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Il tripolarismo non elegge sindaci

Non sono molti i sindaci eletti al primo turno nei comuni sopra i 15mila abitanti. Effetto del passaggio dal bipolarismo al tripolarismo? Non sembra. Perché centrosinistra e centrodestra sono ancora le principali forze politiche a livello locale. M5S forte solo in pochi casi, seppur eclatanti.

Chi ha vinto al primo turno

Alla vigilia del ballottaggio che chiuderà la tornata elettorale comunale del 2016, vale la pena di analizzare alcuni effetti della strategia dei partiti al primo turno. La legge elettorale per i comuni prevede l’eventualità del secondo turno solo per i comuni con popolazione superiore ai 15mila abitanti. Ed è su questi che abbiamo concentrato l’analisi. Bisogna anche tener conto che è estremamente difficile distinguere il colore politico delle liste civiche che vengono usate in misura preponderante nei comuni più piccoli. Ciò è vero soprattutto per il centrodestra, in misura minore per il centrosinistra e probabilmente solo in rari casi per il Movimento 5 Stelle, che non ha alcun incentivo elettorale a “nascondere” i simboli di partito (o movimento). L’affluenza media nei 142 comuni al di sopra dei 15mila abitanti è stata del 60,1 per cento, in linea con un’affluenza generale pari a circa il 62 per cento (media di 1272 comuni che sono andati al voto; il dato non tiene conto dei 29 comuni siciliani e dei 38 comuni del Friuli-Venezia Giulia). Nei comuni sopra i 15mila abitanti, solo ventidue sindaci sono stati eletti al primo turno (vale a dire il 15 per cento del totale). Di questi, dieci sono certamente riconducibili al centrosinistra, sei al centrodestra e nessuno al Movimento 5 stelle. Gli altri sindaci appartengono a liste civiche: confrontando il dato ottenuto della lista civica con quello degli altri partiti, è possibile dedurre, seppure in maniera non eccessivamente robusta, che due potrebbero essere di centrodestra, uno di centrosinistra e uno del M5S. I risultati del primo turno non sono una sorpresa, anche se la loro interpretazione potrebbe essere diversa rispetto agli anni passati. A partire dal 2013 (dunque dopo il 2011 quando furono elette le amministrazioni che oggi vengono rinnovate) è diventato elettoralmente rilevante a livello nazionale un terzo polo, il Movimento5Stelle. E proprio la sua presenza potrebbe aver reso molto più difficile il superamento della soglia del 50 per cento da parte di un candidato, per quanto forte. L’ipotesi, affascinante ma difficile da testare, è peraltro poco supportata dagli scarsi dati a disposizione: il M5S non era presente solo in sei sui ventidue comuni che hanno eletto il sindaco al primo turno, forse troppo pochi per confermare l’effetto di tri-polarizzazione. Tuttavia, va notato che anche in tutti gli altri casi il M5S è andato pochissime volte significativamente oltre la soglia del 10 per cento (quanto questo sia causa o effetto della vittoria del sindaco al primo turno però non è possibile saperlo).

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Le strategie dei partiti

Per quanto riguarda le strategie dei partiti, il M5S si è presentato in 112 comuni su 142, classificandosi primo in sei comuni e secondo in quindici. Ha quindi raggiunto il ballottaggio nel 17,9 per cento dei comuni in cui si è presentato, nel 14 per cento dei casi se si considera il totale dei comuni al voto. Cosa succede dove il M5S non si presenta? La presenza del movimento non sembra avere effetti particolari sulla probabilità che il candidato di un’altra lista vinca al primo turno. Le liste di centrosinistra incentrate sul Partito democratico sono arrivate prime in 54 comuni (vincendone dieci al primo turno) e seconde in 50. Ciò implica che coalizioni formate dal Pd hanno vinto le elezioni o sono arrivate al ballottaggio in 95 casi, ovvero il 67 per cento del totale. Il centrodestra si è presentato in due modalità differenti, che potremmo denominare “modello Milano” (Lega Nord e Forza Italia nella stessa coalizione) e “modello Roma” (Lega Nord e Forza Italia corrono in coalizioni distinte). Il centrodestra “modello Milano” si è presentato in 47 comuni: è arrivato primo in 18 comuni e secondo in 19 (con quattro comuni vinti al primo turno e quattordici qualificazioni al ballottaggio). Il centrodestra “modello Roma”, invece, si è presentato in 18 comuni, arrivando primo in sette casi (uno per la coalizione con Forza Italia e sei per quelle con la Lega) e secondo in sei. Sembrerebbe, quindi, che Lega Nord e Fratelli d’Italia propendano per correre da sole esclusivamente laddove sono più forti. In 23 comuni, infine, si sono presentate coalizioni di centrodestra senza Forza Italia, ma senza che quest’ultima corresse a sua volta. In nove casi sono arrivate prime, in sei seconde. I dati sembrano confermare che il modello di centrodestra unito (“modello Milano”) è ancora quello preferito dagli elettori. Centrodestra e centrosinistra si confermano, a livello locale, le principali forze politiche del paese. Le prove di forza delle ali estreme dei due poli non sembrano aver prodotto alcun risultato rilevante. Il M5S gode di ampia visibilità per alcuni risultati eclatanti, come Roma e Torino, ma di fatto, sia come risultato elettorale, sia come diffusione sul territorio, è ancora poco competitivo. Certo, i conti veri e propri si faranno lunedì.

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  1. Henri Schmit

    Con un sistema di voto uninominale (sindaco) si crea automaticamente un bipolarismo, per ovvie ragioni di coordinamento efficiente delle candidature (Duverger 1950, Gary Cox 1997). Un eventuale terzo candidato / polo DEVE piazzarsi come mediano rispetto ai due già presenti, cioè provare a prendere voti dagli elettori di entrambi. Il M5* DEVE fare questo, se no, non ha alcuna speranza di successo. Sarebbe quindi un errore concettuale considerare il terzo concorrente in una corsa uninominale come estremista; relativi ( non veri) estremisti sono gli altri due. Se la loro offerta politica accontenta oltre i due terzi / tre quarti dei votanti, il terzo sfidante non ha alcuna chance di affermarsi. Se questo invece intende affermarsi, deve prima di tutto arrivare al secondo posto e poi provare a vincere. È esattamente quello che il m5* sta facendo con un successo sbalorditivo. Come minimo obbliga gli altri a modificare la loro proposta. L’italicum replica la stessa logica, ma con liste nazionali; sarà un regalo al m5*, a meno che l’offerta dx e/o sx tradizionale sappia adattarsi occupando lo spazio dell’offerta del m5*. Quando terzi poli riescono ad affermarsi durevolmente, cannibalizzano per logica uninominale prima o poi uno dei due poli tradizionali.

  2. Henri Schmit

    L’articolo sbaglia perché non distingue due tripolarismi, uno strutturale, l’altro contingente. Il sistema per eleggere i sindaci (e indirettamente i consigli comunali) come quello per eleggere i deputati della prossima camera è strutturalmente bipolare, ma produce per ragioni contingenti risultati tripolari. Esattamente come il first past the post inglese che ha affermato 100 anni fa il labour come terzo polo e ha fatto emergere alla precedente legislatura il partito liberaldemocratico come terzo polo. Questo significa banalmente che quando i due poli affermati non coprono la domanda degli elettori allora creano spazio per un terzo polo a condizione che l’out-sider sappia farsi votare da elettori di entrambi i poli incumbent. È quindi scientificamente sbagliato definire il terzo polo come anti-sistema, estremista o populista, perché riesce ad affermarsi in un sistema bipolare o uninominale solo se è considerato mediano, cioè la seconda migliore scelta dal maggior numero di elettori. È quello che sta succedendo in numerosi comuni e che potrebbe ripetersi alla prossime politiche. Questo scenario evidenzia il vizio profondo, nascosto, dell’Italicum: elegge dei deputati liberi e indipendenti (art. 67) con un sistema di nomina attraverso le segreterie dei partiti. La nomina dispotica dei deputati non è la stessa cosa con un partito tradizionale strutturato e con un partito fondato su dubbiose procedure online coinvolgendo poche centinaio di persone.

  3. Il bipolarismo citato nell’articolo non è purtroppo costituito da un “polarismo” internamente omogeneo. In ogni polo (eccetto M5S) esistono decine di liste e partitini che altro non fanno che creare decine di altri poli che non permettono di definire tri-bipolare il sistema partitico in Italia con cosenguete in governabilità o stallo decisionale.

  4. Il bipolarismo citato nell’articolo non è purtroppo costituito da un “polarismo” internamente omogeneo. In ogni polo (eccetto M5S) esistono decine di liste e partitini che altro non fanno che creare decine di altri poli che non permettono di definire tri-bipolare il sistema partitico in Italia con conseguente ingovernabilità o stallo decisionale (e quindi inefficienza) o nel peggiore dei casi malaffare.

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