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Venti di guerra fiscale tra Usa ed Europa

La riforma fiscale di Trump avrà conseguenze anche in Europa? Su alcuni aspetti la UE potrebbe adottare misure per annullare il vantaggio competitivo che ne deriva per gli Usa. Ma è probabile che si intensifichi la concorrenza fiscale fra paesi.

Le aliquote delle imposte societarie

Quali saranno gli effetti in Europa della riforma fiscale Trump? E quale sarà la risposta dell’Unione Europea? Diverse sono le disposizioni che potrebbero suscitare una reazione da parte della UE. D’altronde, vi sono anche parti della riforma che potrebbero avere un impatto diversificato a seconda del livello di tassazione delle società in vigore nel singolo paese europeo.

Negli anni Ottanta, la riforma fiscale di Ronald Reagan innescò in altri paesi altrettante misure dirette a ridurre le aliquote legali delle imposte sulle società espandendo al contempo la base imponibile. In seguito al taglio dal 46 al 34 per cento effettuato dagli Stati Uniti nel 1986, i partner commerciali degli Usa risposero riducendo il carico fiscale sulle imprese dal 40-50 per cento al 20-30 per cento. La concorrenza fiscale internazionale sulle aliquote è oggi la ragione della riforma Trump, che prevede appunto un taglio dal 35 al 21 per cento per le imprese americane. Tuttavia, la nuova aliquota è solo leggermente inferiore a quella media per le imprese nei paesi Ocse (25 per cento). È quindi improbabile, anche se non impossibile, un ulteriore taglio della tassazione sulle imprese nei diversi paesi d’Europa.

Una “guerra fiscale” tra Europa e Stati Uniti?

La riforma fiscale americana prevede però anche la deducibilità immediata, anziché in più periodi d’imposta, del costo di determinati beni strumentali per i prossimi cinque anni, che ha l’effetto di escludere da tassazione il rendimento normale del capitale investito. Mentre un’altra disposizione introduce un regime agevolativo di tassazione (il cosiddetto patent box) per i redditi derivanti dall’utilizzo di beni immateriali, al 13,125 per cento. La deduzione immediata dei componenti negativi di reddito può attrarre investimenti esteri in immobilizzazioni materiali negli Usa, mentre il patent box può incoraggiare lo spostamento dei profitti derivanti dallo sfruttamento delle opere di ingegno negli Stati Uniti.

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Entrambe le disposizioni potrebbero allarmare i principali paesi dell’UE, preoccupati di perdere posti di lavoro e gettito fiscale. Una possibile reazione potrebbe essere allora un allineamento al ribasso, con l’adozione di regole simili. Per esempio, il Regno Unito ha già annunciato la riduzione dell’aliquota dell’imposta sulle società dall’attuale 19 al 17 per cento entro l’aprile del 2020 e il patent box al 10 per cento.

Gli altri principali partner commerciali degli Stati Uniti, come Francia, Germania e Italia, probabilmente reagiranno applicando la disciplina delle Controlled Foreign Companies alle controllate estere domiciliate negli Stati Uniti. In base a tale normativa, se l’aliquota estera effettiva è sufficientemente bassa, i redditi prodotti dalla società vengono ricondotti a imposizione in capo al socio controllante, a prescindere dal fatto che la distribuzione di dividendi abbia effettivamente avuto luogo.

Il regime statunitense prevede un sussidio (aliquota del 13,125 invece del 21 per cento) che è direttamente legato al reddito dalle esportazioni ed è quindi palesemente incompatibile con le disposizioni dell’Organizzazione mondiale del commercio in materia di sussidi vincolati alle esportazioni. Come già avvenuto in passato, la UE impugnerà tali disposizioni in seno all’Omc e, probabilmente, vincerà. Di conseguenza, sotto la minaccia di sanzioni, gli Stati Uniti saranno costretti ad abbandonare il patent box.

Effetti differenziati tra paesi europei

La riforma fiscale di Trump introduce l’esclusione dalla tassazione dei dividendi distribuiti dalle società partecipate non residenti, abbandonando, per la prima volta dal 1913, il principio della tassazione su base mondiale (il cosiddetto worldwide principle).

Il regime di esenzione delle partecipazioni non si applica se il pagamento è deducibile secondo la normativa fiscale della giurisdizione della fonte, quindi vale solo per i dividendi che sono classificati come tali e non per gli interessi o i canoni.

È probabile che il nuovo regime americano inasprirà l’attuale livello di concorrenza fiscale internazionale: le multinazionali Usa potranno infatti rimpatriare gli utili delle proprie controllate estere esentasse e saranno incentivate a spostarli in paesi con un’aliquota inferiore al 21 per cento. Ne seguirà un incentivo a localizzare investimenti e lavoro nei paesi a bassa tassazione, inclusi quelli europei.

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In conclusione, i grandi paesi dell’Unione Europea potrebbero adottare alcune misure per annullare il vantaggio competitivo che deriva da un’aliquota nominale più bassa negli Usa, dalla deduzione immediata dei componenti negativi di reddito e dal patent box. D’altronde, nella riforma Trump vi sono anche disposizioni che rischiano di aumentare la già intensa competizione fiscale tra paesi europei a bassa e ad alta aliquota societaria.

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  1. Henri Schmit

    La riforma fiscale targata Trump è quindi una pessima notizia per paesi fiscalmente inefficienti (aliquote alte, regole complesse, alto livello di evasione e di frode) come l’Italia, una notizia relativamente positiva per i paesi ben posizionati nella competizione fiscale internazionale come NL, IRL, LX e CH e una grossa sfida a definire parate difensive (ricorsi WTO) e aggressive (ridurre le aliquote, definire nuove regole similari a quelle US) per gli altri come UK, D e F. L’articolo non parla della tassazione del reddito delle persone fisiche pur alleggerita da Trump per le fasce ad alto reddito, una mossa che i paesi difficilmente seguiranno, perché scoppierebbe (giustamente dal punto di vista si chi scrive) la rivoluzione.

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