Non si può andare a Bruxelles, come ha fatto l’Italia, a proporre più Europa proprio nel momento in cui decolla il referendum sulla Brexit, che comunque cambierà tutto. L’esigenza di ripartire da Eurozona e dai suoi meccanismi per non sprecare i risultati raggiunti finora. Anzi per consolidarli.
Le proposte per ricucire con Bruxelles
Nei giorni scorsi, con una manovra accuratamente preparata sui media, è partita un’operazione di ricucitura tra Roma e Bruxelles. Ce n’era bisogno in vista dell’incontro di venerdì 26 febbraio tra il premier italiano Renzi e il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker, dopo mesi di guerriglia verbale e scambi polemici con colpi anche sotto la cintola. La ricucitura ha preso la forma di un documento di cinque proposte del governo italiano. Niente più lamentele per ciò che l’Europa (non) ha fatto per affrontare il problema dei rifugiati. Niente più richieste dell’ennesimo decimale di flessibilità di fronte alla deludente chiusura d’anno della crescita e – probabilmente – dei conti pubblici italiani. Basta con le invettive anti Europa, giustificate o no. Invece, ecco arrivare cinque proposte che provano a guardare al comune orizzonte europeo, dunque oltre le attuali difficoltà dell’Italia. Appare così la significativa apertura diplomatica sull’istituzione di un ministro delle Finanze europeo, idea ripresa di recente dai banchieri centrali tedesco e francese, ma qui integrata con l’ambiziosa nota italiana di un bilancio e di eurobond comuni per finanziare gli investimenti infrastrutturali che servono alla Germania come all’Italia , gli investimenti sociali per l’accoglienza dei migranti e un’assicurazione europea contro la disoccupazione (vecchio pallino del ministro Padoan). Si ribadisce poi la proposta di completare l’unione bancaria con l’assicurazione europea sui depositi (a cui la Germania è contraria), per finire menzionando la necessità di eliminare tutti gli squilibri strutturali, quelli dei paesi che hanno la finanza pubblica in disordine (Grecia, Francia, Spagna, Italia) e quelli che hanno avanzi con l’estero troppo persistenti (Germania).
Proposte fuori tempo
Un colpo al cerchio e un colpo alla botte per avere più Europa, insomma. In realtà il timing e la sostanza delle proposte non sono delle più felici. Nessuno può obiettare sulla scelta di apparecchiare il tavolo dell’incontro Renzi-Juncker con pietanze il più possibile europee. È utile fugare l’impressione che quella di Juncker sia la visita di un commissario europeo (del più importante dei commissari) a un paese o premier problematico. Così, a valle delle proposte italiane, ci sarà un incontro tra il presidente della Commissione europea in visita al presidente del Consiglio di un grande paese europeo che vuole contribuire a risolvere i problemi dell’Europa. Purtroppo, però, la visita romana di Juncker cade nella settimana successiva alla decisione del premier inglese David Cameron di indire un referendum che determinerà conseguenze di non ritorno per l’Europa. Nel caso vinca la Brexit ci saranno effetti economici negativi prima di tutto per il Regno Unito e poi per il resto dell’Europa, se di Europa si potrà ancora parlare “dopo” la Brexit (per un’opinione diversa, si veda il pezzo di Paul De Grauwe). Ma anche se a vincere fosse il sì alla permanenza degli inglesi nella UE, rimane il fatto che è ormai tratto il dado della riforma dal basso della Unione. Una riforma fatta a colpi di referendum confermativi e di altre forme di consultazioni dirette. Sarà un caso, ma appena dopo l’annuncio di Cameron (e della dichiarazione pro-Brexit del sindaco di Londra, Boris Johnson) il primo ministro ungherese Viktor Orban ha annunciato l’intenzione di sottoporre a referendum il piano di redistribuzione dei rifugiati orchestrato da Bruxelles. Mentre la Grecia, per protesta contro l’unilaterale tetto giornaliero austriaco sul numero di rifugiati, ritira il proprio ambasciatore da Vienna. E’ la dis-Unione europea che va in onda.
Ripartire dall’Eurozona
Brexit o non Brexit, sarà messo in discussione l’attuale funzionamento della UE, fatto di accordi burocratici al termine di maratone notturne poi ratificati da parlamenti distratti o ignari delle conseguenze dei dettagli delle loro decisioni (vedi i tardivi mal di pancia italiani sul bail-in). È molto probabile che ad andare in soffitta – forse definitivamente – saranno non solo i riti ma anche gli ideali pan europei ancora presenti nelle élite europee. È in questo quadro che arrivano le proposte del governo italiano, schierato apertamente in favore di un metodo comunitario che oggi, sotto i colpi di Cameron e Orban, suona un po’ fuori tempo. Soprattutto perché le proposte italiane si rivolgono a 28 paesi, molti dei quali chiedono meno, e non più, Europa. Tra le invettive delle settimane precedenti e un europeismo velleitario e quindi probabilmente inascoltato, rimane per l’Europa e per l’Italia l’esigenza di partire da quel che c’è. E quel che c’è, in definitiva, è l’Eurozona che – lentamente ma con progressi misurabili – sta perfezionando i suoi meccanismi di funzionamento. E’ prima di tutto su questo gruppo di paesi che il governo italiano dovrebbe tarare le sue proposte. Per gli altri poco disponibili a ulteriori cessioni di sovranità, tanto vale dirsi la verità: per loro l’Europa è destinata a diventare una zona di libero scambio o poco più. Con questi altri paesi meglio cominciare a costruire, con calma, regole di cooperazione diverse da quelle dal passato.
Una versione di questo articolo è disponibile su www.tvsvizzera.it
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Henri Schmit
I referenda (meglio se d’iniziativa popolare) sono sempre utili al dibattito pubblico e il timing dell’incontro una settimana dopo l’accordo per aiutare Cameron ad evitare il Brexit è un vantaggio, perché lo scenario futuro è leggermente meno vago. Quello che sbaglia l’Italia (ed tanti altri) è che UE significhi “an ever closer union” intesa come condivisione dei debiti e delle inefficienze con una burocrazia sempre più pesante e meno democratica. Sarà invece prob. “ever more competition between member States” garantita da un comune “level playing field”. Basta osservare la Svizzera dove i cantoni si fanno concorrenza fiscale per attrarre investimenti (p. es. una multinazionale che riduce le attività della sede italiana a Segrate per trasferire tutto con il personale italiano in un cantone, inizialmente incerto). Queste prospettive rendono inaccettabili e inopportune alcune delle proposte del “italian position paper”, come il sussidio UE a favore dei disoccupati: non incentiverebbe tale misura i paesi inefficienti ad essere sempre più inefficienti, intanto paga l’UE. Rimane solo l’idea italiana forte, convincente e da supportare di un controllo comune delle frontiere esterne, effettuato da forze di paesi come l’Italia che possiede l’expertise, ma finanziato da euro-bond o comunque dal budget comune; la GR applaudirà, ci sono già unità della marina italiana davanti alle coste turche, la F sembra appoggiare, la D non si tirerà indietro. Speriamo che Juncker capisca e condivida
Hübner
Ottimo intervento. Ma gli eurobond rappresentano veramente l´unico scenario di uscita in casi di politiche fiscali sciagurate. Certamente non sono attuabili adesso, ma rimangono auspicabili.
Maurizio Cortesi
A me sembra che il governo dovrebbe fare innanzitutto proposte all’Italia tarate sui suoi veri problemi strutturali piuttosto che sulle posizioni di rendita delle varie lobbies dello sterminato ceto medio possidente, a cominciare da quello cattolico (ammesso e non concesso che esistano davvero non cattolici in Italia), che asfissia lo sviluppo economico-sociale-civile-ambientale(anche urbano-metropolitano) con la sua rete burocratica pubblica e privata – perchè cosa altro sono commercialisti e caf, ad esempio, se non burocrazie private? – e il complementare assetto familistico-padronistico della struttura produttiva.
Virginio Zaffaroni
La lettura combinata di Craveri e De Grawue mi convincono che i due eventi che tanto vengono temuti come “consensus” , visti in un’ottica di lungo periodo sono addirittura da auspicare: allineare Regno Unito e i vari paesi recalcitranti dell’Est Europa dentro un modello che richiami il passato modello Efta; integrare invece sempre più i paesi dell’Eurozona, attuali e potenziali, in un’Unione Europea Federata; rivedere nel contempo dentro l’Unione i processi decisionali e i livelli di sussidiarietà. Tre orientamenti che creeranno problemi nel breve ma conferiranno all’intera Europa un buon equilibrio di lungo periodo. In questa ottica le varie Brexit, Unghexit, Polexit, appariranno non drammi ma opportunità.
Virginio Zaffaroni
Errata corrige
“La lettura combinata di Craveri e DeGrawue mi convince…”
Massimo Matteoli
Puntare sull’ eurozona come nucleo vero del futuro dell’Unione ha un senso, ma bisogna che per primi ne siano convinti i paesi dell’Euro.
Con uno slogan penso si possa dire che serva una Germania più solidale ed una Francia più federale, con gli altri paesi a fare entrambe le cose. Purtroppo gli omuncoli che ci governano hanno perso il senso della storia. Mi ricordano gli staterelli italiani del 400, fieri della loro cultura e ricchezza ma incapaci di unirsi, mentre in Francia, Inghilterra e Spagna si consolidavano i grandi stati nazionali. Per l’Italia è noto che non andò a finire per niente bene, speriamo che la storia non si ripeta su scala continentale.
Siro Descrovi
Un parallelo che ritrovo molto spesso anch’io, la cui storia ci puo’ e deve insegnare molto.
Speriamo che gli errori del passato servano…
giancarlo
Caro Daveri, io sono affezionato a questo blog da anni. Quando ho visto il titolo del suo articolo, mi sono rifiutato di leggerlo. Mi sono detto: “ancora!! A “lavoce.info” sta prevalendo da tempo una sindrome grillina secondo la vecchia vocazione oppositoria di certa sinistra. Oppsizione pregiudiziale..Lei penserà che io, non leggendo quanto lei scrive, ho comunque torto. Può darsi. Ma volevo segnalarvi che se volessi leggere i citrulli alla Travaglio, non le avrei inviato questa nota. Cordialmente. giancarlo arcozzi
francesco daveri
Caro Giancarlo, mi dia una chance, legga il pezzo e se vuole ne riparliamo. Grazie, francesco daveri
Siro Descrovi
Comunque vada il Brexit, credo questo sia un momento necessario per il futuro dell’UE. Un organismo nato dall’economia invece che dalla politica, ora sente il bisogno della seconda per rispondere alle sfide del presente e del futuro.
Citando Rodrick citato da Picketty:
“Nel XXI secolo, lo stato-nazione, la democrazia e la globalizzazione costituiscono un trinomio instabile. Uno dei tre termini deve abdicare, almeno in parte, in favore degli altri due.”
E’ chiaro dunque che serve un check point, un nuovo Maastrich, un nuovo disegno per far risorgere una fenice che è sempre più attaccata a destra e a manca (alta-manca).
Gli utlimi fatti – sicurezza, immigrazione, non solo economici dunque e sui quali Cameron spinge molto – hanno dimostrato una mancanza di leadership e di organizzazione comunitaria. La sfumatura di quale delle tre variabili della citazione conduce allo scenario meno cupo?
We need a Fix, rather than an Exìt.
Volty De Qua
Vorrei che ci fossero più articoli di questo spessore.
L’unica cosa che non condivido è quella del no-europa-senza-gb. La GB rimarrà sempre lì — un’isola a rimorchio del continente europeo.I dividendi delle guerre (passate) sono scarsi, di nuove prospettive, di cambiare gli equilibri sul pianeta, non se ne vedono.
bob
“Con questi altri paesi meglio cominciare a costruire, con calma, regole di cooperazione diverse da quelle dal passato.”. Quali?