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Perché gli studenti si spostano da Sud a Nord

Nell’anno accademico 2014-15 oltre 55mila universitari hanno scelto un ateneo localizzato in una regione diversa da quella di residenza. E si tratta in larghissima parte di studenti del Sud. Per la qualità delle università del centro-Nord, certo, ma anche per molti altri motivi legati al contesto.

Mobilità degli universitari

L’Italia è caratterizzata da una significativa mobilità geografica interna degli studenti universitari. Nell’anno accademico 2014-15 oltre 55mila immatricolati, più di un quinto del totale, hanno scelto un ateneo localizzato in una regione diversa da quella di residenza. Un aspetto centrale del fenomeno è che segue la direzione Sud-Nord, ma non quella contraria. Il 23 per cento degli studenti meridionali si immatricola in università del Centro-Nord. Sono invece pochissimi quelli che fanno il percorso inverso: gli studenti del Nord e del Centro rimangono più vicini a casa (solo il 7 e il 10 per cento rispettivamente cambia circoscrizione). Così, nel 2014-15 la Puglia e la Sicilia hanno “perso” oltre 5mila studenti; Lazio, Emilia e Lombardia ne hanno “guadagnati” altrettanti. L’asimmetria crea effetti rilevanti. Indebolisce il processo di accumulazione di capitale umano nelle regioni del Mezzogiorno. Determina un trasferimento di reddito a favore del Centro-Nord – per i soli costi del periodo di studi – che può essere stimato tra un miliardo e un miliardo e mezzo di euro all’anno. Le ragioni alla base dei flussi di mobilità studentesca sono molteplici. Certamente l’ampiezza e la qualità dell’offerta formativa al Centro-Nord (comparata a quella al Sud) giocano un ruolo importante. Ma si tratta esclusivamente di una scelta, da parte di studenti perfettamente mobili, basata su questo? Come documentato anche nel Rapporto della Fondazione Res, si sommano altri importanti fattori. In primo luogo, le condizioni del mercato del lavoro profondamente diverse, con conseguenti maggiori opportunità di inserimento lavorativo e più elevati livelli salariali per i neo-laureati nelle regioni settentrionali, influenzano marcatamente la direzione della migrazione delle matricole. Ed è interessante notare che, con tutta probabilità, l’effetto “mercato del lavoro” è diventato più rilevante con la crisi economica: negli ultimi anni gli immatricolati meridionali si sono diretti sempre più verso Piemonte e Lombardia e relativamente meno verso Lazio e Toscana. Giocano fattori, esterni alle università, ma relativi al contesto in cui sono insediate. A parità di altre condizioni, la possibilità di ricevere una borsa di studio per gli studenti idonei è oggi assai maggiore al Nord rispetto al Sud, dove rimane molto alto il numero di “idonei non beneficiari”: nell’anno accademico 2013-14, nel Centro-Nord circa il 90 per cento degli studenti idonei ha effettivamente ricevuto la borsa di studio, contro il 61 per cento nel Mezzogiorno e il 38,5 per cento nelle Isole. Inoltre, la qualità della vita nelle città, con annessi servizi pubblici essenziali, offerte ricreative e culturali, è assai differente nelle due aree del paese. I vantaggi più che compensano le più alte tasse universitarie e il maggior costo degli affitti nelle città centrosettentrionali; d’altra parte, l’offerta di alloggi universitari è assai maggiore al Nord. Non ultimo, giocano un ruolo le possibilità di spostamento, la disponibilità di reti e servizi di trasporto di relativa efficienza: la situazione è di gran lunga migliore all’interno del Centro-Nord e per i collegamenti Nord-Sud di quanto non lo sia per gli spostamenti interni al Mezzogiorno: modestissimi e in rilevante peggioramento negli ultimi anni. Così uno studente siciliano può raggiungere con relativa facilità e a costi contenuti un ateneo del Centro-Nord (grazie anche al miglioramento dei voli low cost) mentre gli è praticamente impossibile arrivare nelle sedi delle università della Calabria o della Puglia. Conta la possibilità di “pendolare”, che riduce molto il costo degli studi, e che è assai maggiore ad esempio in Campania rispetto alla Sicilia, dove i collegamenti interni sono ancora a livelli medioevali. Il recente rapporto “Pendolaria” di Legambiente documenta ad esempio che per percorrere in treno i 250 chilometri fra Ragusa e Palermo sono necessarie 6 ore e 11 minuti.

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Le differenze di contesto

Se la mobilità degli studenti fosse determinata solo o principalmente dalla maggiore “qualità” assoluta degli atenei di destinazione, la percentuale di immatricolati di ogni provincia che si spostano verso atenei del Centro-Nord dovrebbe essere piuttosto simile. Così non è. Come si vede dalla figura, si va da quasi il 60 per cento per Trapani a meno del 6 per cento per Napoli. Le differenze, al netto di casi particolari di collocazione geografica (Teramo, Chieti), sembrano spiegate dall’interazione fra la disponibilità di un’offerta formativa ampia e articolata e la possibilità di raggiungerla. Si vedano ad esempio le marcate differenze fra le province siciliane e calabresi: da Catania o Cosenza “emigrano” pochi studenti, mentre vanno via in tantissimi da Ragusa e Crotone. Le principali sedi universitarie del Sud, e le province a esse più facilmente collegate, sono tutte collocate nella parte destra del grafico, pur con qualche eccezione (Potenza, Lecce, dove però l’offerta formativa si limita a un piccolo numero di corsi e la distanza dagli altri atenei del Sud è elevata).

Figura 1 – Immatricolati meridionali che scelgono atenei del Centro-Nord, in percentuale degli immatricolati residenti nella provincia (anno accademico 2014-15)

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Fonte: Rapporto Res su dati ministero dell’Istruzione, università e ricerca – Anagrafe degli studenti

Differenze nelle condizioni di contesto, esterne al mondo universitario, contribuiscono dunque a spiegare la mobilità degli studenti. Ma gli effetti sulle università molto rilevanti (sul gettito contributivo degli immatricolati; e sul fondo di finanziamento ordinario, legato in misura crescente al “costo standard”). La mobilità studentesca è un fenomeno per molti aspetti positivo, a cominciare dalle esperienze di vita indipendente per i giovani adulti. Non va certo ostacolata; semmai ulteriormente favorita. Ma alle politiche pubbliche dovrebbe spettare il ruolo di rendere meno disomogenee le condizioni esterne agli atenei che influenzano la loro capacità di attrazione. In particolare, servirebbero politiche volte ad accrescere e diffondere nell’intero paese il diritto allo studio (borse di studio, alloggi universitari e servizi), a migliorare la qualità della vita per gli studenti nelle città universitarie, a intensificare e potenziare le reti di trasporto locali. Oltre, naturalmente, a più generali politiche di sviluppo regionale, per rendere meno dissimili i tassi di occupazione dei laureati.

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10 commenti

  1. bob

    massimo rispetto per il vostro lavoro ma lo considero un mero esercizio didattico. Ci sono sempre stati spostamenti dalla Provincia alla Grande Città per tanti motivi tra cui quello di maggiori opportunità non solo di lavoro, ma di conoscenze e rapporti personali maggiori e di opportunità di seguire docenti di nome. Inoltre parlate di ” capacità di attrazione” . Ma è perfino banale dire che Roma sarà più attrattiva di Chieti, Bolzano e Piacenza non c’è politica che tenga. E’ la Storia

    • Alfonso Gambardella

      Negli ultimi anni è intervenuto anche il sistema di accesso alle Università, per cui la ammissione al concorso nazionale di ammissione può avere la conseguenza di una assegnazione in regione poste all’apposto della regione di appartenenza.

  2. ms

    Si dovrebbe spostare la capitale del Mezzogiorno a Matera, o Cosenza, o magari a Crotone (dove fiorì la scuola di Pitagora..). Così facendo l’intero modo di pensare, oramai ossidato, che accomuna settentrionali e meridionali che sostengono di lavorare allo sviluppo del Mezzogiorno (un fenomeno in sé da studiare), sarebbe forzato a cambiare “il punto di vista sulle cose” (Levi, Roma fuggitiva).
    Occuparsi del Sud da Roma o da Milano ri-motiva continuamente una visione “imperiale” dove il Sud è Provincia rispetto alla Città (Padania, Roma) o Provincia da fare ad immagine dell’altra provincia (la Terza Italia). L’articolo non contribuisce a questa visione, che invece è parte integrante dell’enfasi nazionale sulla Salerno – Reggio Calabria, sul Ponte, sulle strade vuote da completare che si moltiplicano di ciclo di programmazione in ciclo di programmazione, senza vergogna.
    Al contrario, i buoni programmi che volevano investire sulle trasversali non stradali vennero derubricati o snaturati. Invece delle scuole filosofiche, fiorirono i progettini di porticcioli turistici, ovunque, l’economia del “posto barca” e del pontile in legno (ove i mafiosi possano conversare lieti di appalti), e nuove superstrade per assicurare velocità ai ricchi turisti.. Muoversi localmente con i trasporti locali o in treno è porsi fuori dalla Storia. La Storia innerva il territorio di strade: come quando il Re si avventurava in carrozza in costiera amalfitana, ma prima gli completavano la strada.

    • bob

      ..i problemi che lei sottolinea sono visibili e riassunti totalmente osservando una Regione a Statuto Speciale: La Sicilia!!

      • ms

        ..esattamente (statuto speciale che non ho difeso in alcun modo). Il programma cui mi riferivo era però il POR Calabria 2000-2006, che non prevedeva, ad esempio, di rafforzare aeroporti minori (come Crotone), bensì un intelligente rafforzamento di linee trasversali per aumentare le possibilità di mobilità interna in modi alternativi all’automobile, per il vantaggio (anche) degli studenti e dei giovani che si spostano nella regione o tra le regioni del Sud. Le decisioni sugli investimenti ferroviari (elettrificazioni, velocizzazioni, raddoppi) richiedono competenze e decisioni del proprietario e gestore della rete (RFI), non solo della Regione Calabria o della Regione Siciliana. Gli studenti dovrebbero sapere che a) la “vecchia” strategia di investimento europea (pre2000) prevedeva che le risorse dei fondi strutturali fossero destinate proprio a quel tipo di programmazione di cui il POR Calabria era ancora un buon esempio e b) che quella strategia è stata ostacolata o boicottata (la storia narrata deve attenersi a criteri di verità e “falsificabilità”) da interessi interni (locali per un verso, nazionali per l’altro), ma non del tutto esterni all’Italia. L’alleato dell'”economia del posto barca” (che è anche metafora di un modo opportunistico di gestire i fondi strutturali e del disprezzo di vecchi documenti di programmazione europei pro-ambiente) non vive in Sicilia o in Calabria, né si arrovella per la cultura, la qualità dell’università e gli studenti.

  3. giorgio querzoli

    L’articolo centra il punto: il sistema universitario già di per sé tende ad accentrare le risorse in pochi poli di attrazione più forti. Compito delle politiche pubbliche dovrebbe essere quello di mitigare le differenze perché un sistema universitario forte uniformemente distribuito sul territorio è fondamentale per consentire lo sviluppo armonico del Paese. I meccanismi di finanziamento attuali tendono invece ad accentuare le differenze.

    • toni_strazzon

      compito delle politiche pubbliche dovrebbe essere soprattutto quello di cacciare professori ordinari che hanno pubblicato solo articoli in italiano di qualità imbarazzante (ogni riferimento è puramente casuale) dagli atenei italiani, in particolare del sud, nonché di impedire che negli atenei si assumano amici e parenti, prassi assai consolidata soprattutto al sud. queste “politiche pubbliche” costerebbero molto poco e libererebbero risorse per persone più brave disposte a spendere le proprie qualità in qualche ateneo del sud anziché emigrare verso nord.

    • bob

      per fare quello che Lei sostiene si dovrebbe eliminare il 50% di Atenei inutili

  4. Henri Schmit

    Come attenuare la mobilità geografica degli studenti in senso unico? Non basterebbe alcuna quantità di soldi pubblici, ma servono soprattutto idee nuove, convincenti e vincenti. Esistono già (per esempio il polo hi-tech di NA, la nano-tecnologia a LE), ma sono marginali e forse troppo dispersi. Bisognerebbe investire (con quali soldi?) attraverso un piano almeno decennale (le riputazioni si creano con la perseveranza negli anni, la Bocconi esiste da oltre 100 anni, l’uni-bo da quasi mille) in un settore di ricerca mirato, preferibilmente di nicchia, con potenziale di crescita nei prossimi anni/decenni (hi-tech, ambiente, economia del turismo, agro-alimentare) e si attrarrebbero automaticamente gli studenti, del sud, del nord … e dell’estero. Dove – a sud o a nord – prevale la logica dei baroni, delle raccomandazioni e dei favori mista alla logica della politica locale forse si sopravvive con i soldi pubblici, se no si fa la fine che si merita. In Italia non servono centinaia di università pubbliche con un’offerta accademica completa uniformemente distribuite sul territorio, ma possono esserci ovunque nuovi poli specializzati, di eccellenza. L’iniziativa spetta forse più ai docenti che non ai politici.

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