I terreni dell’Expo di Milano dovevano essere venduti realizzando una ricca plusvalenza a beneficio dei contribuenti. Non se ne è fatto nulla e, dopo ipotesi varie e fantasiose, si è deciso per il progetto di un grande centro di ricerca scientifica per la salute. Ma ne vale la spesa?
Che Expo sia stato un grande successo lo affermano i promotori, anche se le analisi indipendenti sono molto più caute, come in generale sono caute le analisi ex-post di eventi di questo tipo. Ma assumiamo provvisoriamente che sia stato realmente un successo.
Vediamo anche la vivace diatriba sui conti della società Expo, che ha curato la realizzazione della manifestazione. Anche qui assumiamo che siano in pareggio, come dichiarato dai promotori. Cioè che su questo versante non vi siano stati costi per i contribuenti.
La linea d’ombra
Tuttavia rimane una amplissima zona opaca, sulla quale nulla è dato sapere. Accanto ai costi propri della società Expo, vi sono tre altre voci di costo molto rilevanti: quelli della piastra attrezzata su cui Expo ha avuto luogo (sembra una settantina di milioni), quelli dei terreni (160 milioni, sui quali torneremo), ma soprattutto quelli delle infrastrutture, che in una stima iniziale erano di gran lunga i più rilevanti, ammontando a 9 miliardi circa. Probabilmente ne è stata spesa solo una parte, ma nulla è dato sapere. Una petizione a questo fine di una decina di studiosi, pubblicata su Arcipelago, giornale web milanese, non ha avuto alcuna risposta. I costi propri della società Expo risultano modesti rispetto a questa cifra e sull’efficienza delle infrastrutture realizzate sono legittimi fortissimi dubbi.
Ma torniamo al dopo-Expo e alla vicenda dei terreni. Il piano economico iniziale prevedeva che fossero in parte dedicati a un grande parco, in parte edificati a uso privato. Infatti era prevista la rivendita di tali terreni resi edificabili realizzando una rilevante plusvalenza: si parla di un prezzo di alienazione di 300 milioni sui 160 di costo. Costo di acquisto che era risultato rilevantissimo, a favore dei proprietari privati, in relazione al precedente uso agricolo dei terreni stessi (la vicenda fu molto chiacchierata, a suo tempo). Ma se tali soldi fossero stati recuperati con profitto, almeno i contribuenti non sarebbero stati danneggiati, anzi.
Tuttavia l’asta andò deserta né, si badi, sembra vi siano state contrattazioni successive al ribasso, al fine di recuperare almeno parte di quei soldi. Apparentemente la disponibilità pubblica di quei terreni fece tutti contenti, esclusi gli ignari contribuenti che li avevano pagati nell’implicita ipotesi di recuperarli.
Dal cilindro salta fuori Human technopole
Rimaneva tuttavia aperto il problema di che fare dell’area. Si sono nel tempo susseguite una serie di ipotesi, ed è stato anche promosso un concorso di idee, apparentemente senza esito. Si sono fatte ipotesi di strutture sportive o universitarie, poi di uso provvisorio per ospitare migranti, e molte altre. Il tutto senza esito.
È intervenuto salvificamente il governo, promettendo di realizzarvi, con ingenti investimenti sia iniziali che per l’esercizio, un centro di ricerca dedicato alle scienze per la salute, nominato Human technopole. Che, si badi, all’inizio doveva essere gestito da una importante e collaudata struttura di ricerca genovese. Scelta un po’ curiosa, data la vastità e il rilievo di molti istituti accademici milanesi impegnati con successo nello stesso settore. In ogni caso, questo nuovo complesso di edifici (perché di questo per ora sostanzialmente si tratta) coprirebbe una parte ridotta dell’area, anche se di grande parco non si sente attualmente più parlare.
Ma l’innovazione nasce anche nei garage
Immediatamente è stato fatto notare da fonte autorevolissima – la senatrice a vita Elena Cattaneo con una lettera al Corriere della Sera – che la disponibilità di spazi fisici è scarsamente rilevante per far avanzare la ricerca tecnico-scientifica, della quale il nostro paese ha disperatamente bisogno. Basti ricordare, per farsi un’idea della scarsa rilevanza della qualità degli spazi fisici, i garage in cui sono nate le principali innovazioni informatiche del secolo scorso.
Inoltre Milano abbonda di edifici e spazi inutilizzati, a volte nelle stesse strutture universitarie.Come valutare allora questa ulteriore spesa di (scarsi) denari pubblici dal punto dell’utilizzazione dell’area Expo? Sarebbe necessario, e opportuno, fare una analisi costi-benefici rispetto a localizzazioni alternative. La contiguità fisica di ricercatori di alto livello è sicuramente un fattore importante, ma solo come bacino di forza lavoro. E l’esempio della Silicon Valley è rilevante. Ma la contiguità è significativa a livello di residenze, la Silicon Valley si estende su un’area molto maggiore di quella di Milano. Lo stesso vale per altre “concentrazioni di cervelli”, come Boston o Cambridge. Esistono su realtà urbane articolate e attrezzate, e hanno strutture multidisciplinari oggi importanti per i fenomeni noti come cross-fertilization della ricerca scientifica più recente.
L’operazione in corso di riutilizzazione dell’area Expo suona molto come una accelerazione non del tutto meditata per evitare di rendere clamorosa la mancata, e promessa, vendita dei terreni per recuperare fondi pubblici. Peccato che questa operazione sia fatta spendendone altri.
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bob
Milano dovrebbe ritornare ad essere la città di sostanza invece che la città di fuffa. Perchè di nebulosa fuffa parliamo…..del già dimenticato Luna Park Expo
Andrea
Si la Silicon Valley é decisamente rilevante visto che il Pil della California vale quello dell’Italia anzi lo supera 2,2 trilioni contro 2,15.
Henri Schmit
Riassumo l’interessante intervento dell’autorevole autore: 1. Non si conoscono a un anno dalla chiusura i conti (costi) dell’expo (benché il suo presidente sia stato eletto nel frattempo sindaco della città). 2. Non si sa cge cosa fare con gli spazi bonificati e urbanizzati resi disponibili; le proposte che circolano assomigliano ai soliti progetti campati per aria probabilmente per qualche interesse occulto. Che tristezza! Che incapacità di un paese che si era candidato ad ospitare i GO 2024 e una città che dopo la Brexit si è pateticamente illusa di poter attrarre una parte degli investimenti che nel futuro probabilmente non si faranno più in UK. Il piano i4.0 servirà a meno se manca la base, l’hard investment, industria, servizi, infrastrutture.