF e usare i risparmi di spesa per investimenti in infrastrutture di rete, non vedo alternative.

  4. gabrielon l.

    Per scoraggiare le importazioni ci vorrebbe anche una flessibilità del cambio tra Italia e Resto del Mondo che con l’euro non ci possiamo più permettere. Stranamente però, ci si chiede sempre maggiore flessibilità dei salari e dei contratti lavorativi. Mi sfugge un passaggio?

  5. Pif

    Gira che ti rigira viene fuori il problema della produttività che da anni è stagnante, su questo ci sono opinioni diverse i no-euro dicono che è solo colpa del cambio, i liberisti della rigidità del lavoro, altri vedono appunto una caduta degli investimenti e la incapacità ad innovare, figlia anche delle dimensioni di impresa, probabilmente io credo che conti anche molto uno Stato che spende poco per ricerca e spende i soldi male anche negli incentivi alle imprese ( anche il job act ha queste lacune). Siccome le spiegazioni troppo semplici in economia sono sbagliate è probabile che la realtà sia un mix delle cose che ho detto che quindi richiederebbe un lavoro serio e continuo, la rottura delle tantissime rendite di posizione a tutti i livelli, e forse un po meno le sparate sul PIL che aumenta quando le cause sono probabilmente esogene( euro e petrolio) .Aspettiamo fiduciosi che prima o poi torni in Italia una classe dirigente seria e preparata….io non ci credo

  6. vincenzo

    Gentile Prof,
    l’offerta è bassa perchè lo stato/governo è li pronto sull’uscio del tuo ufficio a dare il suo colpo di mannaia carico di tasse, compromettendo tutto, competitività compresa. Se LaVoce vuole sono disponibile a pubblicare la mia piccola contabilità in trasparenza per rendere l’idea di cosa succede su un fatturato di 100 ml euro/annui e cosa rimane dopo tasse e mannaie governative. Una vergogna. Sono semplicemente uno schiavo del governo italiano, sudo dalle 7 di mattina sino alle 21 di sera per pagare le esose tasse rese necessarie dalle malefatte dei colletti bianchi ancora seduti a roma che la parola lavoro non la conoscono neppure. Ma quale giovane pazzo può mai pensare di fare qualcosa qui in Italia e stimolare l’offerta a queste condizioni?
    Vincenzo

  7. Alessandro

    Caro Daveri, non si puo’che concordare, numeri alla mano, con la sostanza del suo articolo. In effetti, quello che manca alla “ripresa” economica italiana per acquisire velocita’ ‘e’proprio un robusto contributo sia della domanda interna sia di quella estera. Cosa non semplice visto il perdurare della bassa fiducia di famiglie (a risparmiare e consumare) e imprese (a investire), malgrado petrolio a 40 USD al barile, euro (quasi) ai minimi sul dollaro, QE della BCE (che in verita’, oltre a far scendere i tassi sul debito pubblico, serve a far salire i prezzi degli assets) ecc. Tutte condizioni favorevoli quasi irripetibili, che in larga parte spiegano la “ripresina” degli ultimi 2 trimestri. Di ben poco, pero’, si tratta, ahime’: abbiamo perso 9 punti cumulati di Pil dal 2008 e il 25% della produzione industriale,dunque uno 0.3 o 0.4 cambiano poco. Il trionfalismo del governo e’piuttosto desolante. Il divario di velocita’della nostra ripres(in)a rispetto a DE, FR e ES dal 2011 in poi, sebbene attenuato negli ultimi 2 trim., resta evidente ed e’il vero problema. Senza un’adeguata offerta (i.e.imprese adeguate alla competizione internazionali, prodotti innovativi e +altro valore aggiunto ecc) tale divario non sara’colmato nemmeno da una rinnovata domanda interna. Ne’ e’probabile che nei prossimi mesi le imprese trovino sbocco sui mercati esteri visto il rallentamento, quando non recessione, dei BRICS e compagnia. La vedo dura.
    Cordiali Saluti,

  8. Mi piace leggere analisi come quella dell’autore. E gravissimo quello che sta succedendo: il governo lancia nuovamente delle caramelle ai consumatori-elettori invece di rendere il paese più competitivo. L’annuncio della soppressione della tassa sulla prima casa è scandaloso. Tutti applaudono, tutte le forze politiche, DX e SX, i sindacati dei lavoratori come quello degli imprenditori, quasi nessuno osa protestare. Bisogna abolire l’IRAP e lasciare PER SEMPRE la tassa immobiliare su TUTTI gli immobili, indistintamente. Perché regalare tasse a uno (come me) che ha una grande bella prima casa e che guadagna bene (come io uno volta) invece di alleggerire la tassazione delle imprese, del lavoro e delle famiglie: per esempio uno sgravio indipendente dal reddito dichiarato ma proporzionale alle persone a carico, questo sarebbe una misura condivisibile. Bisogna organizzare la resistenza alla continua degenerazione della struttura fiscale del paese per motivi squallidamente elettorali. Se va avanti così resteranno gli investimenti legati direttamente al consumo (i supermercati francesi e tedeschi) e quelli pubblici, fatti cioè al di fuori della logica del (destestatissimo) mercato, per logica clientelare, di ritorno politico. Il resto sarà deserto ….

    • marcello

      Gli investimenti pubblici non ci sono più da anni. In compenso il gettito in % sul PIL dell’insieme delle tasse sulla casa è circa la metà di quello USA, dove i possessori di case sono attorno al 50% e non all’80% come in Italia. Sulle altre tasse stendiamo un velo pietoso: l’87% del gettito IRPEF viene da lavoro dipendente e pensioni, in compenso però il 10% delle famiglie ha la metà della ricchezza, oltre 4.500 mld. Sulle imprese forse qualcuno dovrebbe cominciare a interrogarsi sulla loro qualità: sostenere l’economia intervenendo continuamente sull’offerta di lavoro è semplicemente inutile. Pensare di recuperare 25 punti di differenziale di costo del lavoro per unità di prodotto tagliando tasse e contributi è impensabile, visto le condizioni del welfare. Infine vorrei ricordare che in Francia da diversi lustri si lavora 35 ore a settimana, a proposito di civiltà e che i servizi sociali sono di una diversa qualità. Non sarebbe il caso che gli imprenditori investissero e assumessero manager degni di questo nome? Il profitto non dovrebbe essere il premio per il rischio d’impresa? Vorrei ricordare che solo il 25% dei manager italiani ha una laurea, mentre in Europa la media è del 54%, forse il problema è anche qui. .

  9. Marco

    Il guaio è che tutti vogliono “offrire” e nessuno vuole “domandare” ed alla fine ci si prende solo a gomitate e ci si taglia gli attributi da soli; la Cina sta svalutando per potenziare le esportazioni; si sta aprendo una vera guerra valutaria ed alla fine si rivelerà tutta la castroneria del quantitative easing e tutta la panna superflua che ha montato; la crisi sarà terrificante però consoliamoci perchè questo assetto economico-finanziario globale è semplicemente demenziale e prima finisce meglio è.

  10. bob

    ..la domanda e l’offerta è lo stesso cane che si morde la coda. La domanda non c’è e quindi diminuisce l’offerta e viceversa. Nessuno degli interventi compreso il prof sottolinea che in questo Paese mancano da 40 anni progetti da sistema – Paese lungimiranti e costruttivi. Esempi: oggi si fa un piano aereoporti, per rattoppare la follia regionalistica, e si seguita a soddisfare le “voglie del politico locale” mantenendo in piedi strutture assurde che non potranno mai “decollare” per evidenti mancanza di mercato potenziale. I signori che scrivono parlano solo di dove spostare le tasse, senza minimamete sottolineare che la tassazione è qualcosa che nell’ ordine economico viene dopo avere creato ricchezza con iniziative, progetti, innovazione altrimenti diventa un balzello un atto di brigantaggio. Si può concepire che un Comune all’inizio dell’anno metta in bilancio le multe che riscuoterà? Viene da pensare che l’operatore, il vigile addetto non compie un atto di repressione di un reato ma multi con lo scopo di fare incasso, cosa eticamente gravissima. Interi settori industriali scomparsi vogliamo andare a vederne le cause? Nel 1979 la Germania con l’aiuto di un nostro connazionale creò la Golf rivoluzionando il mercato dell’auto e impostando un progetto che ancora dura. Nello stesso hanno alcuni “signori” politici, sindacalisti si inventarono l’ Arna e l’ Alfa Sud una vergogna nazionale soddisfando soltanto il pacchetto di voti per rimanere a galla …e creare lo sfacello attuale

  11. Partire dalle tasse sul lavoro per rilanciare l’offerta è facile a dirsi ma difficile a farsi. Chi è a favore di una riduzione dei contributi sociali (cioè delle tasse sul lavoro) se – come dovrebbe essere in un sistema contributivo di previdenza – finanziata con una riduzione delle prestazioni future alzi la mano. Sul fronte fiscale, l’importante è tagliare le tasse TUTTE le tasse, l’ordine non conta (e quindi per me va bene anche la Tasi), purché lo si faccia in modo permanente. E poi si vada avanti con le altre riforme che fanno crescere la competitività e attraggono gli investimenti: pubblica amministrazione e scuola più disegnate sulle esigenze degli utenti invece che su quelle dei fornitori dei servizi

    • henri schmit

      Si, ma. Abolire la Tasi sulla prima casa, ridurre la Tasi su tutti gli immobili di un importo equivalente, abolire le tasse sulle transazioni immobiliari per un importo stimato equivalente o ancora ridurre per lo stesso importo l’Irap sono quattro cose (politiche) completamente diverse.

  12. Rainbow

    Io vado controcorrente,non sono d’accordo con la retorica del taglio delle tasse a qualsiasi costo,specie quelle sulla casa! Le tasse sono alte perché abbiamo 140 miliardi di evasione l’anno,e 2.200 miliardi di debito! Finora ho appoggiato, nel mio piccolo, Renzi,ma se taglia le tasse sulla casa “per tutti”, ossia anche sulle seconde case e sulle prime case di lusso (neanche Berlusconi aveva osato tanto!) perderà il mio voto alle prossime elezioni Comunali e Nazionali quando ci saranno! Le tasse sulla casa esistono persino negli U.S.A,ed in Uk, paesi liberisti a bassa tassazione! Le tasse in Italia vanno abbassate sul lavoro perché sono alte, non sul patrimonio che sono basse! Inoltre non è vero che l’edilizia e’ferma per via delle tasse sulla casa. I valori delle case, dal 2000 al 2010 sono più che raddoppiati, sono cresciuti anche quando c’era l’Ici; il calo attuale, in linea con quanto è avvenuto negli altri paesi, è dovuto ad una fisiologica correzione dopo il boom ed alla crisi economica generale. Inoltre le tasse sulla casa finanziano i Comuni i quali taglieranno i servizi o aumenteranno le altre tasse se si riduce il loro gettito. In Italia vige una strana ipocrisia di cui nessuno si accorge: tutti chiedono (Salvini docet!) meno tasse, e contemporaneamente, si chiedono più stanziamenti per favorire l’accoglienza e la gestione dei profughi; oppure più investimenti pubblici, più pensioni, più risorse per la scuola, più tutto,insomma! Se si tagliano le tasse,lo Stato deve ridurre anche il suo ruolo in tutto quindi tante cose non potrà più farle!

  13. bob

    Rainbow e Daveri ma perchè invece di tagli, statistiche e altro non proviamo a fare esempi concreti: da domani bisogna fare? Il prof dice ” …poi si vada avanti con le altre riforme che fanno crescere la competitività “. Ci può dire quali sono e come dovrebbero essere attuate? Vogliamo far credere alla gente che 30 anni di follia gestionale si ripara con la bacchetta magica? O appostandosi con un velox dietro ad una siepe? Per essere competitivi bisogna che prima ci siano progetti? Mi dite dove sono?

    • marcello

      consiglio la lettura dello Staff Paper del FMI preparato per il G-20 di Ankara. Tra l’altro si legge: “The risk of secular stagnation for advanced economies and geopolitical risks for emerging markets from ongoing events in Ukraine, the Middle East, and parts of Africa still remain relevant”. Quindi un’istituzione certo non progressista pone questo problemino a cui il nostro paese pensa di rispondere con la riforma del mercato del lavoro, che in un articolo in lettura qui si dice che produce solo un effetto luna di miele, il taglio dell’IMU e un po’ di spending review. Bene!

      • E contro una stagnazione secolare mondiale (se davvero c’è) cosa potrebbe fare da sola l’Italia se non cercare di aumentare la sua fetta nella torta del pil mondiale migliorando l’efficienza della sua economia?

        • marcello

          Per esempio cercare di uscire da una crisi che dura da 8 anni e che ha avuto conseguenze devastanti sulla struttura economico-sociale del paese. Quando gli imprenditori non investono o invetsono poco e male, deve farlo lo stato, il nostro ha completamente abdicato a questo ruolo. Abbiamo è vero vincoli, ma esistono spazi politici (invito del candidato del PSE a un asse Madrid-Parigi-Roma per una revisione delle regole sul fiscal compact) ed economici per cercare di riposizionare il paese sui mercati internazionali. Nel concreto qual è la visione strategica del ns paese? Dove vuole andare Green economy, nuove tecnologie, aerospaziale, solare di 4 generazione, telecomunicazioni, chimica, acciao, mi dica lei perchè non mi è chiaro. Noi mandiamo a Bruxelles per il piano Junker progetti arruffati e talvolta già bocciati. In compenso spendiamo 800mln per i premi di risultato a dirigenti pubblici e degli enti locali. Questa è una crisi epocale e quindi ci vogliono azioni epocali, ci sono nel Keynes delle conseguenze economiche della pace pagine di una chiarezza illuminante su ciò che potrebbe essere fatto. Lo stato deve tornare a investire e la sfida è dove trovare i soldi: perchè non una patrimoniale famigliare sopra gli 800 mila euro, perchè non un fondo di Cdp garantito dallo stato come KWF, potrei continuare ma il punto è cosa vogliamo essere. Pensare che lo deciderà il mercato è un suicidio.

      • bob

        …..con un Paese pervaso da un localismo famelico diviso per bande ci possiamo aspettare di essere protagonisti della politica estera? Non vedo figure politiche europee imponenti per affrontare temi geo-politici ormai internazionali. Ci rendiamo conto che un Sarkozy per 4 barili di petrolio (con la stessa lungimiranza di un benzinaio) ha scombinato un putiferio che qualsiasi accorto leader politico avrebbe previsto? Ecco perché nel mio intervento chiedo di partire da esempi concreti in economia e non pensare solo di spostare un tassa da una parte all’altra. Auto:faremo un progetto di auto elettriche? Chimica? Elettronica?

  14. Savino

    Il motivo per cui bisogna fare le riforme è anche dimostrare la bassezza della nostra classe imprenditoriale, fatta di scaltri prenditori di agevolazioni pubbliche, cui non bisogna dare altri alibi.

  15. Mario Rossi

    Cari signori, dopo il rientro dalle ferie estive di cui hanno usufruito alla faccia della crisi quasi tutti i poveri italiani, si fa un così gran parlare di numeri che resto esterrefatto. Ma di cosa stiamo discutendo se i numeri portano qualche cifra dopo la virgola? Non torneremo mai più al 2007 per il semplice fatto che ci hanno chiuso i rubinetti dei soldi e tutti gli italiani della grande abbuffata ora devono ricacciarsi fuori tutti i loro bei risparmi. Non dovrebbe essere un grande problema perché tanto per la maggior parte non li hanno sudati!

  16. Michele

    Quando si parla di perdita di competitività dell’Italia, subito viene citato – come nell’articolo – l’andamento dei salari, come se la competitività dipendesse solo dal costo del lavoro. Non credo che la Germania produca 5,5 milioni di auto all’anno (con export netto di 2,5) e l’Italia solo 0,5 milioni (con import netto di 1 milione) perché il costo del lavoro in Italia è più alto. Chi determina principalmente la produttività? L’impresa o il lavoratore dipendente?

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