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La povertà rimane stabile, ma è una media di Trilussa

Nel 2021, la povertà assoluta in Italia è rimasta stabile: un dato allarmante, considerando i massimi raggiunti nel 2020. Si tratta di un risultato dovuto a forti differenze territoriali, con il Nord in maggiore ripresa.

Istat ha appena pubblicato i dati definitivi sulla povertà in Italia nel 2021, che confermano in sostanza le stime preliminari di marzo, già commentate su questo sito.

Da una parte, il mancato aumento della povertà a livello nazionale potrebbe essere letto come una buona notizia, dall’altra, però, va considerato il fatto che il valore del 2020 è il più alto mai registrato da quando vengono pubblicate le serie sulla povertà da Istat. Non migliorare dopo un anno di ripresa e un Pil rimbalzato del 6,6 per cento non è certo una buona notizia: guardando ai dati, sembra infatti che la ripresa abbia investito soprattutto le fasce medie e più abbienti della popolazione, mentre i poveri, magari dopo essere scivolati sotto la soglia di povertà durante la pandemia, sono rimasti poveri.

La media di Trilussa

La stabilità della povertà, però, nasconde forti differenze dal punto di vista territoriale. Al Nord, la situazione è migliorata di molto: nel 2021, le famiglie in povertà assoluta erano il 6,7 per cento, contro il 7,6 per cento del 2020, vale a dire circa 90 mila famiglie in meno. Nel Mezzogiorno, al contrario, l’incidenza della povertà assoluta è cresciuta ulteriormente rispetto all’anno della pandemia: le famiglie in povertà assoluta sono il 10 per cento del totale, contro il 9,4 per cento del 2020 (51 mila famiglie povere in più). Queste differenze possono essere dovute al fatto che la ripresa del 2021 sia stata più forte al Nord rispetto al Sud, così come i lockdown e la pandemia nel 2020 avevano inciso maggiormente sulle regioni settentrionali.

La situazione a livello individuale non è molto diversa: al Nord il numero di persone in povertà assoluta è calato di 299 mila unità, peraltro con forti differenze tra il Nord-Ovest (-336 mila) e il Nord-Est (+37 mila), mentre nel Mezzogiorno è cresciuto di quasi 200 mila unità (196 mila). Anche al Centro la povertà è cresciuta, ma l’incidenza resta la più bassa tra le varie aree del paese.

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Anche la nazionalità dei componenti della famiglia gioca un ruolo importante: tra le famiglie di soli italiani, l’incidenza della povertà assoluta è calata dal 6 al 5,7 per cento, mentre tra le famiglie con almeno uno straniero è cresciuta dal 25,3 al 26,3.

La “buona” notizia della povertà che non cresce, dunque, nasconde in realtà una media molto eterogena, come quella raccontata dal poeta romano Trilussa nella sua poesia in cui si prende gioco delle statistiche: in media tutti possono permettersi di mangiare un pollo all’anno, ma c’è chi ne mangia due e chi ne mangia zero. A due anni dall’inizio della pandemia, la situazione  è peggiorata soprattutto per le famiglie giovani, con stranieri e con almeno un minore, molto meno per le famiglie di piccola dimensione e per i pensionati.

Perché la povertà non cala

La povertà è un fenomeno multidimensionale e non è affatto semplice rintracciarne le cause in maniera precisa, né tantomeno trovare uno strumento che possa risolvere il problema come per magia.

Per quanto riguarda il 2021, l’Istat sottolinea come l’inflazione al di sopra della norma non abbia aiutato: a causa della natura del fenomeno inflattivo dell’ultimo anno e mezzo infatti, a subire di più l’aumento dei prezzi sono state le famiglie più povere. I beni maggiormente colpiti dall’inflazione, ossia l’energia e gli alimenti, hanno infatti un peso maggiore nel paniere di consumo delle famiglie meno abbienti. Secondo il bollettino Istat sull’inflazione di dicembre 2021, i prezzi per il 20 per cento più povero delle famiglie sono cresciuti in un anno del 2,4 per cento, contro l’1,6 per cento per le famiglie più ricche.  Non a caso, nel pubblicare i dati sulla povertà, Istat ha mostrato che, con un’inflazione nella norma rispetto agli anni precedenti, nel 2021 l’incidenza della povertà tra le famiglie sarebbe stata del 7 per cento anziché del 7,5. I dati pubblicati ieri da Istat non tengono ovviamente conto del forte incremento dell’inflazione di questi ultimi mesi. E’ molto probabile che ciò stia causando un ulteriore aumento dell’incidenza della povertà assoluta.

Un’altra possibile causa del mancato calo della povertà potrebbe riguardare l’approccio della politica a tutela dei lavoratori e, più in generale, dei cittadini durante e dopo la pandemia. Come hanno mostrato Natili, Negri e Ronchi, per esempio, l’azione della politica italiana durante la crisi, in maniera simile a quella della Germania, sembra aver premiato e tutelato soprattutto gli insider del mercato del lavoro (dipendenti a tempo indeterminato), lasciando da parte gli outsider (precari e disoccupati), che sono anche coloro a maggiore rischio di povertà.

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Avere un posto di lavoro, infatti, non sempre garantisce di rimanere al di sopra della soglia di povertà: l’incidenza della povertà tra le famiglie con persona di riferimento occupata è rimasta stabile al 7 per cento, segno che a volte non basta lavorare per non essere poveri, soprattutto nelle famiglie numerose e/o monoreddito. La povertà lavorativa si può combattere anche con l’introduzione del salario minimo, ma spesso questo non basta: oltre ad una ripresa economica che coinvolga anche il Sud del paese, serve un insieme di politiche che tengano conto delle esigenze dei lavoratori poveri.

La povertà è aumentata strutturalmente dalla Grande Recessione in poi, e anche prima della pandemia non era stata trovata una ricetta per ridurla. La ripartenza successiva a una crisi epocale come quella del Covid potrebbe essere un’occasione per tornare ad avere un’incidenza della povertà tra le famiglie inferiore al 5 per cento, ma, per il momento, le politiche per il rilancio non hanno funzionato in questa direzione.

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  1. Fausto Tagliabue

    ma come è possibile che nonostante l’aumento vertiginoso negli ultimi anni delle spese e dei sussidi per assistenza i poveri continuino ad aumentare, soprattutto al sud che ha il massimo utilizzo del reddito di cittadinanza? Non è che le modalità di indagine dell’ISTAT siano sbagliate?

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