Il regolamento sul sistema nazionale di valutazione per istruzione e formazione varato dal Governo si focalizza sull’intervento migliorativo a livello di singola scuola. È però necessario realizzare tutte le quattro fasi previste dal procedimento e in particolare rispettare il nesso tra autovalutazione e valutazione esterna. Si limitano così i rischi di inutilità o di adempimento insiti nel processo. Ma tutto ciò richiede risorse umane e organizzative adeguate, stabili e legittimate, negli istituti come negli apporti che dovrebbero arrivare dal ministero o dall’Invalsi.

Lo Schema di regolamento sul sistema nazionale di valutazione in materia di istruzione e formazione, approvato dal Consiglio dei ministri ad agosto, indica nell’autovalutazione delle “singole istituzioni scolastiche e formative” uno dei cardini di quello che il Regolamento definisce – all’articolo 6 – il “procedimento di valutazione”.

AUTOVALUTAZIONE PER MIGLIORARSI

L’autovalutazione di istituto è la prima fase di questo “procedimento”, seguita dalla “valutazione esterna”, dalle “azioni di miglioramento” e dalla “rendicontazione sociale”. È evidente da questa impostazione il fatto che, salvo qualche ambivalenza rispetto alle ricadute sulla dirigenza, l’operazione valutativa disegnata dal Governo ha comefuoco l’intervento migliorativo a livello di singola scuola (e non, ad esempio, la comparazione a fini di produzione di ranking); in questa cornice, la collocazione della autovalutazione nella prima fase del “procedimento” ne evidenzia il suo essere la base – intesa sia come “punto di partenza” sia come “fondamento” – della valutazione di istituto. In Italia, essa ha una tradizione almeno ventennale (anche se mancano numeri affidabili circa la sua effettiva diffusione), originata prevalentemente dalla autonoma iniziativa di singole scuole o reti di istituti (con una operazione di fatto volontaria) anche se non mancano esperienze (rare) di natura istituzionale (ad esempio nella provincia autonoma di Trento, dove l’autovalutazione è normativamente prevista dai primi anni Novanta). In quanto auto, l’autovalutazione si caratterizza – nella sua versione più pura – per la attribuzione al singolo istituto della definizione dell’impianto di valutazione (quasi sempre basato su indicatori), della sua applicazione (raccogliendo dati e informazioni attraverso questionari, interviste, incontri, analisi di documenti e archivi esistenti) e della analisi e interpretazione dei risultati. Questo schema ovviamente varia nel caso delle esperienze istituzionali, ove solo le ultime due attività sono di competenza della singola scuola e all’interno di regole e modelli definiti dall’esterno. È a questa versione – istituzionale e quindi obbligatoria – che punta il regolamento. A tale proposito, l’esperienza anche internazionale degli ultimi 25 anni (dal progetto Isip del 1987 passando per il progetto Evaluating School Education del 2003) ha evidenziato come, fermo restando la sua caratterizzazione di “opportunità di riflessione sistematica da parte dei soggetti interni ad una scuola sulle pratiche professionali esistenti, primo passo di un percorso di miglioramento” (Castoldi, 2012), sia necessario introdurre nella autovalutazione elementi esterni a essa che ne limitino i rischi di debolezza metodologica, mancanza di significato e sostanziale inutilità. Va ricordato comunque che esistono approcci diversi per fare autovalutazione (ad esempio, secondo Scheerens, 1996: soddisfazione del cliente; diagnosi organizzativa; autoanalisi di istituto; bilancio sociale; controllo degli esiti formativi) e che quindi su questo punto va fatta una scelta; che la dimensione della comparazione è cruciale anche nella autovalutazione (e occorre pertanto porsi il problema del “con che cosa comparare” le evidenze di singolo istituto nel tempo); che per fare valutazione è necessario disporre di adeguate risorse organizzative e di competenza; che, soprattutto, la componente qualificante dell’autovalutazione è la già richiamata attività di lettura, analisi e interpretazione dei dati e delle informazioni, volta a individuare le cause e le relazioni tra le evidenze osservate al fine di indicare interventi di miglioramento e valorizzazione.

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NECESSARIE RISORSE E COMPETENZE

L’ultimo passaggio permette di collocare nella giusta prospettiva quanto scritto nel regolamento circa la autovalutazione e di tratteggiarne anche i punti di attenzione. Innanzitutto, le quattro fasi previste dal “procedimento” sono da realizzare tutte in quanto solo questa opzione (e in particolare il nesso tra autovalutazione e valutazione esterna) dà completezza e solidità alla valutazione. In secondo luogo, il riferimento congiunto, nella autovalutazione, ad ambiti valutativi decisi dalla singola scuola e ad ambiti definiti da soggetti esterni (il ministero e l’Invalsi) permette alla singola scuola di concentrarsi sulla analisi e lettura critica dei dati (e sui conseguenti interventi) riducendo il rischio di identificare la valutazione con la sola operazione, comunque metodologicamente delicata, di raccolta e organizzazione dei dati e delle informazioni. Inoltre, terzo punto, la adozione di un “quadro di riferimento” comune ed esplicito per la predisposizione del rapporto di autovalutazione è funzionale alla produzione di report adeguatamente documentati e argomentati. Infine, la “formulazione di un piano di miglioramento” di singola scuola, derivante dagli esiti della autovalutazione, dà concretezza alla ragione per la quale la si realizza ma al tempo stesso ne definisce il campo di intervento. Questo impianto – se applicato integralmente – potrebbe limitare i rischi di inutilità o di adempimento insiti nella autovalutazione. Tuttavia, ci sono alcune condizioni da rispettare. Innanzitutto la solidità e la credibilità (a livello sia scientifico che politico) delle ipotesi sulle quali si basano le diverse componenti, in particolare quelle esterne, dell’autovalutazione. In secondo luogo, la necessità di conciliare, nelle pratiche concrete, il fatto che nella autovalutazione sono altrettanto cruciali la produzione di dati ed evidenze valutative ma anche il loro processo di produzione e analisi (il quale, per essere efficace, è necessario che sia partecipato e competente). Infine, proprio a proposito di questo ultimo accenno, la autovalutazione richiede adeguate risorse umane e organizzative, stabili e legittimate così come ne richiedono gli apporti che ad essa è previsto arrivino dal ministero o dall’Invalsi. Le esperienze dei Nuclei interni di valutazione (stabili, formalmente riconosciuti e composti da docenti specificamente formati: ci riferiamo di nuovo all’esperienza trentina) sono la strada da percorrere, almeno nella fase di avvio dell’attività. Servono però risorse consistenti per fare autovalutazione e pensare che siccome è “auto” non ne richieda o ne richieda poche è un errore grossolano. Ne servono, di risorse, per la auto e per la valutazione esterna: insieme devono partire e sostenersi da subito a vicenda, legittimandosi, altrimenti la prima non può fare da base al miglioramento del sistema. Sono quindi tutt’altro che alternative o concorrenti l’una all’altra: rappresentano invece due diverse prospettive tanto più imprescindibili (entrambe) quanto più è delicato e complesso l’evaluando rappresentato dalla singola scuola, dal suo funzionamento, dai suoi risultati e dai processi – relazionali, di apprendimento e di potere – che in essa hanno luogo.

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