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Quanto durerà l’effetto Atlante?

Il fondo Atlante non ha le caratteristiche che si richiedono a un compratore di ultima istanza: risorse illimitate e terzietà rispetto al mercato. Presto o tardi, questa lacuna minerà la sua credibilità. Intanto però risolve i problemi più immediati e difende l’italianità delle nostre banche.

Un problema di credibilità

Il fondo Atlante nasce con una precisa finalità: fare il compratore di ultima istanza delle azioni e dei prestiti in sofferenza che verranno venduti dalle banche italiane. Nel primo caso, si tratta di comprare le azioni che dovessero restare invendute nei prossimi aumenti di capitale (Popolare di Vicenza e Veneto Banca). Nel secondo, si tratta di comprare la tranche junior delle obbligazioni emesse dai veicoli con i quali le sofferenze verranno cartolarizzate: permetterà loro di emettere sul mercato la tranche senior assistita dalla garanzia pubblica (Gacs). In entrambi i casi, lo scopo fondamentale del fondo è quello di sostenere i prezzi di mercato, sia delle azioni sia dei prestiti in sofferenza. Il meccanismo, che ci si propone di sfruttare, è quello delle aspettative. Se il mercato sa che c’è qualcuno disposto a comprare a un determinato prezzo, tutti (venditori e acquirenti) si aspettano che il prezzo non possa scendere sotto quel livello e si comportano di conseguenza, quindi il prezzo si stabilizza effettivamente a quel livello. In linea di principio, il compratore di ultima istanza non avrebbe neppure bisogno di intervenire spendendo soldi: basta la sua parola. È quello che è successo con il famoso “whatever it takes” di Mario Draghi e il conseguente programma di acquisto di titoli di stato Omt: senza spendere un euro, la Bce è riuscita a fare aumentare notevolmente i prezzi dei titoli pubblici dei paesi ad alto debito dell’area euro. Riuscirà Atlante a condizionare le aspettative del mercato? Per ora sembra di sì: la reazione della Borsa è stata positiva. Ma quanto durerà questo effetto? È lecito avere qualche dubbio che possa durare a lungo, per un semplice motivo. Per avere una credibilità tale da condizionare le aspettative del mercato, un compratore di ultima istanza deve avere due caratteristiche: i) risorse potenzialmente illimitate; ii) essere un soggetto esterno al mercato che vuole stabilizzare. Pensiamo ancora una volta alla banca centrale quale prestatore di ultima istanza sul mercato monetario. Una carenza di liquidità aggregata non può essere risolta da un partecipante al mercato, ma solo solo da un soggetto che, dall’esterno, possa immettere riserve bancarie in misura potenzialmente illimitata: la banca centrale appunto. Il fondo Atlante non ha nessuna di queste caratteristiche: ha risorse limitate ed è costituito (in massima parte) da soggetti partecipanti al mercato, cioè le banche stesse. Quindi la sua credibilità è destinata a essere messa a dura prova e i facili entusiasmi di politici e banchieri potrebbero presto lasciare il posto alla delusione.

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Quali alternative?

A questo punto, la domanda è: quali sono le alternative ad Atlante? L’intervento diretto del settore pubblico, che è l’unico ad avere le due caratteristiche richiamate, è da escludere perché è di fatto precluso dalla attuale regolamentazione europea (direttiva Brrd). Un aiuto di stato farebbe infatti scattare il bail-in, con conseguenze devastanti. L’altra alternativa è il mercato. Operazioni di cessione delle sofferenze sul mercato, anche di importo elevato, sono state fatte e sono in corso di definizione: ad esempio, quelle di Unicredit, Mps e Intesa Sanpaolo. Di recente, alcuni operatori esteri si sono offerti di acquistare le sofferenze di alcune banche problematiche: a prezzi bassi, è vero, ma offrendo al tempo stesso le risorse per coprire le conseguenti necessità di ricapitalizzazione. Finora solo due iniziative di questo tipo sono state rese note e riguardano due fondi americani: quella di Apollo su Carige e quella di Fortress sulla Popolare di Vicenza (che sembra però andata in fumo). Naturalmente questo implicherebbe il passaggio del controllo a intermediari esteri e questo esito può essere sgradito alle nostre autorità: chissà se Atlante ha anche il compito di difendere l’italianità delle banche tricolori. La soluzione di mercato può richiedere tempo. Se una banca non vuole svendere i suoi prestiti in sofferenza e accusare una forte perdita immediata, deve avere il tempo per aggiustare gradualmente il valore contabile delle sofferenze, spalmando in un periodo più o meno lungo la relativa perdita. Allo stesso tempo, i provvedimenti governativi, volti a velocizzare la riscossione delle garanzie, potrebbero contribuire ad avvicinare il prezzo degli acquirenti a quello dei venditori di sofferenze. Un processo di smaltimento più lungo andrebbe negoziato con la vigilanza bancaria europea. Anche questa è una strada non facile e che presenta i suoi rischi. Quello maggiore è che l’incapacità di una banca di mettere in ordine i conti e di portare a termine un aumento di capitale faccia scattare la procedura di risoluzione, con le conseguenze divenute tristemente note con il caso delle quattro banche regionali. In conclusione, forse in questo momento critico per il sistema bancario italiano, Atlante è il male minore (second best, come dicono gli economisti). Tuttavia, ha il solito vizio italiano: nasce dall’emergenza e serve a risolvere i problemi più urgenti. Domani si vedrà.

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  1. Henri Schmit

    Il compito di Atlante è ambiguo. Come compratore di ultima istanza, dovrebbe esserci “vita durante”, se no nessuno giustamente si fiderà. Ma non può essere quello il compito di un operatore privato, sarebbe fra pari un incentivo alla peggior inefficienza. Ambiguità pure fra cessione dei NPL e sottoscrizione di aumenti di capitale, due “mestieri” diversi. Operazioni a valori di mercato? Allora servono una mezza dozzina di Atlanti, o almeno tre. Difendere l’italianità? Potrebbe essere un compito in discesa quando più nessuno vorrà investire nel bel paese dove tutto funziona al ritmo della baghetta magica, di “deus ex machina”, delle soluzioni che non disponendo delle informazioni giuste pochi riescono ad anticipare ed alle quali ancora meno hanno accesso. Le uniche soluzioni credibili sono: lasciare gli operatori creare e gestire un mercato delle NPL; (1) se i prezzi offerti sono troppo bassi, l’Atlante-NPL farà un affare, a condizione che oltre che privilegiato sia anche capace; e (2) costringere le banche a ricapitalizzare “whatever it takes” cioè abbassando quanto necessario il valore del capitale esistente, invitare operatori esteri a comprare, anziché difendere non si capisce quale italianità (quella dell’Alitalia?).

    • Mario Rossi

      Quale italianità? Si vede che ancora non ci siamo arrivati all’osso e se entrano azionisti esteri dopo sarà ben più difficile andargli a spiegare che alcune voci di bilancio sono in rosso perchè servono per avere favori da altre parti. Se era entrata Air-france in Alitalia sarebbe stato difficile mantenere ancora in piedi un carrozzone politico-clientelare che ha fruttato poi ben altri introiti ai capitani coraggiosi. Così è per le banche…..pur di mantenere il sistema stanno spolpando tutto quello che trovano……ma finirà presto senza dubbio.

  2. Michele

    Il fondo Atlante più che ad altro assomiglia all’IRI degli anni ’30 del secolo scorso, ai tempi di Beneduce e Menichella…
    Curioso vedere un operatore che dovrebbe essere “privato” come il fondo Atlante ricevere cosi tanti endorsement da parte di autorità/stampa/politica che in realtà dovrebbero regolare/sorvegliare l’attività di operatori privati, non sponsorizzarli!!!

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