Lavoce.info

Inquinamento: qualcosa di più della danza della pioggia

Un inizio d’inverno senza piogge e gli inquinanti sono saliti alle stelle in tutte le grandi città. Non bastano i blocchi del traffico. Servirebbe un approccio sistemico, che distingua i vari tipi di inquinanti, le fonti che li generano, la collocazione geografica dove si producono gli effetti.

Mai dimenticare gli inquinanti locali

Nel mese di dicembre 2015 abbiamo vissuto un paradosso significativo: nelle ore in cui comunità scientifica e politica si compiacevano per i risultati della Cop21 di Parigi, abbiamo scoperto che l’attenzione e gli sforzi dedicati agli inquinanti globali ci hanno distratto da quelli locali, i quali hanno voluto far sentire la propria voce, in particolare nei centri urbani.
Ci siamo trovati a invocare la pioggia come soluzione assai temporanea al problema, nemmeno fossimo una popolazione primitiva che dipende da uno sciamano che danza per noi. L’insistenza dell’alta pressione sul bacino del Mediterraneo ha infatti determinato un lungo periodo senza pioggia, provocando una persistente cappa di smog che ha oppresso le regioni del Nord Italia, senza però escludere città come Roma o Napoli.
Le mappe pubblicate sui giornali hanno mostrato che la Pianura padana è un vero bacino che raccoglie diversi tipi di inquinanti, dall’ossido di azoto all’ozono, dai composti organici volatili fino al famigerato particolato, in versione Pm10 o Pm2,5. Quest’ultimi sono inquinanti molto pericolosi per la salute anche se non sono pubblicate cifre ufficiali sulla mortalità specifica da essi causata. Esistono molte ricerche condotte negli ultimi anni con varie metodologie che ci portano a concludere che, limitatamente al Pm10, la mortalità nel nostro paese potrebbe essere di 7-8mila persone all’anno (circa il doppio dei morti per incidenti stradali). La situazione è indubbiamente molto complessa. Cosa si può fare?

Pm10 e traffico urbano

Un naturale punto di partenza è chiedersi da dove arrivano gli inquinanti e cosa è stato fatto nel passato. La figura 1 mostra i dati relativi all’origine del Pm10 in Italia (quelli relativi al Pm2,5 non sono significativamente diversi): il riscaldamento urbano ne è il primo responsabile, mentre i trasporti su strada valgono circa il 17 per cento.
Quasi sempre, tuttavia, gli interventi – e le polemiche – si sono concentrati sul traffico urbano. Anche perché l’inquinamento urbano non è solo Pm10 o Pm2,5: ridurre i flussi di traffico fa diminuire drasticamente il cosiddetto black carbon, una forma di inquinamento diversa dai Pm, ma non per questo meno pericolosa. Il traffico resta dunque un grande nemico dell’aria nei centri urbani, se è vero che contribuisce anche al 40 per cento circa degli NOx, a due terzi del benzene e della CO2.
È necessario dunque ragionare sulla riduzione della circolazione di auto e altri mezzi nelle nostre città prevedendo sistemi alternativi di trasporto per i cittadini senza che ciò sia strettamente legato all’andamento dei Pm. Tuttavia, oltre a imporre divieti e restrizioni al traffico automobilistico, che per la loro natura temporanea non risolvono il problema, vanno forniti incentivi al cambiamento. Una strada percorribile potrebbero essere gli strumenti economici come la detassazione del bollo per i primi tre anni per le auto ibride elettriche o con i più elevati standard (Euro 6).
In realtà, a fianco di interventi, tutti sensati, per l’incremento e la maggiore efficienza del servizio pubblico locale (come più metropolitane e autobus più moderni), il tema dell’età media del parco auto circolante può essere affrontato rapidamente con costi probabilmente non proibitivi. Su 36 milioni di vetture circolanti, 11 milioni sono Euro 0, 1 o 2, oltre il 30 per cento, con punte che superano il 40 per cento nel Mezzogiorno (tabella 1). Senza uno svecchiamento radicale, le probabilità di riuscire a incidere realmente sui livelli di inquinamento delle nostre città sono pari a zero. Si potrebbe ad esempio riflettere su un bollo di circolazione il cui importo, a parità di cilindrata, aumentasse con la vetustà dell’auto: più la macchina è vecchia, più si paga.

Leggi anche:  Perché non si può rinunciare all'auto elettrica

Traffico urbano unico colpevole?

Naturalmente, queste modeste proposte andrebbero viste in un contesto più ampio. Dal 1990 i progressi sono stati estremamente significativi (figura 2): un’auto diesel Euro5 emette oggi 28 volte meno di una Euro 1 nel 1992.
Ma accanto al traffico urbano, il riscaldamento è un altro potente fattore di inquinamento. Negli ultimi anni il trend è stato crescente e ne sono responsabili le biomasse: la legna e più di recente i pellet (figura 3). Poiché sono fonti a emissioni di CO2 nulle – e come tali considerate fonti rinnovabili –sono state addirittura incentivate, determinando una progressiva sostituzione di combustibili liquidi con legna e pellet, a scapito del metano.
Se poi si considera che l’industria conta quanto il traffico nella produzione di Pm10, si può concludere che è assolutamente necessario un approccio sistemico al problema, che comprenda almeno tre riferimenti: i vari tipi di inquinanti, le fonti che li generano, la collocazione geografica dove si producono gli effetti. Finora, in questa azione, governo centrale e amministrazioni locali non hanno dato una decorosa né tantomeno efficace prova di sé.

Figura 1

inquinamento 1

fonte: Legambiente su dati Ispra

Figura 2

inquinamento2

Fonte: European Environment Agency

Figura 3

inquinamento3

Fonte: European Environment Agency

Tabella 1

inquinamento4

Lavoce è di tutti: sostienila!

Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!

Leggi anche:  Tra comunità energetiche e fisco una relazione in divenire

Precedente

Il primo morso alla mela

Successivo

Il Punto

14 commenti

  1. Marco Tabarelli

    Un articolo che evidenzia chiaramente la necessità di un approccio di lungo termine e che vorrei solo completare, per l’esperienza che ho dal 2007 ad oggi. Le biomasse sono state incentivate non solo perché CO2 neutre ma anche perché si andavano a sostituire impianti dove l’utilizzo della biomassa era poco efficiente es. caminetti aperti. Questi si generatori di inquinanti. I nuovi impianti abbattono notevolmente queste componenti contribuendo alla riduzione degli inquinanti. Nessuno si sogna di dire alla gente che deve dimenticare l’automobile ma che dalla sua Euro 0 deve passare ad una Euro 6. Leggi che invece parlano di limitare a priori l’utilizzo di un combustibile non fanno altro che creare confusione. Quindi è auspicabile che vengano, anche per le biomasse, fatte delle differenze: SI vietare l’utilizzo, in particolari momenti dell’anno dei caminetti aperti (pizzerie?) ma non a priori gli apparecchi a biomassa. Se io doto il mio caminetto aperto di un moderno inserto abbatto notevolmente gli inquinanti e sarei un ipocrita a pensare che chi ha in casa un caminetto aperto non lo utilizzerà se il comune dice che è vietato. Non è meglio incentivarlo a renderlo efficiente? Secondo me si.

  2. Massimo C

    Tutto giusto e altamente condivisibile. Ma il “contributo” del traffico automobilistico al Pm10, nelle grandi città, è molto più elevato del 17% della media italiana. Dai dati Arpa, ad esempio, si evince che in Lombardia le auto “pesano” per il 25%, mentre nella più ristretta (e congestionata) provincia di Milano arrivano al 45%. Questo concetto è passato molto poco, purtroppo, nel dibattito sulle reali fonti dello smog nelle città. http://www.lettera43.it/blog/papa-24-7/malattie/cinque-verita-su-smog-e-bambini_43675228933.htm

  3. marcello

    Prendiamo il caso di Roma, città dove la responsabilità dell’esplosione del particolato fine è difficilmente attribuibile all’industria. Gli imputati sono riscaldamento e traffico, su enrtrambi è possibile intervenire in modo risolutivo. Mi concentro sul traffico. A Roma ogni giorno entrano circa 2000 bus turistici, anche euro 3. In Italia i diesel sono il 55% delle autovetture circolanti. I diesel emettono particolato, le auto alimentate a benzina praticamente no, da euro1. La soluzione mi sembra immediata: proibire l’uso in città di vetture diesel come potrebbe accadere a Parigi nel 2016.

  4. Stefano

    Il problema inquinamento (e traffico) è ovviamente concentrato nelle città. In quelle molto grandi. Non vedo la ragione di far pagare a tutti, anche a chi vive in piccole città o in zone rurali, uno sviluppo dissennato delle città. In città nord-europee, più grandi di quelle italiane, un sistema di trasporto pubblico organizzato (bus, metro e taxi) non crea gli stessi problemi. Occorre riflettere che il problema inquinamento (in tutto il mondo) è tipicamente urbano e che quindi è il sistema di come sono organizzate le città che occorre cambiare. Viviamo nel XXI secolo ma abbiamo organizzazione, pensiero ed abitudini del XIX. Come se le comunicazioni e l’informatica non esistessero. Pensare che aumentando gli euro delle auto si risolva il problema è utopico (VW insegna…). Stesso discorso vale per il riscaldamento.

  5. Francesco C.

    Se non erro, tra le soluzioni prospettate ci sarebbe quella di penalizzare economicamente coloro i quali non possono permettersi un’auto relativamente moderna. Nella fattispecie, si tratterebbe di penalizzare gli automobilisti del Mezzogiorno (le cui regioni sono in testa al ranking della tabella 1) ovvero coloro i quali, prescindendo dalle cause, scontano ritardi infrastrutturali notevoli rispetto alla restante parte del Paese e che, spesso, si trovano a non avere alternative (TPL) all’utilizzo della macchina privata. Cordialità.

  6. Federico

    l’analisi va fatta con punti di vista ancora più locali. In città dove: (1)l’industria non esiste più e (2)il riscaldamento è a metano, l’incidenza molto forte sull’inquinamento è del traffico. E se prendiamo Milano, il parco auto è credo tra i più moderni d’Italia (le statistiche ingannano: le auto che circolano tutti i giorni sono abbastanza nuove. Si consideri l’interno dell’area C dove ci sono auto nuove ma polveri comunque alte. Il problema sono i diesel, anche relativamente nuovi, ma questo è tutto un altro capitolo. E lo dico da possessore di diesel nuovo).
    In città esistono concrete alternative all’auto privata a differenza di chi abita fuori dalle città. È quindi utopico bloccare il traffico in generale, mentre è possibile in città. Chi ha necessità di usare le auto paga (tanto) oppure ne ha una che non inquina (elettrica o a metano). Anche per i veicoli commerciali si iniziano a vedere mezzi elettrici o a metano in città.
    È chiaro che è una scelta forte, se si è realisti nelle analisi. Ma essendo il costo di non agire un grave problema di salute collettiva, va compiuto.
    Perché è da criminali fare vivere una intera comunità cittadina per mesi con livelli doppi per il PM 10 e quadrupli per il PM2,5 rispetto alle soglie di allarme.
    E avere il PM10 a 45, ormai sembra una vittoria, come respirare aria di montagna…

  7. Giovanni Bonafè

    Aggiungo alcuni elementi di riflessione.

    In Pianura Padana il PM2.5 è prevalentemente secondario, cioè nasce dalla trasformazione di gas “precursori”. Perciò non basta considerare le emissioni di polveri. Un ruolo cruciale lo hanno le emissioni di ammoniaca da allevamenti e fertilizzanti. Tanto che un recente articolo su Nature (Lelieveld et al 2015) individua in questi la principale causa di morte prematura per PM2.5 in Italia. L’ammoniaca è indispensabile per la formazione del nitrato di ammonio, che delle polveri padane è una componente importante.

    Sui trasporti: la quota di emissione principale è dal trasporto merci. Il D.Lgs 43/2014 recepisce la direttiva Eurovignette, che consentirebbe di applicare un pedaggio aggiuntivo ai camion, per finanziare per esempio il trasporto su rotaia. Coerentemente con il principio “chi inquina paga” e con le recenti indicazioni del FMI, per altro. È applicato?

    Sulla mobilità urbana: nel Protocollo di Intesa tra Ministro, Anci e Regioni, ci si impegna a imporre i 30km/h (art. 1 comma 2) nei quartieri. Ciò ridurrebbe drasticamente i rischi per pedoni e ciclisti, disincentivando l’uso dell’auto privata nei percorsi brevi. Mi pare che se ne parli poco.

  8. Marco Spampinato

    Grazie della Tabella 1. Sostengo da 15 anni che le politiche di svecchiamento del parco auto sono politiche per i ricchi. Infatti la colonna 3 mostra quanto meno che le regioni con pil medio pro-capite piu’ alto hanno il parco auto piu’ nuovo. Ma dove si concentra l’inquinamento? L’approcio in Italia continua ad essere sbagliato. L’Italia e’ il paese al mondo con la piu’ alta densita’ di auto per kmq, insieme al Belgio. Una tavola composta con tutti i paesi del Nord America ed Europa mi fu censurata in passato lavorando per l’amministrazione centrale. L’indicatore e’ semplice e dice che siamo pieni di auto ovunque. A mio avviso, quindi, almeno per l’inquinante locale attribuibile al traffico veicolare, non c’e’ altra risposta che il trasporto pubblico, pedonale e ciclabile. Il resto e’ foraggio per l’industria, e nemmeno per quella nazionale, e si e’ visto quanto si possa truffare sulle stime degli inquinanti attraverso test falsificati.

    • massimo

      Sono perfettamente d’accordo con lei, finché non inventeranno un’auto che non strisci per terra e che si possa fermare con il fiato, ci sarà sempre inquinamento dato che circa il 50% del”inquinamento e’ dato dall’usura delle gomme, dall’asfalto, dai freni ecc. Poi facciamo la felicita’dei costruttori stranieri dato che il parco auto e costituito per la maggior parte da mezzi di produzione estera.

  9. bob

    Targhe alterne, focolare che inquina, giorni dispari fanno parte della politica di un Paese cialtrone. Dalla tabella delle % euro 1-2 a mio avviso si ha una chiave di lettura di questo tipo: la Lombardia inquina il doppio della Campania, ma nel Paese delle classifiche ( 4 quotidiani sportivi) la Campania è al 1° posto la Lombardia al quintultimo. Le soluzioni non si trovano con la bacchetta magica o con le classifiche ma attraverso un lungimirante politica di modifiche e aggiustamenti nel corso degli anni. Per dirla con una battuta tanti anni fa su una problematica così importante, difficoltosa e complessa come quella della produzione di energia di fece un referendum venendo a chiedere a mia zia novantene semianalfabeta il SI o il NO sulle centrali nucleari. Governo Giuda-cialtrone che se ne lava le mani

  10. Raf

    Come si spiega il dato incredibile del grafico di figura 3? Solo alla luce degli incentivi sulle rinnovabili (legna, pellet)? Mi pare di capire che dal 2012 al 2013 ci sia stato un raddoppio delle emissioni, mentre nel passato per il raddoppio ci sono voluti vent’anni. Grazie. Bell’articolo.

    • Giovanni Bonafè

      I dati dell’Agenzia Ambientale Europea raccolgono le informazioni provenienti dalle agenzie dei singoli stati membri. Per l’Italia, ISPRA ha fornito per il 2013 le emissioni di PM10 da riscaldamento domestico, avvalendosi della recente indagine ISTAT sui consumi di legna. Tale indagine rivede al rialzo le precedenti stime. Questo cambio metodologico spiega parte di quel “salto” tra 2012 e 2013. In ogni caso, il trend in aumento dal 2005 è evidente.
      Peraltro, è confermato anche dal trend di ricerca su Google del termine “pellet” in Italia:
      https://www.google.it/trends/explore#q=pellet&geo=IT&cmpt=q&tz=Etc%2FGMT-1

Lascia un commento

Non vengono pubblicati i commenti che contengono volgarità, termini offensivi, espressioni diffamatorie, espressioni razziste, sessiste, omofobiche o violente. Non vengono pubblicati gli indirizzi web inseriti a scopo promozionale. Invitiamo inoltre i lettori a firmare i propri commenti con nome e cognome.

Powered by WordPress & Theme by Anders Norén