Rivedere il meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie appena introdotto richiederà tempo. Intanto, però, si può agire su quattro elementi per minimizzarne le conseguenze negative. Dalla gestione della transizione all’occasione per trovare il coraggio di rivedere una governance inadeguata.
Che cosa fare
Il nuovo meccanismo di risoluzione delle crisi bancarie si basa su un presupposto errato e andrà perciò rivisto. Nel frattempo, però, con il meccanismo bisognerà convivere perché non si cambia una legge come quella il giorno dopo la sua approvazione. E non possiamo cambiarla unilateralmente in Italia perché si tratta di norma comunitaria. Tuttavia, vi sono quattro cose che come paese possiamo – e dovremmo – fare per minimizzare le conseguenze negative del nuovo sistema.
Gestire la transizione
Il nuovo sistema di risoluzione delle crisi è a tutti gli effetti un cambio di regime. I cambi di regime presuppongono una fase di transizione, per dare tempo alle persone di adattarsi. In questo caso, la transizione significa informare i risparmiatori delle loro nuove responsabilità. Questa informazione non c’è stata, né in Italia né in Europa. L’adozione del nuovo modello di risoluzione è stata eccessivamente rapida: approvato a gennaio del 2015, entra in vigore a gennaio del 2016. Occorre predisporre un piano da adottare rapidamente per informare i risparmiatori delle implicazioni delle nuove regole, come su lavoce.info ha già suggerito Angelo Baglioni.
Agire sui comportamenti delle banche
La nuova normativa sulla risoluzione delle crisi deve essere l’occasione per porre fine al collocamento di obbligazioni bancarie come lo abbiamo conosciuto finora: ovvero direttamente presso la clientela, con il cliente spesso spinto verso l’acquisto che massimizza le commissioni dell’intermediario e non verso quello che è il miglior investimento per lui.
È un fatto noto e documentato dalla Consob che un’obbligazione emessa da una banca e collocata direttamente presso la propria clientela tende a rendere (molto) meno della stessa obbligazione collocata presso investitori sofisticati. E spesso rende meno di un titolo del debito pubblico, che non ha rischio di fallimento comparabile ed è facilmente liquidabile. Questa è evidenza chiara e non equivoca che i risparmiatori al dettaglio non sanno riconoscere e prezzare il rischio della banca, contrariamente a quanto implicitamente assunto nel nuovo meccanismo di risoluzione. Ma allora bisogna prevedere che le obbligazioni bancarie siano inizialmente collocate esclusivamente presso gli investitori istituzionali, e entrino nei portafogli degli investitori al dettaglio solo attraverso il mercato secondario o indirettamente, via l’acquisto di quote di fondi.
Pensare a una authority dedicata
Il problema della “responsabilizzazione” delle banche è ovviamente più vasto del caso obbligazioni. Non è peraltro specifico all’Italia, ma riguarda tutti i paesi sviluppati che hanno conosciuto un forte sviluppo nell’uso dei servizi finanziari da parte dalle famiglie. Regolarne l’uso richiede un mix intelligente di paternalismo e di libera scelta, di regole e di discrezionalità. Ciò è più facile da raggiungere con un’autority specifica dedicata alla protezione del risparmiatore. Gli Stati Uniti hanno lanciato il modello, con il Consumer Financial Protection Bureau. Dovremmo imitarlo.
Rivedere ancor di più la governance delle banche
Le recenti crisi delle banche italiane sono il riflesso di gravi carenze gestionali, a loro volta causate da una cattiva struttura proprietaria e spesso da interferenze politiche. Così è stato con il Monte Paschi e con Carige, entrambe controllate da fondazioni bancarie. Due delle quattro banche fallite avevano alle loro spalle una fondazione, le altre due sono popolari. La riforma delle banche popolari è un passo utile per promuovere una migliore struttura proprietaria. L’alleggerimento della presenza delle fondazioni è un altro passo nella giusta direzione. Ma è troppo timido. Occorre un programma per separare definitivamente banche e fondazioni.
Le crisi sono eventi dolorosi per quelli che ne vengono travolti. Ma spesso offrono l’occasione per trovare il coraggio di superare convenienti resistenze. Chissà che questa non sia la volta buona.
Una versione di questo articolo è disponibile anche su www.risparmiamocelo.it
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Marco Trombetta
Sono daccordo su tutto. In particolare sulla incapacitá del cittadino medio di valuatre correttamente i rischi dei prodotti finanziari. Esiste, in Italia en el Mondo, un problema gravissimo di mancanza di educazione finanziaria. Secondo la recente survey mondiale condotta da S&P in collaborazione con il Global Financial Literacy Excellence Center (University of Washington) in Italia solo il 39% della popolazione ha un livello di consocenze finanziarie basiche sufficente. Questo dato é di poco al di sopra della media mondiale (33%), che include paesi invia di sviluppo con medie molto base, e al di sotto della media Europea (52%). Per poter veramente fare passi avanti nella prevenzione di “crisi” dolorosissime per i risparmiatori diventa quindi fondamentale disegnare e implementare politiche di educazione finanziaria che elevino il livello di educazione finanziaria della popolazione. Dare un auto a un guidatore senza patente é un problema. Possiamo agire in due modi: si puó certamente impediré che si vendano auto a guidatori senza patente, ma si puó anche cercare di assicurarsi che il maggior numero possibile di individui sappia guidare.
EzioP1
Pensando che la banca ha esperienza in campo finanziario ho dato, anni fa, parte della mia liquidazione in gestione patrimoniale amministrata, dopo pochi mesi avevo perso il 20%. Analizzando il dettaglio dei movimenti risultava che erano state fatte operazioni di acquisto e vendita assurde per quantità, valore unitario e totale e tempo. Mi è parso che la banca operasse come fa il mercato per i titoli di stato, ovvero l’utente li compra a 100 e subito dopo questi scendono di valore, ma gli interessi e la riscossione del 100% del capitale al termine della vita del titolo in genere mantengono il cliente legato; l’uscire dopo la riduzione significa realizzare la perdita. La banca applica lo stesso modello, fa perdere un po’ all’inizio ma con la prospettiva degli interessi e della perdita non realizzata “fidelizza” il cliente.
Un’altra operazione non trasparente riguarda le gestioni patrimoniali affidate alla banca che opera con il capitale ricevuto con acquisti e vendita di titoli. L’ipotesi è che la banca opera non con il portafoglio del singolo cliente ma con il totale portafoglio titoli che detiene, e solo ad operazioni fatte provvede alla “ripartizione” degli utili e delle perdite sui vari clienti. Proprio qui si verifica la “magia” della ripartizione, nel senso che si può dare più vantaggio a qualche cliente a scapito di altri ma questo non è né trasparente né verificabile.
Michele
Un’altra authority? Con l’evidente “regulatory capture” che abbiamo in italia, sarebbe solo la copertura legale e formale ai peggiori comportamenti
Savino
etica, trasparenza, informazioni.
l’etica deve far parte delle regole rigide del gioco economico.