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Non per cassa, ma per equità: primo passo contro la povertà

La proposta Inps per pensioni universali di vecchiaia ha il pregio di superare una serie di problemi di attuazione storicamente molto difficili da risolvere in Italia. Resta una soluzione parziale, ma è il primo passo per la riforma delle politiche di contrasto alla povertà nel nostro paese.
Ipotesi di reddito minimo dal 1997 a oggi
Con “Non per cassa, ma per equità” il presidente dell’Inps, Tito Boeri, propone una serie di misure, tra le quali l’introduzione di un reddito minimo garantito per gli over cinquantacinquenni, misura finanziata con il ricalcolo dei trattamenti in essere per 230mila famiglie ad alto reddito.
La proposta ha dei limiti: è destinata a una sola fascia della popolazione povera e considera solo l’erogazione economica a prescindere dai servizi di sostegno. Ha però il pregio di superare alcuni dei problemi delle misure di sostegno al reddito finora sperimentate nel nostro paese e, proprio per questo, è il primo passo ideale in un percorso di riforma delle politiche di contrasto alla povertà.
A partire dal 1997 si sono susseguiti una serie di tentativi di avviare un reddito minimo di inserimento nel nostro paese: con pochissime eccezioni, non sono sopravvissuti oltre il tempo di una legislatura. I problemi che hanno impedito che queste politiche si affermassero riguardano principalmente tre aspetti: 1) la scarsa capacità di accertare la reale situazione reddituale delle famiglie, 2) l’inadeguatezza delle risorse a disposizione, 3) l’inefficacia delle politiche di inserimento che avrebbero dovuto accompagnare l’erogazione dei sussidi.
Quando nel 2004 la Regione Campania introdusse il suo reddito di cittadinanza gli amministratori si trovarono davanti a uno scenario inatteso: nella sola città di Napoli, per la quale era stato previsto un finanziamento per poco meno di 3.500 assegni, si dovettero valutare 34.766 domande, il 99 per cento delle quali erano presentate da famiglie che risultavano avere un indicatore reddituale pari a zero. La gestione delle domande risultò estremamente complessa, creando ritardi, e il trasferimento venne assegnato sulla base di un indicatore di reddito presunto che si rivelò poco attendibile.
L’esperienza campana è paradigmatica e chiarisce uno, forse il principale, tra i motivi per cui l’Italia nel 2015 può permettersi di non avere ancora un trasferimento di ultima istanza contro il rischio di povertà estrema. Le proposte di reddito minimo non hanno mai scaldato il cuore dell’elettorato italiano proprio per la diffusa sfiducia nella loro capacità di trasferire risorse alle famiglie che veramente sono in condizioni di bisogno. Quello che gli economisti chiamano un problema di targeting del trasferimento.
L’incapacità di individuare le famiglie realmente bisognose ha esacerbato la seconda criticità: l’inadeguatezza delle risorse a disposizione.
Il divario fra domande ammissibili e finanziabili si è dimostrato molto elevato in ogni sperimentazione: dalla Campania al Friuli Venezia Giulia, dalla Basilicata al Lazio. Il numero dei potenziali beneficiari viene spesso sottostimato per una serie di motivi. Da una parte, le previsioni di spesa si basano su un’osservazione della situazione reddituale presente, mentre una volta introdotto, qualsiasi trasferimento innesca reazioni: qualche figlio deciderà di lasciare casa dei genitori prima, qualcuno potrebbe persino scegliere di non lavorare, o di farlo a nero, per ottenere il trasferimento. Dall’altra, il finanziamento di queste politiche ha spesso sottovalutato il peso della copertura di spese complementari all’erogazione degli assegni, per le politiche che dovrebbero provvedere al reinserimento lavorativo dei beneficiari. Purtroppo, l’esperienza accumulata nell’ultimo ventennio ci ha insegnato che è molto più costoso il raggiungimento di un reale reinserimento lavorativo dei percettori che non l’erogazione del reddito minimo. Emancipare una famiglia dalla sua dipendenza dai servizi assistenziali è molto complesso e i comuni, a cui generalmente è stato affidato il compito, non hanno le risorse economiche e amministrative necessarie per svolgerlo adeguatamente.
Problemi superati
La buona notizia è che la proposta Boeri, che ha il difetto di non essere universalistica, ha però il merito di mitigare tutte e tre le criticità.
Il problema del targeting è ridimensionato dal requisito d’età. Infatti, come riportato dalla Banca mondiale, anche nel nostro paese il fenomeno del lavoro nero è più marcato fra la popolazione giovane che non fra gli over 55. Tanto maggiore è l’età del beneficiario, tanto minore è la probabilità che si tratti di un soggetto che gode di un reddito che sfugge al controllo amministrativo.
Anche la quantificazione dei costi diviene più certa. È possibile che qualche percettore decida di abbandonare il lavoro o non cercane uno potendo godere del reddito minimo, ma il disincentivo è minore in età avanzata. Inoltre, rimanere inattivi ha un impatto sulle prospettive economiche di vita che diminuisce all’avanzare dell’età.
Infine il problema del reinserimento lavorativo è – purtroppo – estremamente ridimensionato per soggetti over 55. Le politiche di reinserimento risulterebbero meno costose sia in termini di risorse che di capacità amministrativa perché potrebbero essere mirate ai pochi beneficiari considerati recuperabili all’attività lavorativa.
È istruttivo notare che una politica come quella proposta da Boeri sia stata adottata negli ultimi anni da paesi meno sviluppati, nei quali le capacità di gestione e le risorse a disposizione sono molto più scarse che in Italia, come embrione dei loro sistemi di protezione sociale. L’esperienza di questi paesi ci insegna che si tratta di uno strumento di protezione sociale efficace e sostenibile.
 

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  1. Andy Mc TREDO

    Grande commento. Da sottolineare il fatto che una ipotesi di soluzione così semplice non sarà mai adottata in quanto troppo semplice !!!

    • alberto ferrari

      A mio parere l’errore del Presidente dell’INPS è di voler farne ricadere i costi sul sistema pensionistico e non sulla fiscalità generale (IRPEF con nuovi scaglioni per i redditi più alti) come sarebbe più giusto trattandosi di costo assistenziale e non pensionistico.

      • Pier Doloni Franzusi

        Il punto e’ proprio questo, intaccare il principio dei “privilegi acquisiti” di un sistema ingiusto e iniquo che protegge chi e’ dentro ai danni delle nuove generazioni.
        Per prenderli dalla fiscalita’ generale o alzi ulteriormente la pressione fiscale o mi devi dire dove tagli.

        • alberto ferrari

          Non si vede perché sopra i 76.000€/anno l’aliquota Irpef marginale deve essere uguale per tutti. Sia che tu abbia un reddito di 90mila sia che tu abbia un reddito di 100milioni. Nell’America di Eisenhower l’aliquota marginale massima era dell’87%. E Eisenhower non era un bolscevico.

      • Federico

        E invece potrebbe proprio essere quella la strategia vincente: sono capaci tutti a fare proposte coi soldi degli altri, oggi invece l’INPS si offre di fare meglio il proprio lavoro a costi invariati per la collettività.
        Inoltre, supera la banalità dello scontro generazionale (sia i beneficiari sia i colpiti sono sopra i 55 anni), è populista quanto basta (“politici e sindacalisti si oppongono per salvare i propri vitalizi”) e pone correttamente l’accento sulla regressività di fatto del sistema pensionistico, che (proporzionalmente) trasferisce denaro dai poveri ai ricchi invece del contrario. Una legge che risolva questo problema, una volta portata di fronte alla corte costituzionale (come inesorabilmente avviene sempre), avrà dalla propria parte l’articolo 53.

  2. Savino

    Sono i giovani ad avere più bisogno di un reddito minimo garantito, perchè devono rendersi indipendenti. Dobbiamo partire dal presupposto che la pensione serve solo a rendere meno pesante e più agevole la vecchiaia. 1200-1500 Euro universalmente per tutti di pensione sono sufficienti per vivere. Non è tollerabile 400 euro di pensione, ma neanche più di 2.000-2.500 Euro. Poi, dove sono stati versati i contributi per pagare queste agiate pensioni? Se uno ha versato 100 non può pretendere di percepire 5 o 10 volte tanto. Bisogna fare piazza pulita dei privilegi acquisti e non fare i Ponzio Pilato come la Corte Costituzionale che ha dato ragione agli ex manager sull’indicizzazione, perchè i Padri Costituenti non hanno scritto una Costituzione a favore degli ex manager e a discapito delle future generazioni. Il presidente della Corte Costituzionale si sarebbe dovuto dimettere per quella vergognosa sentenza, che non tiene conto dell’obbligo del pareggio di bilancio inserito in Costituzione nel 2012.

    • alessandro bortolini

      Di grazia, chi dice che € 2000/2500 al mese sono più che sufficienti? E che ne è dei contributi effettivi e non figurativi versati da tanti dirigenti nell’arco di un’intera vita lavorativa? Tagliamo le loro pensioni sull’altare della stupida demagogia? E delle riforme che si sono succedute nel tempo (Dini prima, Maroni con il sistema delle quote poi, fino alla Fornero) cosa diciamo? Che abbiamo scherzato?

    • Aldo

      Dovrebbero essere restituiti i soldi che lo Stato non ha pagato dei contributi Inpdap all’Inps.
      Questo è un espropio illegale di chi ha versato
      l’associazione consumatori dovrebbe denunciare è possibile farlo da cittadino privato e direttamente in Europa?
      Poi voglio precisare cosa significa per me diritto acquisito
      Quando si toglie a tanti per dare o continuare a dare a pochi è un privilegio
      Quando si toglie semplicemente ai tanti od una maggioranza rilevante è un diritto acquisito
      Quindi ci potrebbe essere una revisione dei privilegi(quello che pochi chiamano diritto acquisitio) in quanto tali sono e purtroppo rimangono…….dovrebbe intervenire anche qui Corte internazionale di giustizia visto che tanto anche nella Cassazione abbiamo un conflitto di interessi.

  3. marisa p.

    Mio figlio lavora in Francia per una multinazionale. per alcuni anni, 4 o 5 ha lavorato in Italia con lavori temporanei. E’ prevista dalla legge comunitaria un meccanismo per il ricongiungimento dei periodi lavorativi ai fini della pensione? E a quali disposizioni si dovrebbe fare riferimento?

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