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L’Europa e la mela della discordia fiscale

La Commissione europea ha dichiarato illegittimo il regime fiscale applicato nello scorso decennio dall’Irlanda ad Apple. Se non si possono allineare i sistemi fiscali europei, serve almeno un coordinamento minimo sui regimi applicabili alle grandi imprese che operano su più mercati dell’Unione.

La contestazione è all’Irlanda

La Commissione europea ha preso posizione sul regime fiscale applicato nello scorso decennio ad Apple da parte del fisco irlandese e ha statuito la sua illegittimità. Non è, quindi, Apple ad aver violato alcunché, ma l’Irlanda ad aver adottato un regime che si è tradotto in un aiuto di Stato – illegittimo – a quest’ultima (con lo scopo sottostante di rendere la localizzazione di Apple in Irlanda più appetibile di quella in altri paesi Ue).
Consegue che non c’è nessuna contestazione a carico di Apple, ma l’Irlanda viene obbligata a recuperare (con interessi) il trattamento di favore applicato. Malcontati, fanno almeno 16 miliardi di euro.
La presa di posizione della Commissione europea è coraggiosa sul piano politico perché si cimenta con fatti reali ed evidenti (insignificanti pagamenti di imposte in ambito Ue, pur con visibile ricchezza ivi generata), ma è piuttosto discutibile sul piano procedurale. Non viene contestata all’Irlanda una legge in contrasto con le norme europee, ma un ruling, cioè un atto amministrativo, in sé e per sé pienamente legittimo e frutto di norme organizzative interne al mero funzionamento del fisco irlandese. Il ruling in questione, da quel che si capisce dal comunicato emesso (il testo completo del deliberato non è stato ancora reso noto), riconosce come deducibili – cioè idonei a ridurre la base imponibile – gli importi attribuiti a un (non meglio identificato) “ufficio centrale” non irlandese per attività di ricerca e sviluppo che questi sarebbe impegnato a effettuare. Sennonché la Commissione, investigando il contenuto di questo “ufficio centrale”, ha verificato che non aveva strutture sufficienti a realizzare le dette ricerche e sviluppi. L’importo così attribuito non corrispondeva, dunque, al beneficio effettivamente apportato ad Apple Irlanda dall’attività dell’“ufficio centrale” ed esso non poteva, conseguentemente, ridurre la base imponibile irlandese. Insomma, si può ben dire che la Commissione ha proceduto a un’attività di accertamento fiscale tipica delle amministrazioni tributarie nazionali. Ma, estremizzando, è come se la Commissione Ue si fosse arrogata il diritto di dire se una licenza edilizia è stata correttamente rilasciata (se l’autorizzazione altera la concorrenza nel mercato edilizio). Il dubbio se i poteri di intervento della Commissione siano davvero così penetranti, onestamente, sorge.
Significativo è, però, il messaggio collaterale aggiunto: l’ammontare dovuto all’Irlanda potrà essere ridotto in funzione degli importi che potranno essere richiesti da “altre” amministrazioni tributarie Ue. La Commissione, cioè, non prende posizione circa la localizzazione del profitto realizzato da Apple, e cioè se debba intendersi realizzato tutto in Irlanda o parte in Irlanda e parte in altri paesi dell’Unione. Afferma solo che su detto profitto Apple avrebbe dovuto pagare l’aliquota irlandese ordinaria, vale a dire il 12,5 per cento e non lo 0,0025 per cento come in alcuni periodi è avvenuto. Se poi altri paesi Ue rivendicheranno qualche ulteriore importo nella considerazione che parte del reddito – attualmente attribuito all’Irlanda – avrebbe dovuto essere attribuito a essi, la base imponibile irlandese andrà semplicemente ridotta in corrispondenza. Il che vuol dire meno imponibile irlandese (al 12,5 per cento) e maggior imponibile nel paese in questione (se fosse l’Italia, al 27,5 per cento o alla maggior aliquota all’epoca vigente).

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Da dove iniziare

Che lezione trarre da questa vicenda? Credo si debba prendere atto che la liberalizzazione di movimento della ricchezza immateriale – titoli o tecnologie che essa sia – obbliga a coordinare o addirittura allineare i sistemi fiscali europei (oggi coordinati solo sull’imposizione indiretta). Se non si va su questa strada, la concorrenza fra Stati non può che portare a disastrose politiche iperconcorrenziali che si risolvono – attesa la necessità di incassare tributi – in tendenziali esenzioni dei redditi d’impresa, sostituendo il relativo gettito con maggiori prelievi sui redditi di lavoro e sui consumi.
Ma se la via maestra appare oggi troppo impervia e lontana, si può almeno cominciare con un coordinamento minimo sui regimi applicabili alle grandi imprese che operano su più mercati europei: attraverso metodologie di determinazione del reddito comuni (pur mantenendo le aliquote proprie di ciascun paese); la definizione della quota di base imponibile attribuibile a ciascuno Stato in base a criteri proporzionali e la creazione di un organismo comune designato alle attività di accertamento e monitoraggio dell’impresa in questione.

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  1. giovane arrabbiato

    Andiamo a toccare il Lussemburgo? Oppure i vari territori britannici (ok ora escono) tipo Gibilterra, Guernsey, Isle of Man, tutte entità la cui esistenza è soltanto votata all’evasione fiscale.

    • SpeculaThor

      Lussemburgo ? MA il padre padrone di quel Paradiso Fiscale Legalizzato è JUNKER nominato dai nostri Capi di Governo Democratici (?) a Capo della Commissione Europea. Anche lui stipulò Contratti Ad Hoc con le Multinazionali (ormai Comandano Loro : ed anche la Guerra Ue vs Tesoro Usa è tra 2 Lobby x interposta persona) ma poi han messo tutto a tacere. Non escluderei che in futuro vista la Guerra in corso Qualche Manina Lasciasse RiEmergere qualche Rilevazione Esplosiva. Mentre lassù si picchiano il Ceto Medio Occidentale Continuerà a Pagar da Solo il WellFare cioè a Sparire.

    • Emanuele

      Come spesso accade, il “benaltrismo” è fuori luogo. Ci sono infatti indagini e procedimenti verso moltissimi paesi (il Lussemburgo è stato il primo, peraltro), basta informarsi correttamente alla fonte.

  2. Henri Schmit

    Giustissimo: allineare le regole di calcolo e di attribuzione dell’utile societario, ma non le aliquote. Purtroppo la conseguenza sarà una competizione ancora più dura perché più trasparente, che porta a quello che l’autore teme, l’inevitabile spostamento sulla tassazione del lavoro (altra concorrenza in vista, cf. delocalizzazione), del consumo e (dimenticato dall’autore) della proprietà immobiliare (dove la concerranza internazionale esiste pure ma in misura meno sentita, tanto che abitanti, lavoratori, consumatori inclusi turisti non scappano). Il messaggio più importante dovrebbe essere un altro: Attenti alla concorrenza interna all’UE! A prescindere dagli atti sleali giustamente sanzionati dalla Commissione la concorrenza ci sarà in TUTTI i campi e i paesi inefficienti saranno inevitabilmente i perdenti.

  3. Henri Schmit

    Segnalo un commento molto critico della decisione Apple della Commissione UE sull’ultimo numero dell’Economist. La concorrenza fiscale sarà intra-UE e extra-UE. Inutili, anzi nocivi agli interessi del paese i moralismi di altri commenti. Le uniche armi contro gli abusi fiscali internazionali sono la trasparenza ovunque e l’efficienza a casa propria.

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