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Gli imprevisti che certificano la fragilità economica

Il 27 per cento degli intervistati dell’indagine Isfol-Plus ha difficoltà ad affrontare una spesa improvvisa di 300 euro. Ma la fragilità non è solo economica. È accompagnata da altri elementi di disagio, come cattiva salute o servizi locali scadenti. E richiede un’azione di sostegno complessiva.

Domande su spese impreviste
Ogni giocatore ha avuto una mano sfortunata. Ma anche nella vita di tutti i giorni, qual è la probabilità di avere un imprevisto e di riuscire a farvi fronte? Per provare a rispondere, nell’indagine Isfol Plus 2014, sono stati inseriti due quesiti diretti: “la sua famiglia sarebbe in grado di far fronte a una spesa di 300 euro improvvisa con risorse proprie, senza ricorrere a prestiti o all’aiuto di qualcuno?”; “E se l’ammontare fosse di 800 euro?”. Due soglie, infatti, consentono di discriminare meglio la ‘fragilità’ economica dalla ‘debolezza’.
Il 27 per cento degli intervistati sono economicamente fragili ovvero non in grado di affrontare una spesa imprevista di 300 euro. Il 26 per cento sono economicamente deboli, ovvero sono in grado di affrontare una spesa imprevista di 300 euro, ma non di 800. In altre parole, complessivamente, in Italia 20 milioni di persone hanno difficoltà a fronteggiare spese inaspettate di modesta entità (una lavatrice rotta, una frizione bruciata).
I nostri risultati (figura 1) ˗ come quelli di Chiara Saraceno e Massimo Baldini e le stime Istat ˗ mettono in evidenza come al singolo e alle famiglie ‘il lavoro non basta’.
La fragilità è caratterizzata da livelli di istruzione bassi e abilità (skill) modeste, viene da lontano (si eredita) e se si è soli si fa più fatica. Si riscontra di più tra chi ha un lavoro mal retribuito, una modesta ricchezza familiare, vive in affitto e risiede al Sud. Il disagio economico convive con una bassa socialità e comporta scarsa cura di sé, testimoniata da obesità grave.
Figura 1 – (In)Capacità ad affrontare imprevisti di 300 e 800 euro. Incidenza risposte negative
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Nella tabella 1 riportiamo alcuni fattori di controllo per sottopopolazioni (totale, occupati e in cerca di lavoro). Al netto della eterogeneità del primo gruppo, vediamo che le differenze sono molto marcate tra individui fragili e solidi, ma meno tra condizioni lavorative, ovvero la segmentazione è maggiore intra (solidi rispetto a fragili) che infra gruppi (deboli occupati rispetto a deboli in cerca). La fragilità si accompagna a scarsa soddisfazione lavorativa, sovraffollamento abitativo, cattiva salute, impieghi precari e servizi locali scadenti.
Traspare un effetto trappola quando ci sono molteplici vincoli (materiali e non). Una lettura multidimensionale conferma come la condizione di fragilità sia alimentata da criticità di tipo non strettamente economico e consente di tener conto della controversa causalità: un reddito basso comporta cattiva salute e viceversa.
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Tante cause di fragilità
È tutto un complesso di cose che rende le persone economicamente fragili incapaci di uscire da sole dalla palude in cui sono finite. L’azione di sostegno, pertanto, dev’essere organica, complessiva, su tutti i piani che concorrono al disagio: lavoro, abitazione, rete sociale, istruzione, salute.
Elena Granaglia nota come sia tutto un fiorire di interventi in materia di contrasto alla povertà, che non ha paragoni nel recente passato: assegno di disoccupazione (Asdi), salvaguardia esodati, tutele per gli over55, carta acquisti (Sia), garanzia giovani, salario minimo e reddito sociale, anche a livello europeo. Tuttavia, nell’erogazione di questi interventi emerge il ricorso sempre maggiore a una condizionalità stringente (profiling, Isee). Infatti, date le risorse scarse, è necessario mirare gli interventi, ma così facendo si alimenta la percezione di un welfare selettivo ed episodico, non sempre efficace e non adatto a tutti i contesti. In certe situazioni, un trasferimento monetario diretto è forse ancora l’unico modo per sottrarre individui all’indigenza.
Stefano Sacchi ritiene che l’introduzione di una misura unitaria di lotta alla povertà possa realizzarsi integrando le azioni sul lavoro con quelle sociali. La legge di stabilità finanzia il Piano nazionale per la lotta alla povertà e all’esclusione sociale con 1,6 miliardi per il biennio 2016-17. Troppo poco? Al di là dei giudizi etici, è un ottimo affare per lo Stato, in quanto sostenere le spese per cura e prevenzione ˗ dalla tutela del territorio all’abbandono scolastico, dalla sanità all’integrazione ˗ conviene se rapportato ai costi del laissez-faire.
L’attuale situazione è il risultato di un lungo e surrettizio processo di ridisegno del welfare, della asfittica dinamica delle retribuzioni, dell’inefficiente sistema di tassazione, della discontinuità lavorativa. E tutto ciò è stato acuito da una congiuntura negativa. La precarietà di vita comporta scarsa accumulazione per fini precauzionali (risparmio) – tradizionalmente la prima opzione assicurativa delle famiglie italiane – e inibisce pure le opzioni di mercato (pensioni integrative, assicurazioni, risparmio gestito). Un processo contrario appare antistorico e finanziariamente insostenibile. Tuttavia, se il lavoro non è più lo strumento di emancipazione e affermazione sociale, come da dettato costituzionale, cosa può sostituirlo o affiancarlo?
Sicuramente le irrisolte disuguaglianze intergenerazionali e la ineguale distribuzione delle risorse sono il tema del futuro, perché non sono condizioni irreversibili (Joseph Stiglitz) né forze ineluttabili (Thomas Piketty).

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  1. Daniela Risi

    Sarà anche “tutto un fiorire di interventi in materia di contrasto alla povertà” ma io non ne ho vista neppure l’ombra. Ho 58 anni, disoccupata da più di quattro, sfratto esecutivo tra pochi giorni, non ho alcun reddito, sto al freddo e senza neppure acqua calda da tre anni, mi sono ammalata di fibromialgia grave (non riconosciuta dalla Regione Toscana), i servizi sociali non mi hanno dato che il servizio mensa di 5 pasti alla settimana nell’ultimo anno e solo dopo che sono intervenuti i carabinieri a seguito di un mio esposto alla procura della repubblica per totale abbandono di persona disoccupata sola e ammalata. Tra pochi giorni finirò letteralmente in strada perché per me non c’è posto da nessuna parte, o forse un posto letto in un dormitorio.
    Una via crucis costellata di umiliazioni indicibili senza alcun risultato. Non ho diritti. Sono cittadina italiana, ho fatto studi universitari, ho lavorato in vari settori per quasi trent’anni. Valgo zero e sto morendo nell’indifferenza di concittadini, istituzioni e conoscenti. Ho scritto in proposito sui social, su riviste e quotidiani. Solidarietà zero.

    • Emiliano Mandrone

      Gentile Signora Risi,
      la sua vicenda è rappresentativa ed emblematica. Purtroppo la dimensione statistica non può tener conte dell’eterogeneità individuale se non in maniera grossolana. Il nostro contributo è quello di riunire le singole istanze e tradurle in una domanda collettiva che, come la sua lettera testimonia drammaticamente, meritano una efficace risposta. Il fine è comprende i fenomeni e suggerire possibili soluzioni. In questi anni abbiamo cercato di farlo – con tutti i nostri limiti – per la precarietà giovanile, la condizione femminile, le questioni previdenziali, la ricerca di lavoro, l’istruzione e la formazione. A chi come lei sperimenta in prima persona i problemi di cui trattiamo va la nostra vicinanza. Matteo, Giovanna ed Emiliano

      • bob

        Matteo, Giovanna ed Emiliano ..nel caso specifico e dopo verifica del vergognoso problema che ci espone la sig.ra Daniela……non credete che anche attraverso questa rivista si può fare qualcosa in più?

        • Daniela Risi

          Questione di giorni e passerò da una statistica ad un altra, le assistenti sociali hanno trovato un posto letto non so dove, non sono stata ad ascoltare l’ennesima brutale intrusione di un futuro da non- persona, che già vivo da anni come anticipazione in logica e ragione di ciò che è derivato e deriverà dalla perdita di lavoro a 54 anni. Scusi la sintassi arzigogolata, non voglio neppure rileggere, sono esausta, guardo i miei due vecchi gatti casalinghi con il rimorso di chi non è riuscito a proteggerli, dovrò sopprimerli, guardo i mobili, i libri, i ricordi, le foto, il computer, tutte queste cose che finiranno al cassonetto, e mi dico che è giunto il momento in cui smettere di tentare in ogni modo di preservare la mia dignità, di smettere di continuare a tenere memoria di quella che sono stata, della brava persona, della cittadina, della donna che ha fatto le sue lotte e speso le sue forze al suo meglio, senza chiedere a nessuno, che oramai tenere memoria di me è solo un peso, mortale. Ho fatto mille tentativi, bussato a mille porte, ma non sono brava a percorrere strade che non stiano in diritto ed onestà. Ma io diritti non ne ho più, sono ridotta ad una donna morta che cammina dalle umiliazioni e dai rifiuti di questi ultimi anni. Spero che la prossima statistica di cui farò parte sia l’ultima, davvero. Scusi la retorica e grazie per le parole gentili.

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