Per capire cosa succede nel mercato del lavoro italiano bisogna considerare un orizzonte più ampio delle variazioni di mese in mese. Gli sgravi contributivi hanno comportato un anticipo dei flussi a fine 2015 in una sorta di investimento in capitale umano. Risale la quota del tempo indeterminato.
L’orizzonte biennale
Il rallentamento, documentato nei dati Inps, del flusso di assunzioni a tempo indeterminato nei primi mesi del 2016 – rallentamento che con ogni probabilità continuerà nei prossimi mesi perché i livelli osservati nel 2015 sono irripetibili – ha non di rado indotto commenti strampalati, che hanno equivocato tra riduzione delle assunzioni e riduzione dell’occupazione.
Quanto emerge anche dagli ultimi dati Istat, relativi ad aprile, aiuta a chiarire cosa sta accadendo nel mercato del lavoro.
Consideriamo, in un orizzonte biennale (2014-2016), i dati elementari, quelli che vengono prima di qualsivoglia, anche semplice, elaborazione (variazione tendenziale, destagionalizzazione, media trimestrale o annuale che sia).
Sappiamo che alla fine del 2013 il numero di occupati in Italia era sceso a un livello inferiore a quello del 2004: un dato preoccupante, riferito a un indicatore (l’occupazione) per il quale l’Italia nei confronti internazionali certamente non ha brillato nel passato e non brilla oggi.
Che idea ci si può fare del trend occupazionale recente, successivo a tale punto di minimo?
Il grafico 1 è sufficientemente esplicativo nel delineare la dinamica essenziale delle tre componenti dell’insieme degli occupati, vale a dire i lavoratori indipendenti, i lavoratori dipendenti a tempo indeterminato e i lavoratori dipendenti a termine.
Non dobbiamo guardar tanto alle singole variazioni tra un mese e l’altro, ma ai trend che emergono e che, ovviamente, non sono mai definitivi: così se da un lato non c’è garanzia che continuino (se positivi), allo stesso tempo si può sempre aver fiducia che migliorino (se negativi).
L’andamento delle tre componenti
I lavoratori indipendenti sono sostanzialmente al palo: si tratta di un insieme di posizioni professionali e imprenditoriali già ampio, secondo i confronti internazionali, e che per tante ragioni non solo non può ampliarsi ulteriormente ma fatica anche a riprodursi: fare impresa è tutt’altro che facile e non ci si può certo meravigliare della crisi delle vocazioni su cui inciampa spesso la pur ineludibile trasmissione generazionale del compito imprenditoriale.
Grafico 1
Per i lavoratori a termine si registra la ben nota scansione stagionale: d’estate raggiungono sempre il massimo e nel primo bimestre dell’anno il livello minimo. Nell’estate 2015 sono arrivati a un livello modestamente più alto del corrispondente 2014 ma non si ravvisa nessun strutturale cambio di livello, anzi: nei primi quattro mesi del 2016 per tre volte il loro numero è risultato inferiore a quello del corrispondente periodo 2015.
Infine, gli occupati a tempo indeterminato, componente per la quale la stagionalità conta del tutto marginalmente: al palo nel 2014, la crescita è emersa intorno alla metà del 2015 ed è divenuta evidente – attorno ai 500mila occupati in più rispetto all’inizio del 2014 – nei primi mesi del 2016.
Per chiarire le determinanti di questa crescita è utile accostare, ai dati Istat, quelli Inps (sui dipendenti privati extra-agricoli) relativi alle posizioni lavorative (vale a dire ai rapporti di lavoro in essere), sempre analizzando la dinamica a partire dall’inizio del 2014 (grafico 2).
I dati Inps evidenziano maggior continuità (minori oscillazioni) di quelli Istat, ma ciò che più conta è che se ne deduce una scansione analoga delle vicende occupazionali e una netta spiegazione implicita. Il nulla di fatto delle due fonti nel 2014 è analogo, come pure l’avvio di una crescita significativa e statisticamente percepibile nel terzo trimestre 2015. Poi nei dati Inps emerge lo scalino anomalo di fine 2015 dovuto alla corsa delle imprese ad assumere o stabilizzare i dipendenti per poter utilizzare, prima del suo radicale ridimensionamento, il forte sgravio contributivo previsto dalla legge di stabilità 2015: gli effetti dello scalino, pur tra andamenti oscillatori, si ritrovano successivamente anche nei dati Istat 2016.
Grafico 2
Non siamo certamente in presenza di un andamento “normale” dell’occupazione, allineato al ciclo congiunturale: i flussi sono stati non solo anticipati a fine 2015 ma evidentemente “forzati”, una sorta di investimento in capitale umano per cogliere l’opportunità di un transitorio basso costo. Così il paziente (il mercato del lavoro italiano) è stato sottoposto a un trattamento intenso e ha ben reagito: ora è a dieta (di assunzioni) e l’attenzione è concentrata a monitorare l’insorgere eventuale di crisi di rigetto (eccesso di cessazioni). Se poi il paziente, con quella terapia, sia definitivamente guarito o comunque stabilmente migliorato, ce lo dirà il futuro. Per ora il livello del tasso di disoccupazione, da alcuni trimestri sotto il 12 per cento ma che fatica a scendere ulteriormente, ci dice che il bisogno di posti di lavoro è ancora straordinariamente elevato.
Un’ultima notazione: dati gli andamenti descritti, la quota di dipendenti a tempo indeterminato, scesa continuamente fino all’inizio del 2015, è risalita (di circa un punto percentuale nei dati destagionalizzati). Un segnale quantomeno di interruzione del processo di crescita delle posizioni lavorative di breve durata (grafico 3).
Grafico 3
* Le opinioni espresse non impegnano l’istituzione di appartenenza.
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Mario Rossi
Perchè in italia non si investe sul lavoro? Ma provate ad investire voi in un paese dove le regole cambiano ogni mese, dove tutto è regolamentato e soprattutto sottoposto a sanzione! l’unica soluzione è rimanere leggeri