Nel settore cultura il bilancio dei due anni di governo Renzi è sostanzialmente positivo. Come minimo c’è stata un’inversione di tendenza rispetto agli anni passati. Avviato il grande progetto per Pompei e garantita l’autonomia ai più importanti musei. Il nodo del fondo unico dello spettacolo.
Da Pompei ai grandi musei
Il bilancio dell’operato del ministro Dario Franceschini (e del governo Renzi) sul comparto cultura è sostanzialmente positivo. Quanto meno, c’è un’inversione di tendenza rispetto a molteplici aree da decenni in sofferenza (musei in primis). Resta una forte discrepanza tra annunci pirotecnici e numeri reali degli investimenti, ma questo è un tema che riguarda le capacità generali del governo di liberare risorse (per esempio attraverso la spending review).
Il “Grande progetto” annunciato da Matteo Renzi per il restauro dell’area archeologica di Pompei, con data di scadenza simbolicamente fissata al 24 agosto 2017 (il 24 agosto è la data della storica eruzione), è partito. Dopo anni di scandali e dopo i crolli del 2010, il governo ha avuto il merito di ottenere una proroga di due anni per l’utilizzo dei fondi europei che altrimenti sarebbero andati persi (e si tratta di 6,5 miliardi di euro).
Sono state riaperte e restaurate sei domus a dicembre 2015 con l’annuncio del premier: “Facevamo notizie per i crolli, adesso facciamo notizia per i restauri”. Venti cantieri sono terminati e ventinove sono in corso di realizzazione. Sono stati stanziati 159,8 milioni di euro ed è stato messo a punto il sistema di sorveglianza per 3,8 milioni di euro. I visitatori dell’area di Pompei, 3milioni e 250mila nel 2015, sono aumentati del 20 per cento in un anno. In programma c’è anche il piano di assunzione di un squadra di archeologi, antropologi, architetti, ingegneri e amministrativi. Alcune criticità emergono però sul fronte della portata prevista degli investimenti: ad esempio, Roberto Cecchi, già segretario generale del ministero dei Beni e delle attività culturali, sostiene che gli interventi previsti da qui al 2017, che riguardano 70 domus, costituiscono solo il 5 per cento dell’intera area (che ne comprende, invece, 1.500). La priorità sarebbe uno screening con aggiornamento della Carta del rischio per evitare nuovi crolli e mettere in sicurezza l’intera area.
Per quanto riguarda i musei, il cambiamento è stato enorme. Sono stati nominati i venti direttori dei super musei, con grandi poteri di autonomia, e si si tratta in effetti di una vera e propria rivoluzione, a partire dal metodo di selezione, con un bando internazionale che ha portato alla definizione di una terna di candidati per ciascun istituto e alla decisione finale annunciata dal ministro Franceschini.
Ai super direttori è attribuito un grande potere con autonomia contabile, scientifica, finanziaria e organizzativa degli istituti. Si alleggerisce la struttura, prima appesantita da una gerarchia rigida con funzionario ministeriale che rispondeva al sopraintendente. Il vero cambiamento è la possibilità di affiancare alle entrate ministeriali quelle da raccolta fondi propri, nonché il recupero delle competenze sulla progettazione scientifica.
Unico neo: non c’è autonomia nella gestione del personale in una situazione che necessita interventi rapidi (l’età media degli archivisti è 59 anni). Vero è, però, che è stato autorizzato un concorso straordinario per contratti a tempo indeterminato per l’assunzione in deroga alle norme vigenti di 500 funzionari dei beni culturali: antropologi, archeologi, archivisti, bibliotecari, esperti di marketing e comunicazione, restauratori e storici dell’arte.
Alla ricerca di fondi
Nella logica dell’autonomia finanziaria in parte attribuita ai super musei, molto rimane da fare nella ripartizione dei Fus, i fondi unici dello spettacolo. Si tratta di contributi pubblici erogati a orchestre, teatri, scuole di danza. La situazione attuale vede uno squilibrio nell’erogazione che non premia adeguatamente il merito. La distribuzione è penalizzante, paradossalmente, per le istituzioni più meritorie: quelle, cioè, che riescono a richiamare più pubblico per le proprie esibizioni o che, in qualche modo, sono in grado di raccogliere efficacemente fondi al di fuori del contributo pubblico. Per esempio, se si calcola il rapporto tra contributi pubblici e ricavi propri, La Scala si segnala per un 53,4 per cento, mentre il teatro Lirico di Cagliari (con tutto il rispetto per lo stesso) evidenzia un 693 per cento. Per evitare paradossi simili, serve ripensare completamente l’attuale distribuzione che, nonostante le buone intenzioni del ministro Franceschini, presenta ancora molte criticità.
Aumentano intanto le risorse stanziate a bilancio dal ministero Beni e attività culturali. Con un +8 per cento nel 2016 e un +10 per cento nel 2017, anche qui è apprezzabile l’inversione di tendenza, ma la situazione è meno roboante se si guardano i numeri assoluti degli aumenti: 150 milioni di euro nel 2016, 170 nel 2017 e 165 nel 2018, lontani dal reale fabbisogno del comparto culturale. Serviranno presto nuove risorse.
Con la legge di Stabilità, poi, sono stati stanziati 290 milioni di euro per un bonus da 500 euro da spendere in attività culturali per chi compie 18 anni nel 2016. La polemica sull’esclusione iniziale degli extracomunitari residenti sul territorio italiano è rientrata con un emendamento che estende la validità anche a loro. Rimangono perplessità su una misura comunque regressiva e sul possibile impiego di risorse, anche limitate, per altri obiettivi più equi.
Una nota dolente per l’immagine del ministero è stato invece lo scandalo (ripreso anche dalle principali testate europee) scoppiato in occasione della visita di Hassan Rouhani, presidente iraniano, con la decisione di coprire i nudi delle statue dei Musei Capitolini a Roma. Il ministro Franceschini e il presidente del Consiglio hanno negato alcuna responsabilità diretta nella scelta, stigmatizzandola. Pare comunque difficile credere che il ministero non fosse a conoscenza della decisione. Va semmai rilevata l’importanza strategica dell’incontro con il presidente iraniano, volto a raggiungere l’intesa su tredici memorandum di intesa per contratti dal valore di 17 miliardi di euro.
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Salvatore
Conosco persone che lavorano negli uffici di uno di questi 20 musei e vi do per certo il fatto che l’autonomia contabile, ovvero il potersi tenere tutto l’incasso, è solo sulla carta, perché il ministero ancora si tiene i soldi e gli da una piccola parte. Senza questi soldi non possono mettere in conto alcuna spesa.
bob
..questo paese se vuole tornare ad essere un Paese deve eliminare una serie di vocaboli: autonomia, locale, regionalismo, interessi del territorio etc etc. A Roma Tronca dovrebbe stare 15 anni se non in eterno