Si profila una battaglia per il controllo del gruppo Rcs, con le due principali banche creditrici schierate su fronti opposti. Però, per la prima volta gli eventuali vantaggi ricadranno su tutti gli azionisti e non solo su una cerchia privilegiata. Ma ancor più importante è la partita industriale.

Offerta e contro-offerta

Con la contro-Opa su Rcs Mediagroup lanciata il 15 maggio da alcuni soci storici del gruppo editoriale, si profila una battaglia per la conquista della società che pubblica il Corriere della sera e che versa da anni in una grave crisi non solo finanziaria.
Tutto inizia l’8 aprile con l’offerta pubblica di sottoscrizione di Cairo Communication a 0,12 azioni per ogni azione Rcs con una valorizzazione implicita del titolo di 0,55 euro. Il mercato apprezza e nei giorni seguenti i due titoli salgono. O forse, tutto era iniziato ancora prima, con l’annuncio del disimpegno Fiat dal Corriere e l’integrazione della Stampa col Gruppo Espresso.
Arriva poi la contromossa di Diego Della Valle, Unipol, Pirelli e Mediobanca che coinvolgono Andrea Bonomi per un’Opa in contanti a 0,71 euro per azione. Il gruppo Rcs viene valutato 360 milioni, più i 411 di debiti.
Condizione di ambedue le offerte è una moratoria sui debiti da parte delle banche creditrici che duri fino alla presentazione del bilancio 2017. Il principale creditore – Intesa Sanpaolo (162 milioni) – è schierato con Cairo, mentre Mediobanca (in credito di 17 milioni) fa parte del gruppo della contro-Opa. E siccome la moratoria del debito va approvata all’unanimità, ambedue gli istituti hanno potere di veto sull’offerta dell’avversario.

La posta in gioco

La vicenda ha diversi piani di lettura.
L’editore del Corriere ha attraversato diversi passaggi di proprietà, a volte traumatici, come nella vicenda P2, ma è probabilmente la prima occasione in cui la battaglia si gioca in campo aperto e gli eventuali vantaggi riguardano tutti gli azionisti, non solo la cerchia privilegiata di chi siede nei salotti giusti.
In secondo luogo si tratta di una battaglia tra gruppi finanziari, con Intesa Sanpaolo schierata con Cairo e Mediobanca che cerca di non perdere la presa e che ha favorito l’altra aggregazione. La posta in gioco è in parte l’influenza sul Corriere e in parte la definizione della leadership nelle operazioni finanziarie di equilibrio.
In terzo luogo, c’è la componente industriale e azionaria. Le due offerte, pur simili nel valore attribuito alla società, sono abbastanza diverse. Quella iniziale di Urbano Cairo è solo di carta e presuppone lo scambio di azioni. Mette sul piatto la capacità dimostrata nel tagliare i costi, come ha fatto a La7, e le sue competenze nell’editoria cartacea, dove ha mantenuto e sviluppato testate di taglio popolare con grande attenzione al prodotto in un segmento da cui la maggior parte dei concorrenti pensavano solo a uscire.
L’Opa guidata da Andrea Bonomi è invece nel segno della continuità, almeno azionaria. Come ha osservato Massimo Mucchetti, nel dicembre 2015 a Bonomi era stato offerto di prendere una partecipazione in Rcs attraverso un aumento di capitale, con un esborso minore di quello attuale, e aveva rifiutato. Allo stesso modo gli altri quattro vecchi soci avrebbero potuto fare un aumento di capitale nei mesi scorsi, ottenendo una quota di assoluto controllo con minori mezzi finanziari di quelli messi a disposizione per l’Opa.
Insomma, il tema del controllo e delle possibili rendite collegate sembra essere il cuore della questione per questa cordata. Anche in termini industriali, i quattro soci sono azionisti di riferimento di Rcs da molto tempo: se fossero stati in grado di rilanciare il gruppo, ridurre i costi e aumentare la redditività, avrebbero potuto farlo agevolmente negli anni scorsi.

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Sfide per il futuro

La battaglia per il controllo si svolge per una Rcs in crisi ormai da molti anni, senza un vero azionista di controllo e all’interno di un mercato che diventa sempre più difficile.
Il punto di partenza del declino finanziario è stato l’acquisto dell’editore spagnolo Recoletos nel 2007 per 1,1 miliardi (fatturato di circa 300 milioni), un prezzo nettamente superiore ai pur generosi multipli per gli editori in quel periodo. Curiosamente e per coincidenza, la Investindustrial di Bonomi era coinvolta nella vendita di Recoletos. Dopo pochi anni il peggioramento del mercato editoriale e la recessione hanno reso complessa la riduzione dell’indebitamento.
Il mercato editoriale subisce la concorrenza di internet sia sulla lettura in generale che sulle news in senso stretto (su lavoce.info si vedano gli articoli di Riccardo Puglisi e di Luigi Curini). E dovrà perciò gestire una fase di declino che porterà a un consolidamento degli operatori.
In Italia il processo è iniziato con l’accordo tra La Stampa e il Gruppo Espresso. L’intesa pone un problema strategico rilevante al Corriere perché La Repubblica assieme a La Stampa e a tutti i quotidiani locali ha possibilità di economie di scala e di copertura pubblicitaria considerevoli. Inoltre il Gruppo Espresso è forte nelle radio, ha una presenza articolata in internet ed è saggiamente uscito dalla televisione. Rcs ha dovuto vendere i libri, i periodici sono in dismissione e le due grandi testate quotidiane rimangono un po’ isolate, forse indebolite. Sarà inevitabile per il Corriere seguire una strategia simile per cavalcare il consolidamento e non subirlo, ma serviranno risorse, competenze manageriali e capacità di ristrutturare i processi di un’azienda non sempre attenta all’esterno e al futuro.
Finita la battaglia per il controllo, inizierà quella per il mercato.

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