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Investimenti utili: i progetti di migrazione circolare

I paesi europei spendono miliardi nel tentativo di fermare i flussi migratori. Sarebbe forse più utile investire in progetti di rimpatrio volontario assistito. Formano i migranti e permettono a chi torna di avviare un’attività propria. Il vantaggio di mantenere relazioni con entrambe le realtà.

I numeri delle migrazioni

Secondo uno studio del gruppo internazionale di giornalisti Migrants files, dal 2000 al 2015 i paesi europei (28 membri Ue più Norvegia, Svizzera e Islanda) hanno speso complessivamente 11,3 miliardi di euro per il rimpatrio dei migranti irregolari e 1,6 miliardi per rafforzare i controlli alle frontiere: spese di trasporto, mezzi navali per il pattugliamento delle coste, strumenti di visione notturna e addestramento uomini. Mediamente, ogni espulsione costa circa 4mila euro.
Una cifra simile viene pagata dai migranti ai trafficanti, quantificabile per lo stesso periodo in 15,7 miliardi, senza contare i costi sociali e l’altissimo rischio dei viaggi.
Il fenomeno ha assunto dimensioni senza precedenti. Nel 2013 gli sbarchi nel Mediterraneo (rotte verso Italia, Grecia e Spagna) erano stati 72mila, per salire a 229mila l’anno successivo e superare il milione nel 2015. Nel 2016, nonostante l’accordo UE-Turchia abbia frenato i flussi orientali, abbiamo già superato i 300mila sbarchi (dati Frontex). Con questi numeri, puntare solo sui rimpatri appare un’impresa titanica, sia in termini di efficacia che di costi.

Il progetto dei rientri volontari

Quali sono, allora, le altre strategie possibili? Oltre alla riduzione degli incentivi alla migrazione regolare, proposta dall’Agenda UE sull’immigrazione del 2015 (Com(2015) 240 final) e al rafforzamento dei processi di cooperazione con i paesi di origine e di transito previsto dal Migration Compact (Com(2016) 385 final), un esempio concreto è rappresentato dai cosiddetti rientri volontari assistiti (Rva).
Si tratta di percorsi promossi dalla Commissione europea (fino al 2013 all’interno del Fondo europeo per i rimpatri, confluito nel 2014 all’interno del Fondo asilo migrazione e integrazione – Fami): piccoli progetti, finalizzati al reinserimento socio-economico dei migranti nel contesto nazionale d’origine. Il Rva è una misura che permette ai migranti (extra Ue) di ritornare in modo volontario e consapevole nel proprio paese di origine in condizioni di sicurezza e con un’assistenza adeguata (organizzazione e pagamento del viaggio e, in alcuni casi, supporto a progetti individuali di reintegrazione sociale e lavorativa).
Questo tipo di progetti, gestiti in Italia principalmente dall’Oim (Organizzazione internazionale per le migrazioni) e dalla rete Rirva, si rivolge soprattutto a “cittadini extracomunitari irregolari o a rischio di irregolarità o in situazione di vulnerabilità”: la logica di fondo è quella di prevenire situazioni di marginalità, offrendo una seconda possibilità alle categorie più a rischio. Pur con numeri piuttosto piccoli (secondo l’Oim, tra il 2009 e il 2015 i beneficiari sono stati circa 3.700), la misura si rivela efficace per una fascia di migranti che altrimenti rischierebbe di entrare in circuiti illegali o di assistenzialismo.

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Migranti e comunità di origine

Occorre infatti riflettere sul contesto in cui maturano le migrazioni economiche, soprattutto dall’Africa: spesso si tratta di un vero e proprio investimento che una famiglia, un villaggio o una comunità compiono su uno o più individui. L’investimento (che quasi sempre comprende il costo del viaggio dovuto ai trafficanti) dovrebbe essere ripagato da un successo lavorativo in Europa, e di conseguenza da rimesse economiche a favore dei familiari. Un rientro traumatico, sotto forma di rimpatrio coatto, porta quindi con sé le stimmate di un fallimento e l’esecrazione di una intera comunità. Il ritorno forzato in patria si traduce in una vera e propria emarginazione nella comunità di origine, spesso con gravi conseguenze psicologiche.
Il rientro volontario, dopo avere acquisito una professionalità che prima non si possedeva, rappresenta invece una alternativa credibile, anche se non faceva parte del progetto originario.
Affinché il processo generi sviluppo, però, sarebbe opportuno ampliare la platea dei beneficiari, includendo coloro i quali possono effettivamente diventare agenti di sviluppo in un’ottica di scambio di competenze e risorse tra la realtà d’origine e quella di accoglienza. Pur se in forma molto limitata, esistono già alcuni progetti (perlopiù finanziati da fondi europei) sul territorio italiano nell’ambito della ristorazione, della sartoria, di attività artigianali che contemplano entrambe le possibilità: un loro sviluppo in Italia o nel paese di origine.
Si tratta di un processo che richiede investimenti in formazione molto forti, garantendo al migrante la possibilità di avviare un’attività di successo. Con questi presupposti, i processi di rimpatrio volontario potrebbero evolversi in percorsi di migrazione circolare, in cui il migrante mantiene relazioni con entrambe le realtà, facendosi promotore di uno scambio e di un effetto volano.
Una delle strade percorribili per rendere operativi concetti come “Migration Compact” e “piano Marshall per l’Africa” consiste nel ridurre i rimpatri forzati a vantaggio dei rientri volontari. Una forma di investimento che può dare utili risultati.

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  1. raffaele principe

    Sarei tentato di dire: troppo intelligente e semplice per diventare un’azione strategica per l’UE.
    E’ chiaro che finchè si tratta l’Africa, in particolare come continente da saccheggiare, i flussi non potranno che essere questi che leggiamo tutti i giorni. Allora o rendiamo queste popolazioni partecipi del nostro benessere, oppure arriveranno in Europa con qualsiasi mezzo e a qualsiasi prezzo. Perchè nell’ultimo secolo l’occidente ha devastato culture e saperi ancestrali, organizzazioni sociali, tecniche colturali e artigiani, modelli abitative, spingendo milioni di cittadini verso le città, nate già come bidonville, ma con i nuovi media che danno loro, soprattutto ai giovani senza radici, l’illusione che il benessere è a portata di mano, che in fondo bisogna solo auto invitarsi. Naturalmente non è così, perchè qui li attende la parte del mondo opaca che, appunto internet e televisioni non illuminano.

  2. giancarlo

    Sono anni che leggo amenità di vario genere su come limitare le migrazioni africane. I fondi della Cooperazione vengono regolarmente depredati. Lo sanno anche i muri ! Stuppini si informi su cosa hanno prodotto i 30 (!) milioni di € erogati da PLASEPRI al Senegal dal governo italiano. E su come l’ambasciata li ha gestiti. Gli RVA sono un sussidio alla famiglia del rimpatriato. In Senegal ci vivo: se non si sconfigge il blocco politico-religioso che strangola ogni libertà, tu puoi buttare miliardi. Finiranno nei conti “clandestini” dei vari soggetti al potere.Avete idea di quanto siano ricchi certi maraboutes? Conakry è la stessa roba e anche, se non peggio, il Gambia. Servono persone oneste e capaci che diano assistenza tecnica ai giovani che vogliono fare impresa nel loro paese. Europei onesti e capaci.

  3. Roberto Bellei

    Visto che il Dott. Stuppini ha studiato il fenomeno conosce per caso il numero di “migranti” che non hanno diritto all’asilo che sono stati fisicamente imbarcati su un aereo e sbarcati nel Paese di provenienza negli anni 2014, 2015 e 2016 (9 mesi)?

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