L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea preoccupa la Cina. Le prime conseguenze vanno dalla volatilità dei cambi alla perdita di un alleato per il riconoscimento dello status di economia di mercato. E si complicano le prospettive economiche del paese alle prese con una delicata transizione.
Gli affari tra Cina e Regno Unito
È prematuro pronunciarsi sulle conseguenze di una Brexit dai contorni ancora poco chiari. È però evidente che il voto del referendum britannico avrà effetti sui già incerti destini dell’economia globale e non sorprende che susciti preoccupazione anche a Pechino.
Nel breve periodo, l’impatto principale deriva dall’aumento della volatilità dei cambi tra le principali valute, che mal si concilia con la stabilità necessaria alla delicata transizione in corso nel paese asiatico. E a dominare il vertice del G20, quest’anno presieduto proprio dalla Cina, sarà la Brexit, in un clima di tensione ed emergenza che offuscherà i tentativi di Pechino di intessere nuove strategie e alleanze per rilanciare la crescita zoppicante del paese, promuovendo il China Dream, la New Silk Road e la neo-costituita Asian Infrastructure Investment Bank. Del resto, proprio il Regno Unito è stato il primo paese europeo a entrare nell’Aiib, trascinando con sé gli altri principali stati membri (tra cui l’Italia), e scatenando le ire degli Stati Uniti, contrari e ostili all’ingresso dei propri alleati occidentali.
Nel medio periodo, l’incertezza sul corso futuro del tasso di cambio della sterlina con le principali valute scompagina le carte della partita cinese per espandere la circolazione dello yuan in Europa. Nella City sono quotati oltre 70 dim sum bonds (titoli obbligazionari in yuan) e Londra ambisce a diventare la principale piazza europea per i capitali cinesi. Una calda accoglienza che ha una spiegazione semplice: gli investimenti finanziari cinesi servono a finanziare il pesante disavanzo britannico delle partite correnti (5,2 per cento del Pil nel 2015). Ma una sterlina più debole e più instabile rende la City meno attrattiva. E così anche il progetto di collegarla con il Shanghai Stock Exchange dall’inizio del 2017 rischia di rallentare.
Va anche ricordato che il Regno Unito è la seconda destinazione europea per gli investimenti diretti cinesi (16 per cento dei flussi cumulati di Ide dal 2003, dopo la Germania, al 37 per cento). Le grandi imprese manifatturiere – per esempio Saic, Geely e Ztc nell’automotive – considerano il Regno Unito come porta di ingresso all’Unione Europea, ma con la Brexit l’interesse diminuirà drasticamente.
Una porta per l’Europa
Sempre a medio-lungo termine, la Brexit complica le strategie economiche e commerciali della Cina con Bruxelles. Il 2015 ha segnato un nuovo record degli scambi commerciali bilaterali, aumentati significativamente negli ultimi anni e oggi superiori a mille miliardi di euro al giorno, e degli investimenti cinesi in Europa, prima destinazione al mondo. Investire in imprese europee consente d’instaurare relazioni produttive strategiche funzionali alla crescita tecnologica e manageriale delle imprese cinesi. Ma negli ultimi mesi sono aumentate rapidamente, soprattutto in Germania e Francia, le resistenze a quella che viene percepita come un’invasione cinese, e Pechino rischia di ritrovarsi orfano della sponda più liberista in Europa.
Anche per l’accordo di libero scambio e il trattato bilaterale sugli investimenti, fino a che non c’è chiarezza sulla Brexit e Bruxelles è impegnata in trattative complesse, poche sono le chance di concluderli. Sola e forse magra soddisfazione, rallenteranno anche le negoziazioni del Ttip – Transatlantic Trade and Investment Partnership (Partenariato transatlantico per il commercio e gli investimenti) – che Pechino vede come un’altra tessera, dopo il Tpp Trans-Pacific Partnership, nella strategia statunitense per definire le nuove regole della globalizzazione escludendo la Cina.
Stessa storia per quanto riguarda il riconoscimento dello status di economia di mercato, su cui il Parlamento europeo ha di recente emesso parere sfavorevole. L’unico stato membro a essere espressamente favorevole è il Regno Unito, mentre il cuore dell’Europa manifatturiera è invece più reticente, perché accusa Pechino di non adempiere all’impegno di soddisfare criteri minimi di concorrenza e indipendenza delle imprese dal potere politico. La spiegazione la offrono le ricerche che analizzano gli scambi come reti complesse di relazioni tra coppie di paesi con diversi ruoli e funzioni. Nei flussi commerciali tra Ue e Cina, il Regno Unito ha un ruolo periferico, al contrario di Germania, Francia e Italia che servono da hub in molti settori, sia low- sia high-tech.
Per la Cina, per la sua leadership ma anche per l’opinione pubblica, la Brexit non è semplice da comprendere, come del resto non è agevole capire le motivazioni del progetto comunitario. Ma in un mondo interdipendente sono sviluppi inattesi, che complicano le prospettive economiche per la principale economia mondiale, alle prese con un passaggio fondamentale del suo processo di crescita e sviluppo.
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