Nella scuola italiana le bocciature sono rare, almeno fino all’istruzione secondaria. Ora si prepara una legge che le vieti del tutto. Ripetere l’anno comporta benefici e costi, a partire dal rischio abbandono. Meglio forse la personalizzazione dei percorsi di studio, ma richiede risorse.
Divieto di bocciare?
Il ricorso alla bocciatura, diffuso fino agli anni Sessanta e Settanta nelle scuole di molti paesi avanzati, si è nel corso del tempo ridotto. In Italia, i dati del ministero dell’Istruzione per l’anno scolastico 2015-16 dicono che la non ammissione all’anno successivo, da evento eccezionale qual è alle scuole elementari, diventa rara alle medie (circa il 4 per cento degli studenti). Alle scuole superiori, però, la percentuale di chi ripete l’anno subisce un forte incremento: 12,4 per cento negli istituti professionali, 9,8 per cento negli istituti tecnici e 4,3 per cento nei licei. Sembrerebbe, quindi, che dal 1967 di “Lettera ad una professoressa” il ricorso alla bocciatura si sia spostato dall’inizio del percorso formativo alla sua fase conclusiva. Tuttavia, come mostra un documento dell’Ocse, adesso come allora, sono gli studenti provenienti da un contesto familiare e sociale svantaggiato a esserne maggiormente colpiti. La frase di don Milani “Voi dite d’aver bocciato i cretini e gli svogliati. Allora sostenete che Dio fa nascere i cretini e gli svogliati nelle case dei poveri (…)” merita ancora la nostra riflessione. Forse anche in base a considerazioni di questa natura, il governo vuole ora intervenire: è atteso un disegno di legge secondo cui a partire dal prossimo anno scolastico gli studenti della scuola primaria non potranno più essere bocciati e quelli delle scuole medie lo potranno essere solo in casi eccezionali. Sono previsti anche cambiamenti per le scuole superiori ed è evidente che sarebbero questi a segnare un passo decisivo.
Ripetere l’anno: costi e benefici
Ma cosa dovremmo aspettarci da un simile intervento? Far ripetere l’anno scolastico è costoso sia a causa della maggiore spesa che ne deriva (più studenti a cui fornire servizi) sia in termini di mancati guadagni (gli studenti entreranno più tardi sul mercato del lavoro). È importante quindi cercare di capire se e quando la bocciatura genera benefici tali da compensarne i costi. Secondo molti psicologi e pedagogisti ripetere l’anno scolastico non produce alcun effetto positivo e aumenta invece la probabilità di abbandono. Ciò perché la bocciatura influenza in maniera negativa non solo la percezione che gli studenti hanno di sé stessi, ma anche quella che di loro hanno genitori e insegnanti. Una minore autostima e basse aspettative da parte dell’ambiente circostante si ripercuotono negativamente sui risultati scolastici, già sfavorevolmente influenzati dal costo di doversi adattare a nuovi compagni e insegnati. Una visione differente, invece, considera la bocciatura come un’occasione per colmare le lacune dello studente, permettendogli così di seguire con profitto il programma dell’anno successivo. Non solo, i nuovi insegnanti e il nuovo contesto scolastico potrebbero rivelarsi più consoni all’allievo. Infine, temendo di essere bocciati, gli studenti potrebbero impegnarsi di più nello studio. Le ricerche empiriche che cercano di dirimere la questione sono copiose, ma molte soffrono di problemi metodologici che ne indeboliscono i risultati. Solo recentemente alcuni studi hanno adottato tecniche più rigorose per comprendere l’effetto prodotto dalla bocciatura sui successivi risultati scolastici. Alcuni si basano sull’esperienza degli Stati Uniti che dopo anni di “social promotion” hanno avviato politiche più selettive. I risultati mostrano che se bisogna bocciare è meglio farlo prima: mentre gli studenti bocciati in terza elementare migliorano successivamente i propri risultati scolastici, quelli bocciati in terza media (8th grade) vedono ridursi la probabilità di concludere le scuole superiori. Un effetto negativo per gli studenti che frequentano la scuola secondaria di primo grado viene riscontrato anche da un studio su dati dell’Uruguay. Pur trattandosi di studi rigorosi, sarebbe incauto utilizzarne i risultati (è pur sempre evidenza limitata a pochi paesi) per trarre conclusioni generali. Tanto più che andrebbero anche considerati gli effetti su altre variabili (ad esempio criminalità) non meno importanti dei risultati scolastici. Nonostante ciò, se si pensa che la bocciatura debba servire a colmare lacune, rimandarla a quando sarà troppo tardi affinché quel recupero possa realizzarsi sembra più che altro un modo per zittire le coscienze. Le conoscenze non possono progredire senza buone fondamenta. Non solo, lo studente potrebbe abbandonare il sistema scolastico rinunciando a ogni possibilità di recupero e il rischio aumenta con l’età. D’altra parte, l’esperienza di una bocciatura può essere traumatica per un bambino. Allora è forse necessario cambiare completamente approccio e ragionare non più in termini di promossi o bocciati, ma di diversi tempi di apprendimento. È quello che si fa in paesi come la Finlandia. È possibile anche in Italia? Non ho una risposta, personalizzare i percorsi di studio richiede risorse, ma senza un investimento sugli studenti più deboli, promuoverli sarà solo un modo per guardare altrove, una strada che potrebbe portare a un ulteriore impoverimento del nostro capitale umano.
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stefano bargiacchi
Concordo pienamente!
Il punto non è la bocciatura in se quanto gli effetti sociali che la bocciatura comporta.
Lo studente ripetente e le persone a lui vicine, salvo rari casi, non vedono la bocciatura come un’occasione da cui ripartire, come un modo per colmare le lacune che gli hanno impedito di superare l’anno ma come un marchio che ne certifica la stupidità e l’inadeguatezza. Il problema è che quasi sempre vi è uno iato enorme tra le ragioni che portano a bocciare uno studente, spesso con qualche anno di ritardo rispetto al necessario e gli effetti che la bocciatura comporta. Sarebbero i professori coloro che dovrebbero colmare questo iato spiegando a tutti le ragioni della bocciatura e come provare a gestirla. Ovviamente ciò non riesce quasi mai. In ogni caso tutti i nodi vengono al pettine all’università, sono convinto che l’elevato numero di abbandoni e di studenti fuori corso sia attribuibile in misura rilevante (ovviamente non esclusiva) alle lacune mai colmate dagli studenti nel corso del proprio percorso formativo.
Lo scontro non dovrebbe essere tra il bocciare o il non bocciare ma su come “bocciare bene”.
Giuseppe Terruzzi
Pienamente d’accordo
Riccardo
Contestualizzare studi su popolazioni come la Finlandia secondo me non è corretto. Siamo una nazione con cultura e storia profondamente diversa dalla loro. Lavoro nella scuola ed ora l’unico che trova giovamento dalla “non bocciatura” è lo Stato che riesce a calcolare meglio il fabbisogno di docenti e classi per l’anno successivo ed i genitori che in questo modo considereranno ancor di più la scuola un parcheggio. Se un ragazzo di 14 anni “non” vuole studiare per quale motivo non dovrebbe essere penalizzato? Alla fine del percorso scolastico cosa avrà imparato? Nulla, come non avrà capito il valore sociale che si spende per lui. Nei decenni addietro dove le bocciature erano più frequenti abbiamo costruito diplomati e laureati che al momento stiamo ancora “esportando”, la Finlandia sta esportando ragazzi portentosi? Sarebbe interessante conoscerlo.
Giuseppe Terruzzi
Differenziare i percorsi educativi sarebbe certamente meglio che “bocciare”. Alle superiori la bocciatura è l’invito/obbligo a ripetere tutte le materie, anche quelle in cui si è stati valutati con sufficienza. E’ necessario superare questo sistema – costoso – e adottare il sistema anglosassone, che permette di ripetere solo i corsi in cui si è fallito. Ma quando verrà il giorno in cui un governo credibile proporrà seriamente la sostituzione dei curricoli rigidi con curricoli flessibili? Sembra che sia un tabù solo parlarne.
luca
La progressiva e costante diminuzione dei bocciati è un processo – credo – inarrestabile, voluto dalle famiglie e sempre più sostenuto dalla normativa. Nelle mie classi di liceo trovo sempre più spesso alunni che in altri tempi non sarebbero arrivati sin lì: cerco di adeguare il mio insegnamento alle loro esigenze nella convinzione che anche per loro un miglioramento sia sempre possibile; e in effetti solitamente è così, anche se spesso non vengono raggiunti i cosiddetti “obbiettivi minimi”. Quindi, meglio portare avanti ragazzi che l’opinione comune definisce “asini”, perché il tentativo di motivarli allo studio con la minaccia della bocciatura è fallimentare e la selezione porterebbe vantaggio solo a chi in vantaggio lo è già. (Forse è giunto il momento di sostituire i diplomi con certificati che attestino il livello effettivamente raggiunto, qualunque sia). La conseguenza di una simile impostazione – ripeto, in parte già in vigore e irreversibile – è una didattica che tenga conto delle forti disomogeneità. La mia esperienza dice che funziona, se i ragazzi in classe sono in numero adeguato; quindi se si impegnano risorse sufficienti. Attualmente nella mia scuola le classi sono spesso di 30 o più alunni, raramente meno di 25; in Lombardia, nonostante i proclami “antisupplentite”, gli insegnanti sono stati nominati con forti ritardi; la possibilità di compresenze è costosa, quindi rarissima. Senza risorse, sostituite da un bonus di tanto in tanto, la Finlandia rimane lontana!
luca
Aggiungo una precisazione: adeguare il mio insegnamento non significa abbassare i livelli, ma individualizzare gli interventi. La cosa è possibile, a patto che le risorse (umane, strutturali, economiche) non vengano meno. Questo è il vero pericolo!
Max
La selezione e la bocciatura è utile. Che messaggio si darebbe agli studenti che si applicano se coloro che disturbano e impediscono le lezioni venissero promossi? Stare attenti e studiare è uno sforzo, a tutti piacerebbe dormire in aula e avere i titoli e magari prendere un posto di lavoro senza fare nulla!. Almeno nella scuola, finchè sono giovani, cerchiamo di dare il senso della meritocrazia: il piu’ bravo va avanti, il somaro e lo svogliato vanno via e fanno dell’altro per cui sono piu’ portati ! Non è obbligatorio studiare, ma se lo fai, lo fai seriamente. I ragazzi che escono oggi dall’Università sono dei veri asini con i voti alti: un tempo si diceva che erano solo quelli del sud Italia, oggi l’Italia è unita da nord a sud. A ritroso, all’Università arrivano ragazzi con grosse lacune; alle superiori hanno problemi di comportamento e concentrazione. Alle medie non ne parliamo e alle elementari, salvo rari casi, si accontentano i genitori con 9 e 10 a tutti, così credono di aver dei geni come figli. Stiamo creando il declino della società italiana: giovani con i titoli, voti alti, bassa reale conoscenza, viziati, in una epoca in cui i giovani hanno a disposizione strumenti di sapere potenti che le generazioni precedenti non avevano. E poi l’ipocrisia per cui il ragazzo normale si deve adeguare al prigro della classe o all’handicappato, risorsa per il paese Italia su cui investire, abbassando il livello di tutta la classe e licenziando spesso mediocri ragazzi
luca
Evitare la bocciatura non implica tutte le conseguenze nefaste paventate. Per esempio ci sono mezzi diversi dalla bocciatura per evitare ai pochi prepotenti di disturbare il resto della classe. Togliere di torno “somari e svogliati” non è comunque praticabile, con le norme attuali. Nella maggior parte dei casi i ragazzi così definiti accettano la collaborazione, se si attua una didattica che lo consenta (per la quale servono risorse). Concordo sull’ultima affermazione (il “normale” non si deve adattare al “pigro”), ma le assicuro che è un obbiettivo perseguibile con metodi meno drastici!
bob
“..I ragazzi che escono oggi dall’Università sono dei veri asini con i voti alti: un tempo si diceva che erano solo quelli del sud Italia, oggi l’Italia è unita da nord a sud…”. Una volta in territori come il Veneto e Trentino per non dire anche il Piemonte il 60% delle persone era analfabeta. La scuola è stata adattata alle esigenza di “creare posti” e su questo concetto si muove. Basta guardare l’assurda riforma dei Licei con la divisione in tante inutili “facoltà” ( liceo scienze applicate, liceo umanistico, etc etc) disperdendo o eliminando ore di lezioni che sono alla base di una preparazione liceale per l’ Università . Il ministro delle Riforme con le corma in testa che parlava del ” dialetto nelle scuole” o la mamma di Treviso che sosteneva testuale ” … a mio figlio l’italiano non interessa basta che saprà l’inglese e il computer..”. Il brodo popolare e popolino è questo ……….e su questo inzuppa la pagnotta il furbo di turno
Francesca
Significherebbe aggiungere discriminazione ad altra discriminazione e creare un gap ancora più ampio. Il problema sta alla base: non esistono geni innati e persone più o meno portate. La questione non è bocciare si o bocciare no ma trovare un metodo (e risorse) che permettano percorsi di studi a velocità parallele.
Giovane Arrabbiato
Geniale, la ”scuola del merito”.
Cosi tutti gli studenti che si fanno il mazzo, come se lo è fatto il sottoscritto, si dovranno sopportare gente che va a scuola per ”cazzeggiare”, far confusione, disturbare se non peggio.
Ma si dai, danneggiamo chi si impegna e diamo 1,2,3 mani a chi non ha voglia di far niente.
”Progresso” di un paese diretto verso il baratro.
Francesca
Significherebbe aggiungere discriminazione ad altra discriminazione e creare un gap ancora più ampio. Il problema sta alla base: non esistono geni innati e persone più o meno portate. La questione non è bocciare si o bocciare no ma trovare un metodo (e risorse) che permettano percorsi di studi a velocità parallele.
Markus Cirone
Da tempo penso che preferirei insegnare in una scuola dove l’alunno non viene nè promosso nè bocciato: ha diritto a 13 anni di scuola, ne può ripetere alcuni se vuole, ma almeno alla fine gli metto il voto vero che si merita, e se non supera l’esame finale riceve un attestato di frequenza. L’attuale promozione con il voto di consiglio, che trasforma i 3 e i 4 in 6 nemmeno fosse ostia consacrata, è, almeno moralmente, un falso in atto pubblico..
Francesca
Il mondo degli unicorni in cui una vera meritocrazia esiste è simile a quello appena descritto. Bocciare e pluribocciare non è la soluzione. Basterebbe conoscere chi ha subito una serie di bocciature e comprendere le difficoltà che incontra per capire che questa non è la soluzione adeguata. Dare merito al talento ma non significa necessariamente affossare e mutilare chi ha difficolta
Alberto
Qual è lo scopo della scuola ? Se formare, a quale scopo ? A quale livello ? I futuri lavoratori, dirigenti dovranno confrontarsi e competere, non con i loro connazionali, ma con quelli severamente selezionati di altre nazioni (GB, Cina, Germania, Corea del sud, Giappone, Israele…) che pongono la formazione e la competizione economica come il traguardo principale da conseguire. Lezioni continuamente interrotte da alunni svogliati che distraggono gli altri facendo innervosire gli insegnanti ? Fare delle sezioni per volenterosi e altre per chi lo è meno. Non si deve lasciare indietro nessuno ma non si deve neppure evitare ai più veloci di correre al livello di cui sono capaci.
Francesca
Significherebbe aggiungere discriminazione ad altra discriminazione e creare un gap ancora più ampio. Il problema sta alla base: non esistono geni innati e persone più o meno portate. La questione non è bocciare si o bocciare no ma trovare un metodo (e risorse) che permettano percorsi di studi a velocità parallele.
Luca
Discriminazione ? Oramai per una questione di politically correct, si abusa impropriamente di questo termine. Non consentire di studiare ad un ragazzo in quanto appartenente ad una etnia è discriminazione, ma consentire a chi ha voglia di fare, ai più responsabili e perché no, anche capaci di volare non lo è affatto. Non mi venga poi a dire che le persone adolescenti o adulte con le quali mi relaziono ogni giorno, sono tutte ugualmente portate alle studio, ugualmente intelligenti o ugualmente portate per le attività sportive. Partire dal presupposto che tutti vogliano approfondire l’apprendimento allo stesso modo o che siano ugualmente curiosi non solo sbagliato ma anche assurdo. Il mondo bisogna accettarlo per quello che è, non per quello che si vorrebbe che fosse. Interrompere costantemente lo svolgimento di una lezione dal Pierino di turno è solo maleducazione e mancanza di disciplina che crea danno agli altri e le esigenze dei più contano più delle esigenze dei pochi.
luca
Fuga dei cervelli. Fenomeno ampiamente commentato e documentato. Provengono da scuole italiane ed evidentemente sono molto competitivi; sono anche tanti. Forse il danno fatto da svogliati (o semplicemente meno dotati) al resto delle classi è meno grave di quanto sembra!
Alberto
La invito a vedere questo video : http://www.truenumbers.it/fuga-di-cervelli/
Markus Cirone
Tanto esatto nei dettagli numerici quanto fuori tema. La fuga dei cervelli è una cosa, l’emigrazione un’altra. E poi la fuga dei cervelli non è iniziata con la crisi, ma molto prima.