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Flessibilità, un dividendo a termine

Nel 2015 l’Italia ha beneficiato della flessibilità delle regole fiscali per rallentare il consolidamento dei conti pubblici. Unico paese che non ha centrato gli obiettivi sul deficit pubblico senza incorrere nelle sanzioni della Commissione. Trattamento speciale anche nelle ultime raccomandazioni.

L’abitudine a deviare

Le difficoltà in cui si trovano molti paesi dell’Unione Europea nel rispettare le regole del Patto di stabilità e crescita, insieme alla necessità di sostenere la debole ripresa del vecchio continente, hanno comportato un atteggiamento di maggiore flessibilità da parte delle autorità europee. Negli ultimi anni la politica di bilancio italiana ha così potuto beneficiare di un progressivo allentamento delle regole.
Il mancato rispetto delle regole è, per certi versi, diventato la regola stessa in molti stati dell’Unione. Tra i maggiori paesi dell’area, solo in Germania il fiscal compact ha trovato applicazione rigida e, anzi, la programmazione più recente evidenzia risultati attesi migliori rispetto a quanto prevedeva il Programma di stabilità appena successivo lo scoppio della crisi, tanto che ora la Commissione raccomanda alla Germania di peggiorare i propri saldi e spendere di più. Viceversa, come l’Italia, né la Spagna né la Francia sono mai riuscite a rispettare gli obiettivi, benché a differenza del nostro paese siano ancora soggette alla procedura per deficit eccessivi.
Dai grafici allegati si vede come la strategia di bilancio dei principali paesi europei, Germania esclusa, sia stata quella di posticipare progressivamente l’obiettivo ultimo del pareggio di bilancio, tanto che ormai Francia e Spagna nemmeno lo includono nell’orizzonte di programmazione.

Grafico 1 – La revisione degli obiettivi in Italia e in Europa – Indebitamento netto programmato in % del Pil. Programmi di Stabilità, anni vari

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Le ultime raccomandazioni della Commissione

Tavola 1 – Esito delle raccomandazioni della Commissione Ue

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Nell’ultima tornata di raccomandazioni sui Programmi di stabilità (vedi tavola), la valutazione finale della Commissione è negativa per molti paesi: per ben 14 stati su 27, tra cui Francia, Spagna e Portogallo, l’aspettativa è che le regole del Patto di stabilità e crescita non verranno rispettate, mentre tra quelli con una valutazione positiva, solo per sette si tratta di un sì deciso, mentre per gli altri sei la Commissione utilizza la formula “to broadly comply”, ovvero si attende un rispetto delle regole “in linea di massima”, e richiede esplicitamente che adottino misure fiscali integrative per avere maggiori garanzie sul raggiungimento degli obiettivi.
In questo quadro, per l’Italia si è configurata una situazione favorevole. È l’unico paese che ha potuto – e potrà – applicare le deroghe previste dai Patti, grazie alla realizzazione di riforme strutturali significative e di investimenti pubblici aggiuntivi. E anche nel 2016 ci sarà consentito deviare ancora rispetto al percorso di aggiustamento del deficit pubblico. Potrebbe aggiungersi una ulteriore deroga, per le spese sostenute nella crisi dei rifugiati, così come per Austria e Belgio, ma su questo punto la Commissione deve ancora decidere.
Per il 2017, nonostante il velo di incertezza (formalmente non è stata avallata la richiesta del nostro governo di deviare, e quindi attualmente anche l’Italia sarebbe un caso di non-compliance), la Commissione ci riserva un trattamento più soft: siamo infatti l’unico paese che probabilmente non rispetterà le regole cui la Commissione non solo non ha chiesto provvedimenti fiscali aggiuntivi, come ha già fatto con tutti gli altri, ma anzi ha deciso di rimandare la valutazione complessiva al prossimo autunno, una volta aggiornate le previsioni ed rese pubbliche le misure della legge di stabilità.

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Ma quanto durerà?

Se è vero che la strategia della ricontrattazione degli obiettivi finora si è rivelata efficace, i vari elementi di rischio sul piatto (recessione, deflazione, tensioni sui tassi d’interesse) fanno tuttora dell’Italia un sorvegliato speciale, anche in ragione dell’elevato stock di debito che ci rende particolarmente vulnerabili.
La relativa solidità delle finanze pubbliche italiane si confronta tuttora con serie difficoltà a imprimere al sistema una svolta in termini di crescita, che ci espongono a possibili momenti di tensione sui mercati e ci rendono dipendenti dalle decisioni della Banca centrale europea.
Se la fase più difficile del percorso di aggiustamento dei conti pubblici è stata completata, la finanza pubblica italiana resta vulnerabile rispetto a evoluzioni meno favorevoli dello scenario economico.

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Il Punto

  1. La Germania rispetta il fiscal compact ma non rispetta il parametro del 6%; con il surplus della bilancia dei pagamenti oltre il limite previsto tutto il resto viene automaticamente rispettato; dire che la Germania deve spendere è falso, la Germania deve essere sanzionata. Oggi abbiamo constatato che non siamo in presenza di una Avo endogena, si dovrà quindi intervenire, il principale problema è il surplus dei paesi nordici verso i paesi meridionali, abbiamo avuto uno spostamento di ricchezza dal sud al nord, al quale non è seguito nessun provvedimento di riequilibrio, anzi l’unico provvedimento automatico di equilibrio è stato impedito dal cambio fisso. La Germania invece di ritrasferite la ricchezza ha imposto la pratica dei compiti a casa propria, ossia lacrime e sangue.

  2. Henri Schmit

    Ottimo articolo controcorrente che osa evidenziare che sul piano normativo (le regole del fiscal compact) l’Italia gode di un trattamento preferenziale giustificato con un ambizioso piano di riforme, molto pubblicizzato. Sul piano dei risultati fiscali ed economici più importanti l’Italia delude invece: la crescita resta deludente, la disoccupazione preoccupante, la produttività misera e gli investimenti scarsi – per non parlare di debito e spesa. Gli investimenti pubblici avranno un impatto solo congiunturale mentre la leva principale cioè gli investimenti privati non partono: non è allora che le riforme sono in parte sbagliate e per il resto insufficienti? Ma se fosse così, il trattamento preferenziale è veramente meritato?

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