A dicembre scade una clausola del protocollo di adesione alla Wto e la Cina chiede il riconoscimento dello status di economia di mercato. Il parlamento europeo si è già pronunciato contro questa ipotesi. E la Commissione deve trovare una soluzione che non la esponga a sospetti di protezionismo.
Un criterio per decidere su dumping e dazi
Il parlamento europeo ha di recente adottato una risoluzione che allontana la prospettiva che l’Unione Europea riconosca alla Cina lo status di economia di mercato. Ma perché è importante questo riconoscimento e chi lo attribuisce?
Lo status di economia di mercato – Mes – Market Economy Status – è un criterio ammesso dalle regole Wto (World Trade Organization) e che rileva nei procedimenti antidumping. Per contrastare la pratica di esportare un prodotto a un prezzo inferiore a quello normalmente applicato nel mercato interno, ai paesi importatori è consentito imporre dazi compensativi, funzionali a ristabilire un giusto valore di mercato dei beni importati. Il corretto calcolo della differenza tra il prezzo applicato nel mercato di origine del prodotto e il prezzo nel mercato di esportazione è fondamentale sia per dimostrare lo stesso dumping sia per determinare il “giusto” dazio, che altrimenti può trasformarsi in uno strumento protezionistico.
L’operazione diventa ancora più complessa nel caso di importazioni provenienti da un paese, come la Cina, in cui i prezzi interni sono influenzati direttamente o indirettamente dallo Stato e possono non rispecchiare il valore di mercato dei beni.
Per questo motivo, il protocollo di adesione della Cina alla Wto del 2011 autorizza i membri dell’organizzazione a metodologie di calcolo “non standard”, che non fanno affidamento sui prezzi cinesi quale criterio per la determinazione del dumping e dei conseguenti dazi. Gli aderenti all’organizzazione sono cioè liberi di stabilire, secondo le proprie regole interne, se la Cina sia o meno un’economia di mercato e, di conseguenza, se i prezzi sul suo mercato interno siano automaticamente da considerarsi come una base di calcolo affidabile nelle procedure antidumping.
La Wto non stabilisce criteri uniformi per determinare lo status di economia di mercato. L’Unione Europa, dal canto suo, con il regolamento n. 1225/2009 ha fissato cinque criteri in presenza dei quali riconosce al partner commerciale il Mes. Il primo criterio, in particolare, richiede che le decisioni delle imprese in materia di prezzi, costi e fattori produttivi vengano prese in risposta a tendenze del mercato che rispecchiano condizioni di domanda e di offerta, senza significative interferenze statali. Nell’ultimo rapporto disponibile, del 2015, la Commissione ha stabilito che la Cina non lo soddisfa, così come non soddisfa altri tre requisiti sui cinque previsti dal regolamento.
A complicare la situazione, il prossimo 11 dicembre 2016 cessa di avere vigore la clausola del protocollo sul calcolo del margine di dumping, in assenza del riconoscimento del Mes, che la Cina ha accettato con l’adesione alla Wto, insieme all’impegno alla transizione verso una “economia (socialista) di mercato”. Pechino ne fa derivare il diritto a un riconoscimento automatico di economia di mercato e annuncia di voler sollevare la questione nell’ambito del sistema di soluzione delle controversie dell’organizzazione. Da un punto di vista giuridico, il testo del protocollo è ambiguo e gli effetti della scadenza di fine anno sono incerti.
La scelta dell’Europa
In questo quadro si inserisce la recente risoluzione del parlamento europeo con la quale i deputati hanno affermato a larghissima maggioranza (546 favorevoli, 28 contrari e 77 astenuti) che finché la Cina non avrà soddisfatto i cinque criteri stabiliti dalla Ue per definire le economie di mercato, le sue esportazioni dovranno continuare a essere trattate con una metodologia “non standard”. La Ue è il primo partner commerciale della Cina, ma tra i parlamentari prevalgono i timori degli effetti sull’industria europea di una generale riduzione dei dazi antidumping rispetto alle probabili contromisure sui prodotti europei esportati nel paese asiatico.
In vista della scadenza di dicembre, comunque, l’Unione europea deve decidere se alla Cina spetti di diritto lo status di economia di mercato. Dopo la riforma del Trattato di Lisbona, che ha introdotto la procedura legislativa ordinaria per gli atti che riguardano la politica commerciale comune, per modificare il regolamento n. 1225/2009 – sulla base del quale la Cina è esclusa dal novero dei paesi Mes – è necessario il voto favorevole di parlamento europeo e Consiglio, su proposta della Commissione.
La recente risoluzione del parlamento, in quanto tale, non è vincolante, ma condiziona le scelte della Commissione. Secondo indiscrezioni di stampa, la Commissione sarebbe stata propensa ad avallare l’interpretazione cinese sul protocollo e a concedere automaticamente al paese lo status di economia di mercato. Dopo la chiara presa di posizione del parlamento, la Commissione dovrà cercare una soluzione alternativa. Ad esempio, il riconoscimento di Mes potrebbe essere limitato ai settori meno minacciati dalle importazioni cinesi, mentre potrebbero essere mantenute metodologie di calcolo “non standard” per quelli più vulnerabili. Affinché la Cina accetti il riconoscimento parziale come conforme alle regole Wto, sia i settori sia le relative metodologie di calcolo dovranno essere individuati con criteri oggettivi, in grado di dimostrare che la politica europea antidumping è al di sopra di ogni sospetto di protezionismo.
Lavoce è di tutti: sostienila!
Lavoce.info non ospita pubblicità e, a differenza di molti altri siti di informazione, l’accesso ai nostri articoli è completamente gratuito. L’impegno dei redattori è volontario, ma le donazioni sono fondamentali per sostenere i costi del nostro sito. Il tuo contributo rafforzerebbe la nostra indipendenza e ci aiuterebbe a migliorare la nostra offerta di informazione libera, professionale e gratuita. Grazie del tuo aiuto!
Piercamillo Falasca
Articolo interessante e illustrativo. Sul merito, se è fondamentale evitare scelte protezionistiche, è anche opportuno rispettare la decisione assunta dal Parlamento Europeo. Una eventuale decisione della Commissione diversa da quel che il Parlamento ha statuito rischierebbe di avere reazioni protezionistiche ancora peggiori nelle opinioni pubbliche europee, peraltro non riguardanti solo la Cina ma addirittura il nostro mercato interno. E’ il momento che sia la Cina stessa a rendersi conto che la lunga transizione merita uno sforzo da entrambe le parti.
Amegighi
Mi compiaccio con l’Autrice dell’articolo che tratta un argomento non secondario, più integrabile all’interno di un’ottica politica globale, piuttosto che restringerlo ad una pura visione solo economica.
La Politica (con la P maiuscola) ha il dovere di risolvere problematiche di questo genere. La Cina è indubbiamente un Paese ad organizzazione comunista, che pervade la società. Poco importa se sia stata aperta un’economia di mercato, dal momento che questa apertura è ben lungi dall’essere ampliata agli altri aspetti della vita sociale.
E, allora, trovo quanto meno singolare che, da una parte, l’UE imponga sanzioni economiche a Paesi con dittature o regimi rigidamente centralizzati (come quello cinese), e dall’altra, si crei il problema che conseguirà al non riconoscere economia di mercato, quella di un Paese, certamente retto in modo non democratico.
In questi anni di sviluppo eccezionale dell’economia cinese, molto pochi (e nel quasi totale silenzio) hanno avanzato questioni circa il contrasto tra un sistema economico di mercato, ed un sistema sociale che dire “non democratico” è un eufemismo. La possibilità di stipulare ricchi contratti, fa chiudere gli occhi e tappare il naso.
Sarebbe il caso di ritornare a rimettere le cose a posto, considerando l’economia come parte del vivere e dell’interazione sociale, gestendola nell’ottica di una visione più generale del mondo.