Lo scontro sul referendum “no-triv” ruota intorno a visioni e scelte diverse che investono la politica energetica e ambientale del nostro paese. La produzione interna di idrocarburi è esigua rispetto al fabbisogno. L’importanza delle rinnovabili e la ricerca di alternative al petrolio nei trasporti.
Il tema del referendum
Come è accaduto per altre, precedenti, consultazioni popolari, anche quella del 17 aprile sta assumendo una valenza che va molto oltre il significato del mero quesito referendario. Si è infatti acceso un dibattito intorno al referendum “no-triv” che divide la politica e l’opinione pubblica.
Il fatto è che questo referendum implica una scelta di prospettiva, di visione, di valori differenti, se non addirittura opposti, che investono la politica energetica e ambientale del nostro paese. Ed è la vera ragione per cui un quesito poco significativo assume i contorni di una battaglia civile-economica-politica. Tecnicamente, il quesito riguarda le concessioni per estrazioni di idrocarburi in mare entro le 12 miglia (circa 22 chilometri) e pertiene solo a concessioni già esistenti: la domanda riguarda l’abrogazione della norma che ne limita la durata alla scadenza prevista dalla legge. In pratica, per un numero ristretto di quelle esistenti (sono 21 su 69 in mare) il “no” consentirebbe di sfruttare le concessione fino all’esaurimento del giacimento.
La durata iniziale delle concessioni è di trenta anni, rinnovabile una prima volta di dieci, poi per cinque, quindi per altri cinque anni dopodiché, se il pozzo non è esaurito, il concessionario può chiedere di sfruttarlo fino all’esaurimento. È di questa estensione che stiamo dunque parlando.
Il referendum non riguarda invece:
- la possibilità di estrarre idrocarburi oltre le 12 miglia, che è libera, ma soggetta a concessione, in quanto i giacimenti di idrocarburi sono patrimonio indisponibile dello Stato;
- la possibilità di estrarre sulla terraferma;
- la possibilità di nuove concessioni a mare entro le 12 miglia, che è vietata dalle norme vigenti.
Nel 2014 erano attivi 117 permessi di ricerca – 95 in terraferma e 22 in mare – e 201 concessioni di coltivazione – 132 in terraferma e 69 in mare. Il referendum riguarda 21 di queste 69 concessioni in mare e la loro distribuzione geografica è illustrata nelle figure 1 e 2.
Produzione nazionale e fabbisogno
Le ragioni di contrapposizione sono diverse. La principale può essere riassunta nella domanda “Quanto è importante la produzione di idrocarburi a rischio con il referendum per il nostro fabbisogno e la nostra dipendenza energetica?”
Le piattaforme interessate al referendum producono il 27 per cento del gas naturale e il 9 per cento del greggio estratti oggi in Italia. La produzione nazionale è poca cosa rispetto al fabbisogno di consumo interno (tabella 1), pari allo 0,1, mentre Il restante 0,9 è soddisfatto dalle importazioni (nette). Quindi l’eventuale perdita è davvero poco significativa. A ciò va aggiunto che la riduzione non si registrerebbe subito, perché le concessioni interessate non scadono immediatamente, ma hanno una struttura temporale differenziata. In sostanza, la contrapposizione è di prospettiva, non di ricaduta immediata.
Quanto la minore produzione interna – poco significativa – minaccerebbe la nostra già elevatissima dipendenza energetica dall’estero? Anzitutto, gli idrocarburi estratti finiscono sul mercato che è accessibile a tutti e non è riservato agli italiani. Il prezzo pagato è dunque quello di mercato: i consumatori nazionali non ricavano benefici monetari. Vero è tuttavia che una minore produzione interna riduce la sicurezza degli approvvigionamenti e ci espone di più al potere di mercato. Quest’ultima considerazione vale più per il gas che per il petrolio. Si potrebbe arguire che il rischio può essere ridotto attraverso la diversificazione geografica delle importazioni, gli aumentati stoccaggi e attraverso l’aumento del ricorso alle fonti rinnovabili.
Si dice poi che mentre noi lasciamo idrocarburi nel sottosuolo, altri più furbi o saggi di noi li estraggono e ne beneficiano. Pare un’argomentazione ragionevole, nell’ipotesi che gli altri – di fatto la Croazia che si affaccia sul Mare Adriatico dove si trova buona parte delle riserve (tabella 2) – non vivano lo stesso dibattito, le stesse discussioni, gli stessi problemi, le stesse contraddizioni di casa nostra. Per il momento, il nostro dirimpettaio ha 19 piattaforme nell’Adriatico centrale e il premier Oreskovic ha di recente firmato una moratoria contro nuove trivellazioni in mare. Ma di quanto petrolio e gas potremmo godere se lo utilizzassimo tutto? La tabella 1 ci informa che ai ritmi di produzione odierni le riserve di petrolio sarebbero esaurite in un periodo che va tra 15 e 40 anni, mentre quelle di gas per un lasso di tempo compreso tra 7 e 19 anni. Se invece guardiamo al nostro ritorno di consumo – peraltro depresso – le riserve si esaurirebbero tra 1,5 e 4 anni per il petrolio e tra 0,8 e 2 anni per il gas. Vista l’incidenza delle piattaforme in discussione sulla produzione totale, verrebbe da chiedersi di cosa stiamo parlando. Se il gas naturale è utilizzato soprattutto per riscaldamento e produzione di elettricità – dove le rinnovabili hanno una notevole importanza –il petrolio è impiegato soprattutto nei trasporti. In questo settore ricerca e innovazione tecnologica si concentrano oggi sul cosiddetto storage (le batterie), ma resta vero che l’uscita dalle fonti fossili è e sarà lenta. Ciò non toglie che la diffusione di veicoli ibridi o elettrici possa e debba essere incoraggiata (l’industria automobilistica lo ha capito e ci sta puntando molto) mentre progressi nell’utilizzo di biometano – il cui potenziale è molto elevato – potrebbero essere fatti anzitutto con la rimozione di ostacoli di natura regolamentare e normativa.
Figura 1
Figura 2
Tabella 1 – Produzione, Import, Export e Consumi di idrocarburi in Italia – 2014
Note: R1 = riserce certe; R2 = riserve certe + probabili + possibili; P = produzione; C = consumi interni lordi. Fonte: nostri calcoli su dati ministero dello Sviluppo economico, Bilancio energetico nazionale
Tabella 2 – Produzione di idrocarburi in Italia – 2014 (valori percentuali)
Fonte: nostri calcoli su dati ministero dello Sviluppo economico
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Arturo Lorenzoni
Un tema l’articolo non tocca: il differente onere di smantellamento nel caso vinca il SI al referendum oppure no.
Non sarebbe comodo tenere viva una concessione, magari con produzione minima per non pagare le royalties grazie a franchigie generose, per non dover smantellare al termine della concessione?
Enrico Fasani
Una domanda: nei due casi (scadenza concessione ed esaurimento giacimento) chi paga lo smantellamento ?
Paolo Salvarezza
Un altro tema abbastanza dibattuto sarebbe interessante: se è pur vero che un incidente viene visto come improbabile, il suo costo potrebbe essere salato. Esiste un’assicurazione? Chi la paga e in base a quali piani di mitigazione ne viene stabilito l’importo? Sono coinvolte le regioni? Viene da dire che se un’incidente è assai improbabile, il premio assicurativo corrispondente dovrebbe essere esiguo…