L’impegno a proteggere i perdenti della globalizzazione con la disdetta del Nafta e aliquote fiscali più basse ha portato Donald Trump alla presidenza degli Stati Uniti. Ma, al contrario di quanto promesso dal tycoon, l’aumento del deficit pubblico farà salire il disavanzo commerciale Usa.
Il malessere americano che ha fatto vincere Trump
Donald Trump eredita un paese che cresce stabilmente intorno al 2 per cento annuo e con un tasso di disoccupazione sceso di poco al di sotto del 5 per cento della forza lavoro. È un paese molto diverso da quello che aveva trovato il suo predecessore, Barack Obama, alla fine del 2008. Allora, fallita Lehman Brothers, il Dow Jones era sceso sotto i 9000 punti (dai 13mila di fine 2007) e l’economia era in recessione da quattro trimestri, il che portò la disoccupazione sopra al 9 per cento nei primi mesi del 2009. I numeri che Obama lascia in eredità a Trump sono in tutto simili alle medie secolari che hanno contrassegnato da decenni il buon funzionamento dell’economia americana che, nonostante tutto, è rimasta il motore trainante dello sviluppo mondiale.
Eppure, se Trump ha vinto, è perché in America c’è malessere. Se non ci fosse, un candidato come Bernie Sanders sarebbe stato etichettato come un socialista rétro e non sarebbe certo arrivato a contendere la candidatura alla presidenza degli Stati Uniti a Hillary Clinton nelle primarie del partito democratico. Se in America non ci fosse malessere, il partito repubblicano non avrebbe indicato come candidato alla Casa Bianca un estremista no-global (anche pieno di scheletri nell’armadio) lontano dalla tradizione liberista del Grand Old Party come Donald Trump.
Sanders e Trump non escono dal nulla ma rappresentano – in modi molto diversi – le esigenze degli insoddisfatti dell’America degli ultimi anni. Dei lavoratori che hanno subito le conseguenze delle delocalizzazioni manifatturiere in Messico e in Cina. Degli abitanti delle zone periferiche delle grandi città che vedono nell’afflusso degli immigrati una minaccia e non la tradizionale fonte di eterno ringiovanimento della società americana. Delle tante famiglie americane indebitate, che tra l’altro hanno visto i loro bilanci minacciati dall’aumento del costo dell’assicurazione sanitaria e delle rette universitarie dei figli.
Sostegno fiscale alla classe media con maggiore disavanzo con l’estero
E’ a questi elettori che Donald Trump ha saputo parlare, anche con il suo programma economico. Mentre la signora Clinton prometteva più eguaglianza di opportunità con un “sistema fiscale equo” (con una sovrattassa di 4 punti per i redditi superiori a 5 milioni di dollari) e “liberando l’iscrizione universitaria dai debiti”, va riconosciuto che Trump è stato più concreto nella sua promessa di aiuto alla classe media. Agli americani con un reddito individuale tra i 29 mila e i 37 mila dollari Trump ha promesso di ridurre le aliquote dal 15 al 12 per cento. E il 12 per cento toccherebbe anche a quelli con redditi compresi tra i 37 e i 54 mila dollari che oggi pagano una aliquota marginale del 25 per cento. Sui dati fiscali del 2013 si tratta di circa 30 milioni di persone. Ma anche ai 3 milioni di persone con redditi compresi tra i 91 e i 154 mila dollari Trump ha promesso un taglio di aliquota di tre punti: dal 28 per cento di oggi al 25 per cento. Non sono noccioline. La prospettiva di tanto estese riduzioni di imposta, associata alla promessa di rinegoziare accordi commerciali che – nella retorica di Trump – hanno cancellato i posti di lavoro manifatturieri della Rust Belt, è stato probabilmente vista come una promessa di benessere più concreta rispetto a quella implicita nei piani della signora Clinton.
C’è però un dettaglio su cui il nuovo presidente degli Usa ha sorvolato. Tra le sue promesse ha incluso quella di riequilibrare i conti con l’estero, oggi negativi per 800 miliardi di dollari (è il saldo della bilancia commerciale dello scambio di beni e servizi). Se però il nuovo presidente attuerà davvero il suo piano che prevede una politica fiscale molto espansiva finanziata con emissione di debito pubblico, il risultato più probabile sarà quello di aumentare, non di ridurre, il disavanzo commerciale degli Stati Uniti. L’aumento della domanda interna farà salire le importazioni, chissà magari anche dal Messico. Il probabile apprezzamento del dollaro che potrebbe conseguire dall’aumento dei tassi di interesse necessario a finanziare l’accresciuto debito contribuirà poi ad ampliare il deficit commerciale, rendendo meno competitivi i prodotti americani rispetto a quelli del resto del mondo. E’ dunque tutt’altro che scontato che le politiche di Trump – anche se attuate come in campagna elettorale – riescano davvero nell’intento di riportare il manifatturiero a Detroit. Non passerà molto tempo prima che le promesse del tycoon oggi vittorioso siano sottoposte al test dei fatti.
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enzo
Mi sembra di aver capito che lo strumento propagandato per “riportare negli us il manifatturiero” sia quello del protezionismo . Forse ritiene che il mercato interno sia sufficiente rischiando di scatenare una guerra dei dazi ? e per quanto riguarda il debito sovrano potrebbe scontrarsi con la fed chiedendogli di finanziarlo ?
francesco daveri
Non c’è solo il protezionismo. Anche la riduzione della tassazione del reddito d’impresa dal 35 al 15 per cento contribuirà al ritorno dei capitali. Che poi questi vadano nel manifatturiero rimane da vedere.
Davide
Sono seriamente preoccupato dalla prospettiva di vedere quest’uomo e Putin “risolvere” la questione Medio Oriente.
Giovanni
Ennesimo monotono articolo politically-correct privo di basi empiriche.. da fisico teorico posso confermare che, a differenza delle leggi della natura, la scienza economica è basata su tutto tranne che sulle certezze. Le considerazioni dell’autore rimangono solo opinioni e per il fatto che non possano essere portate al vaglio del metodo scientifico e della non falsificabilità trovano il tempo che trovano.. trovo poi inoltre curioso vedere come altri economisti come Leonid Azarnert scrivano cose diametralmente opposte a quelle del signor Daveri in termini di immigrazione..
politica economica a parte..vogliamo allora parlare dei disastri effettuati (ed in programma) da parte della Clinton in politica estera? Come il fatto di aver stabilizzato il medio-oriente..eventi con effetti molto peggiori dei risvolti economici.
Lorenzo
Credo che però i dubbi sulla politica economica interna di Trump possano benissimo coesistere anche con una condanna della linea di politica estera seguita dalla tradizione Bush e di cui fa parte la Clinton, cioè, non sono due posizioni che si escludono: e infatti penso che l’articolo nell’esprimere certe perplessità su Trump non implichi affatto un endorsement per l’avversaria, tra l’altro in un ambito diverso. Quanto al tema qui in esame, niente è certo, però già a prima vista un programma che intende ridurre il deficit commerciale, porre un freno al debito, incrementare investimenti pubblici in infrastrutture e difesa, e alleggerire (di molto) la pressione fiscale, sembra destinato a scontrarsi con una coperta corta.
Claudio
Caro Giovanni,
nell’URSS di Stalin si individuarono delle aree (sperdute) in cui si sperimentava l’economia occidentale e gli economisti di regime formulavano modelli matematici (su cui lei è senz’altro fortissimo) che andavano a confermare che gli effetti dell’economia pianificata era simile a quella di mercato!
Magari se si fa qualcosa di simile nella Tuscia e o in Brianza la chiamo, solo per vedere che effetto che fa! come diceva Jannacci.
Ma dopo anni di studio si accorge solo ora che l’Economia è una scienza sociale? e non empirica?
Complimenti!!
Giovanni
Caro sig. Claudio, non mi accorgo certo “solo ora” di questa cosa; al contrario, è da sempre che la sostengo. Non capisco il suo commento..
Per quanto riguarda le ricerche economiche degli economisti sovietici è tutto vero, nulla da obiettare.
Francesco
Giovanni, è molto bello il suo modo di argomentare, segno che sarà anche bravo in fisica teorica, ma meno in logica e in retorica. (del resto sicuramente le riterrà materie prive di basi empiriche)
1.E’ chiaro che le considerazioni dell’autore siano opinioni, ma sicuramente argomentate in base a competenze che lei non è in grado di giudicare a pieno “da fisico teorico”.
2.Non è vero che non possano essere falsificabili, anzi, come immagino lei speri, tra qualche mese vedremo messe in atto le politiche economiche di trump, e potremo osservare se le previsioni fossero corrette.
3.L’articolo non pretende di parlare di immigrazione.e politica estera. Non sono poi argomenti di cui si dovrebbe tacere perché non affidabili a scienze esatte, non sono poi solo opinioni?
Giovanni
E’ chiaro che lei non conosce il principio di falsificabilità. Una teoria “scientifica” per essere confutata nei suoi principi di base deve essere sottoposta a prove di esperimento (empirico). Tutte le varie speculazioni di previsione economica (che, tra l’altro, giungono spesso a considerazioni totalmente opposte) NON possono essere falsificate perchè infatti non si possono replicare i risultati economici in laboratorio.
Se le teorie economiche sono così apprezzate, come mai nessun economista è riuscito a predire la crisi del 2008? La verità è che un economista è bravo a spiegare la realtà solamente DOPO che i fatti sono accaduti.
Marcomassimo
amico mio, inutile stupirsi, al di là delle statistiche taroccate il fatto è semplicemente che pure l’America ha sempre più gente che si arrangia con lavoretti estemporanei malpagati ed il reddito sicuro dei genitori o dei nonni è un miraggio virtuale;per questo ha detto testualmente che “se le multiazionali non riporteranno posti di lavoro in america ci saranno serie conseguenze”. Il suo compito principale è questo ricreare BUONI posti di lavoro. punto. perchè una democrazia con al vertice pochi ricchi ed alla base una massa di gente spappolata non può reggere da che mondo è mondo
giovane arrabbiato
Il 4.9% di disoccupazione di Obama è un dato fuffa.
Nel momento in cui si guardo la labour force participation si nota che sotto Obama gli occupati sono scesi al livello degli anni ottanta (mentre la popolazione è aumentata di 100 milioni da allora)
Allora dov’è il miracolo se molta meno gente lavora? L’indice di disoccupazione è sceso perchè in parte i Boomers sono andati in pensione, in parte perchè la gente ha rinunciato a cercare lavoro.
E secondo lei chi votano quei disperati che hanno rinunciato a cercare lavoro? Hillary?
Andiamo avanti. Sotto Obama c’è stato un crollo dei lavori a tempo pieno, rimpiazzato dai part-time.
E i lavori a tempo pieno sono per lo più nel settore ”bartender”.
Il miracolo di Obama è quindi dovuto a gente che rinuncia, baristi e part timer?
Ed è per questo che Hillary ha perso. Ciò che dicono i media e gli economisti non corrisponde alla realtà che la gente vive. Come del resto non hanno corrisposto alla realtà i sondaggi farsa.
La crisi dell’Occidente è soprattutto una crisi di integrità intellettuale della classe dirigente.
Claudio
Caro Giovane arrabbiato!
se mi indichi una soluzione ti seguo, se mi dai consistenza della tua integrità intellettuale ti seguo, se mi dici dove hai studiato ti ascolto.
Vedi oltre che gridare non vedo altro, almeno nell’altro secolo c’erano intellettuali a guidare i movimenti oggi solo pagliacci che alla prima prova difficile “E mo che famo??” cercano Mr Dimon, Presidente di JP Morgan Chase, da mettere al Tesoro! ( Magari!!!!) Sai che risate che mi faccio
Marcomassimo
Condivido in pieno, ma più che di crisi della classe dirigente direi che si tratta di banale lotta di classe; la presa di potere sostanziale da parte di una elites di potere finanziario e multinazionale globale che ha i mezzi per controllare anche i media principali; questa gente si è arricchita enormemente con la globalizzazione e quello che succede alla base sociale dei loro stessi paesi gliene importa meno che poco; la classe politica è diventata semplicemente la intermediazione fra questi poteri e le masse e non stupisce che sia detestata ormai in ogni luogo dell’occident, perchè risente dell’aspirazione verso l’alto; quello che farà Trump è ancora tutto da vedere; è un immobiliarista, ma pare che pure lui sia ammanicato con JP Morgan
Marcomassimo
I lavori pubblici sono essenziali se si vuole la piena occupazione; e sono essenziali il doppio in una fase storica di automazione spinta, di fronte alla perdita di posti tragica che si avrà nei decenni prossimi quando schiere di nuovi automi faranno tutti i lavori più sempli, dal portare un autotreno a assistere un anziano; pare che Trump ci sia arrivato a capirlo, però manca anche l’altro aspetto se vuole essere realmente un nuovo Roosevelt, ovvero una vera regolazione del mondo finanziario che è un vero circo barnum; una vera separazione fa banche di affari e commerciali ci vorrebbe, ma facendo questo toccherebbe interessi tali da rimetterci la pelle probabilmente.
Armenian
E quindi ?
Lei mi pare l’ennesima persona capace di trovare dei punti di critica (magari corretti, magari no) ma totalmente incapace di trovare delle idee concrete ed un progetto temporale per correggerle. E francamente, dopo un primo momento in cui i critici del suo genere mi trovavano interessato, ora iniziano francamente a stufarmi. Così come mi possono aver stufato i vecchi arnesi della classe dirigente privi di idee ed in crisi intellettuale come dice Lei. Il problema, molto grave, è che non mi pare di vedere nessun loro sostituto con una minima idea di cosa fare…….
Forse sarebbe ora che Lei, noi, e tutti, invece di chiedere a queste persone solo e soltanto critiche, e appoggiarne supinamente i proclami lanciati con qualche twitter o facebook (da un palco…dio me ne guardi, e se qualcuno critica lo faccio cacciare via dalla polizia…), iniziassimo ad incalzarli chiedendo loro cose concrete e ragionamenti chiari.
Il Prof Daveri ne ha fatto uno. Lei ha pensato solo a smontarne dei pezzi, ma non è minimamente entrato nella sostanza.
Maurizio Cocucci
Credo che la fonte dove ha preso i dati è del tutto inattendibile. Se legge i dati ufficiali del U.S. Bureau of Labor Statistics può verificare come il numero complessivo di occupati sia sceso a causa della crisi a circa 138 milioni nel 2010 e ad Ottobre scorso erano 152 milioni. Quanto alla parte di lavoratori a tempo pieno, sono passati da 110 milioni del 2010 ai 124 milioni dello scorso Ottobre. Il numero di quelli a tempo parziale è salito durante la crisi da circa 24,5 milioni fino a 27-28 milioni e poi si è stabilizzato tra questi due valori dal 2010, quindi la politica dell’amministrazione Obama non ha assolutamente precarizzato il lavoro dato che si è insediata nel 2009 ma l’efficacia delle misure intraprese ha avuto effetto solo a partire dall’anno successivo. Il tasso di occupazione è salito (non sceso a causa di prepensionamenti come ha scritto) dal 58% (2010-2014) al quasi 60% dello scorso Ottobre. La popolazione è cresciuta da 309 a 321 milioni, non proprio di 100 milioni come ha scritto.
enrico
mi scusi signor fisico teorico, io da perfetto ignorante trovo normale che un economista sostenga idee diametralmente opposte ugualmente non falsificabili quali quelle dell’ autore dell’articolo.
FRANCESCO
Appare sorprendente che diversi osservatori attribuiscano la vittoria di Trump al buon funzionamento della democrazia americana: gli elettori appartenenti alla classe media e operaia, delusi, si rivolgono al cambiamento. Direi che questa lettura è discutibile per due motivi. Come mostrano i dati storici, l’economia americana ha fatto segnare migliori performance sotto i Democratici che sotto i Repubblicani e ciò in generale a vantaggio della classe media e operaia. Con tutti i limiti del caso, Obama non ha certo peggiorato i disastri prodotti dai Repubblicani. La piattaforma di Trump non è una risposta credibile rispetto agli interessi di queste classi. Ritengo che l’esito elettorale dipenda da due possibili patologie della democrazia americana, entrambe molto preoccupanti, di cui la prima non riguarda solo gli USA e la seconda è di lunga data: (1) l’elettore medio non è in grado di valutare le conseguenze effettivi per il proprio benessere delle diverse piattaforme politiche e (2) alcuni gruppi sociali che avrebbero potuto incidere a favore dei Democratici sono marginalizzati dai processi politici e, in generale, non inclusi adeguatamente nei processi di scelta collettiva. Ricordo a questo proposito che fino al 1960 negli Stati del Sud erano presenti meccanismi legali che consentivano questa esclusione (test di alfabetizzazione per accedere al voto). La battaglia per il riconoscimento del diritto di voto costò la vita a MLK.
FRANCESCO FERRANTE
……(cont). A conforto ulteriore di quest’idea vi è il fatto che l’economia americana presenta un grado di redistributività del sistema fiscale inferiore a quello che ci si attenderebbe in base della distribuzione effettiva del reddito e dei bassi livelli effettivi di mobilità sociale. Continua…Probabilmente Trump non agirà come dichiarato nella campagna elettorale. Il fatto è che ciò non dovrebbe tranquillizzarci: il problema è l’effettiva capacità del popolo americano e della prima potenza economica di contribuire a gestire le sorti del mondo con saggezza.
Sergio Ascari
Seguendo da macroeconomista del tutto amatoriale questo ed altri autori, sono rimasto colpito da un voltafaccia di Krugman di qualche anno fa: prima disse che non era vero che gli immigrati rubavano i posti agli americani, poi,,,, mah, forse un po’ … mah… non sono più tanto sicuro…. ecc.
Temo che abbiano ragione i commentatori critici circa la performance dell’epoca Obama. Anche se le statistiche non sono necessariamente truccate: il 2% di crescita, tanto osannato specie dagli europei, è nel miglior dei casi un tasso MEDIO. Ho letto su The Economist che il reddito MEDIANO in USA è cresciuto per la prima volta nel ’15, dopo il 2007! Questo basta a spiegare Trump anche con le più tradizionali teorie, a prova dell’amico fisico, senza bisogno di troppa fantasia.
L’uguaglianza delle opportunità non basta più. O si trova un rimedio serio alla diseguaglianza (migliore della liberalizzazione dei sequestri di persona se possibile); o il populismo trionferà in tutto l’Occidente, e prima o poi verrà la vera guerra, come nel 1939.
Quanto alle preoccupazioni sulla spirale deficit pubblico – deficit commerciale, mi pare che lo stesso fu detto quando vinse Reagan nel 1980. Da dilettante, mi pare che alla fin fine Reagan abbia fatto il vero keynesiano, rompendo i tabù di politica fiscale. Ci spieghi il macroeconomista professionista com’è andata a finire quella volta.
simone
Faccio fatica a pensare ad una multinazionale che crei posti di lavoro BUONI utilizzando una forza lavoro “trumpiana”, mediamente poco specializzata e scolarizzata. Ma che vuole recuperare benessere e parte del proprio status andato in fumo con il passare delgi anni.
Non è che a questo punto il tanto odiato welfare statale avrebbe permesso a questa gente di stare meglio? Con effetti sul bilancio pubblico simili a quelli delle politiche di Trump, ma certamente più tangibili e mirati?
Faccio ancora più fatica a vedere l’america bene “trumpiana” che, azionista della multinazionale, beneficia degli attenti piani di efficientamento dei costi che vengono messi in atto per dare valore agli stakeholder.
Infine lo schiaffo più grande se lo sono preso i millennials che incevece di preferire il bene al meglio, non hanno votato, ma si sono sentiti in dovere di manifestare il giorno dopo….Ridicoli.
Ruggero Revelli
Pudicamente , l’autore dimentica di fornire il dato sull’incremento del debito pubblico sotto Obama.
Da 6000 miliardi a 14-20000 miliardi (probabilmente i diversi valori si riferiscono al debito federale o a quello comprendente i singoli stati e i comuni, es. Chicago o altri comuni “democratici”..
Bella eredità ( da accettare con “beneficio d’inventario”, secondo il CC italiano !!!) “Democratici”
Cincera
Il malessere americano ha fatto vincere Trump Avete detto bene Aggiungo che l’indebitamento a geometria variabile E’ il migliore investimento E che il deficit pubblico e il disavanzo commerciale Sono due potenti regolatori del mercato globale L’economia si adatta come il corpo ad ogni cambiamento di stagione Con l’aiuto delle medicine
ettore falconieri
Tutti i commenti fatti a caldo su Trump sono inutili, da astuto opportunista ha detto cose per farsi eleggere che sono irrealizzabili o inopportune. Il vero Trump dovrà essere giudicato più avanti. Tanto chiasso mediatico, come è avvenuto per Brexit, è prematuro, bisogna attendere.
Henri Schmit
Ottima osservazione! Sia permesso aggiungere che la gente deve proprio essere disperata per preferire tanta dinamica incertezza allo stato quo falsamente rassicurante. Detto ciò, trovo l’articolo del prof. Daveri intelligente ed equilibrato.
Maurizio Cocucci
Voglio proprio vedere il muro che Trump ha appena confermato di voler fare al confine con il Messico. Sul fronte economico attendo i dazi che ha annunciato, sia con il Messico che soprattutto verso la Cina. Dal Messico nel 2015 gli USA hanno importato 295 mld di USD ma hanno anche esportato ben 236 mld, quindi non so se le aziende statunitensi saranno contente se il Messico farà altrettanto alzando contestualmente a sproposito i dazi. Ancora peggio con la Cina, dalla quale nel 2015 hanno importato beni per 482 mld di USD esportandone 116 mld, però una buona parte dei prodotti importati sono di aziende di proprietà statunitense (es.Apple), non credo che farà loro piacere né credo possa servire a far rientrare in patria la produzione. Gli USA hanno infatti un PNL superiore al PIL. Alla fine gran parte delle sue uscite propagandistiche durante la campagna elettorale non avranno seguito.