La convergenza dei prezzi delle attività finanziarie senza condivisione del rischio non è vera integrazione finanziaria. E nell’Eurozona la dispersione del rischio tramite i mercati dei capitali è scarsa. L’incapacità di assorbire shock permanenti del Pil dovuti a una grave crisi finanziaria.

Primo di due articoli.

Integrazione finanziaria 2.0

L’integrazione finanziaria è un processo tramite cui diverse regioni o nazioni diventano connesse finanziariamente. Richiede la libera circolazione dei capitali e dei servizi finanziari e determina un incremento dei flussi di capitale tra le regioni interessate, con una graduale convergenza del valore e dei ritorni su asset e servizi finanziari.
Nel post-crisi, il sistema finanziario europeo dimostra una scarsa diversificazione e condivisione del rischio tramite attività transfrontaliera sia bancaria che di mercati dei capitali.
La scarsa condivisione del rischio tra i paesi dell’Eurozona è stata la principale causa dello sbilanciamento dei flussi di capitale (Davide Furceri e Aleksandra Zdzienicka, 2013; Fondo monetario internazionale, 2013; Philip Lane, 2013), che hanno causato prima bolle speculative in alcuni stati, come la Spagna e l’Irlanda, e ora un arretramento di questi capitali in “porti sicuri”, come Germania e Olanda (con l’associato razionamento del credito in molte zone dell’area euro). La convergenza dei tassi d’interesse senza una reale condivisione del rischio (tramite acquisti transfrontalieri) è un processo fittizio d’integrazione finanziaria. Il grafico ci mostra che, dopo il riallineamento dei tassi di convergenza di quantità e prezzi degli asset finanziari nell’area euro (l’indice Fintec) verificatosi con la crisi, i tassi stanno ritornando a divergere, con il rischio di creare nuovamente condizioni fertili per lo sbilanciamento dei flussi di capitale e bolle speculative nelle aree dove questi si concentrano.

Grafico 1 – Eurozona – Indice Fintec (1995-2015)

valiante

Pertanto, la qualità dell’integrazione finanziaria influenza il movimento dei flussi di capitale (Gian Maria Milesi-Ferretti e Cedric Tille, 2011) e dipende dalla capacità di condividere il rischio tra i paesi membri. La composizione dei flussi finanziari, non solo la grandezza, gioca un ruolo importante. Si dà spesso molto peso al coordinamento delle politiche fiscali, ma il canale fiscale rappresenta solo un 20-25 per cento della capacità di assorbimento della caduta del Pil durante una crisi (Davide Furceri e Aleksandra Zdzienicka, 2013, Niki Anderson, Martin Brooke, Michael Hume and Miriam Kürtösiová, 2015). Recenti analisi empiriche mostrano anche il limitato contributo del canale fiscale durante la crisi, nonostante i tanti salvataggi bancari degli ultimi anni (Vincent Duwicquet e Etienne Farvaque, 2013).

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Due forme di condivisione

La condivisione del rischio può avvenire in due forme diverse. La migliore combinazione è una condivisione del rischio intertemporale, tramite il tradizionale credito bancario, e una condivisione cross-sezionale, tramite meccanismi di mercato che disperdono il rischio tra i tanti agenti di mercato (in particolare, transazioni in azioni e investimenti diretti esteri). La condivisione del rischio intertemporale permette una maggiore protezione da quello idiosincratico, ovvero dal fallimento limitato ad alcune istituzioni, come durante la crisi delle dotcom a inizi 2000. L’unione bancaria ha l’obiettivo di rafforzare il meccanismo intertemporale, con maggiori attività di credito transfrontaliero.
L’iniziativa Capital Markets Union della Commissione europea, invece, prevede un piano per la creazione di un mercato comune dei capitali che crei meccanismi per la condivisione (dispersione) del rischio sistemico a livello europeo. L’obiettivo dovrebbe essere quello di costruire un’infrastruttura capace di collocare più risparmio privato in forme d’investimento come capitale azionario e altri investimenti diretti in altri stati membri.
Oltre alla stabilità finanziaria, la dispersione del rischio fornito da meccanismi di mercato produce altri effetti positivi, specialmente in un ambiente frammentato come quello europeo. Tra questi:

  • una migliore trasmissione delle politiche monetarie tramite tassi d’interesse basati su attività di mercato e, in questo modo, più influenzabili da operazioni non convenzionali, quali il quantitative easing;
  • un accesso più facile a fonti alternative di finanziamento (anche azionario), incluso crowdfunding o private equity, che sono strumenti efficaci per finanziare l’innovazione (Luca Giordano e Claudio Guagliano, 2014);
  • una maggiore diversificazione del rischio che riduca il peso del mercato del credito come principale fonte di finanziamento; infatti, la letteratura conferma una relazione negativa tra crescita del settore finanziario (nella forma di mercato del credito) e crescita economica, una volta raggiunta una certa soglia (Stephen G. Cecchetti e Enisse Kharroubi, 2015; Sam Langfield e Marco Pagano, 2015);
  • meccanismi che supportano la ristrutturazione del sistema bancario tramite l’offerta di un prezzo di mercato per esposizioni in sofferenza, che altrimenti tendono a essere riportate per anni sui bilanci bancari (influenzando la ripresa degli investimenti).
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Una maggiore integrazione del settore privato è la pre-condizione per maggiore condivisione del rischio e per il completamento “reale” dell’unione monetaria. L’unione bancaria (ancora incompleta) ha iniziato questo percorso. Ora tocca creare le condizioni per un’unione dei mercati dei capitali che lo completi.

* La versione inglese dell’articolo è stata pubblicata su www.voxeu.org.

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