La Fed ha rialzato i tassi. I più interessati a capire se è una inversione di rotta definitiva sono imprese e operatori al di fuori degli Usa. Perché in un mondo dominato dal dollaro come valuta di denominazione delle transazioni finanziarie, la sovranità della politica monetaria è un’illusione.
Geografia finanziaria del dollaro
Nel 2014, le banche europee detenevano attività verso debitori asiatici (altre banche o imprese) per 647 miliardi di dollari, mentre le banche americane per “soli” 571 miliardi di dollari. In altre parole, l’attività di intermediazione in dollari delle banche europee è normalmente più ampia di quella effettuata dalle stesse banche americane. Questo semplice dato illustra l’importanza del dollaro come valuta nelle transazioni sui mercati finanziari globali.
Molto diversamente da quello precedente del dicembre 2015, l’ultimo rialzo dei tassi da parte della Federal Reserve sembra segnalare una inversione di rotta definitiva della politica monetaria americana: nel 2017 i tassi di interesse saliranno a un ritmo probabilmente superiore alle attese. I mercati finanziari hanno abbondantemente già incorporato questa aspettativa. Il grafico sottostante mostra l’apprezzamento del dollaro rispetto a una media ponderata delle valute dei principali partner commerciali degli Stati Uniti: dal luglio del 2014 a oggi è stato di circa il 25 per cento.
Grafico 1
Fonte: St. Louis Fed
Le banche non americane prestano in dollari in modo massiccio. Nel 2014, l’ammontare di credito denominato in dollari concesso da istituzioni finanziarie non americane, sia localmente che all’estero (ma escludendo gli Usa), era di circa 7 trilioni di dollari. Nello stesso anno, l’84 per cento del credito bancario denominato in dollari nel mondo è stato concesso da istituzioni finanziarie non americane.
Che implicazioni ha questa geografia finanziaria del dollaro? Imprese e banche che si indebitano in dollari (magari nei paesi emergenti) hanno spesso attività denominate in valuta locale (chiamiamolo “peso”, per comodità). Un apprezzamento del dollaro rispetto al peso, quindi, genera una rivalutazione dal lato delle passività di bilancio e una svalutazione dal lato delle attività. In altre parole, un apprezzamento del dollaro genera uno shock finanziario negativo per quei debitori che si sono finanziati in dollari.
I due canali della politica monetaria
L’inversione di rotta della politica monetaria della Fed è in realtà un’arma carica per tutti quegli operatori finanziari e imprese che si sono indebitate in dollari negli ultimi 7-10 anni. Questo canale finanziario della politica monetaria genera un effetto macroeconomico diametralmente opposto rispetto a quello tradizionale che opera attraverso il tasso di cambio e la bilancia commerciale. Secondo il canale tradizionale, una stretta sui tassi Usa genera un deprezzamento del peso (la valuta locale), quindi un boom delle esportazioni e della domanda aggregata. Il canale finanziario, però, può ribaltare completamente il segno di questa relazione. Se le imprese locali sono indebitate in dollari, ma hanno attività espresse in peso, una svalutazione del peso peggiora le condizioni finanziarie, spingendo al rialzo il costo del credito delle aziende, generando quindi una possibile recessione.
Il canale “globale” della politica monetaria americana segue poi una seconda via. Esiste forte evidenza empirica di un cosiddetto ciclo finanziario globale: durante le fasi di espansione del credito i prezzi degli asset, azioni o bond, tendono a muoversi in modo sincrono nei paesi industrializzati, ma oramai anche nei paesi emergenti. Esiste cioè un “fattore comune” che muove i mercati finanziari internazionali, quasi come se fossero un unico, grande mercato (Si veda Rey (2015)).
Questo fattore comune è fortemente influenzato dalla politica monetaria della Fed. Quando la Fed alza i tassi di interesse, ciò produce all’estero una caduta dei prezzi di azioni e bond e un deflusso di capitali. Anche se per l’economia locale l’effetto è un deprezzamento della valuta, il peggioramento delle condizioni finanziarie (per imprese e consumatori) più che compensa l’eventuale effetto di espansione delle esportazioni.
La conclusione è di rilevanza cruciale: in un mondo integrato dal lato finanziario, anche se un paese possiede autonomia della politica monetaria e quindi flessibilità del tasso di cambio, non riesce a schermare la propria economia da shock che provengono dall’estero. Una lezione molto importante, in Italia, per chi pensa che uscire dall’euro, e recuperare così l’arma impropria delle svalutazioni competitive, possa essere la panacea ai cronici problemi di crescita del paese.
Molto più oggi di venti anni fa, quindi, i testimoni più interessati all’evoluzione della politica monetaria americana sono imprese e operatori che vivono al di fuori degli Usa. E molto più oggi di allora, in un mondo dominato dal dollaro come valuta di denominazione delle transazioni finanziarie, la sovranità della politica monetaria, applicata attraverso la flessibilità del tasso di cambio, è diventato un illusorio miraggio.
Soprattutto per quei paesi, come l’Italia, con mercati finanziari poco sviluppati.
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claudio leonardi
La Turchia è un buon esempio. Ha finanziato la sua crescita soprattutto con i consumi e investimenti interni, aprendo un largo deficit della bilancia commerciale. Il capitale estero ha cominciato a defluire nel 2013 al tempo del tapering ma il brusco aumento dei tassi della valuta turca e l’ombrello del crollo del greggio il cui prezzo si è dimezzato nel 2014 ha protetto questo membro dei Fragile Five. Ma la festa è finita. L’aumento dei tassi della Fed che continuerà nel 2017 assieme al rischio geopolitico dreneranno capitali esteri e la domanda interna fletterà. Ad Erdogan non resta che tagliare i tassi per frenare la disoccupazione che mangia voti ma così scatta l’inflazione, un serpente che si mangia la coda. La svalutazione della Lira Turca comincia a rendere difficile il rimborso del debito in dollari da parte di qualche impresa e qualche banca. Dunque mare agitato in vista per l’economia turca. Unica opportunità il settore delle costruzioni che è uno dei più forti al mondo potrà beneficiare delle ricostruzioni in Siria e Irak se e quando tornerà la pace.
SpeculaThor
Premio Nobel Stiglitz: euro é una stupidata.
Premio Nobel 2016 Oliver Hart: euro vá sciolto ordinatamente.
Mario Draghi (audio video in inglese, Helsinki, convegno nn publicizzato): siccome nn cé volontà politica a transfer union, e siccome cambio interno é fisso, é necessario che paesi a bassa produttività svalutino internamente (taglio salari ed austerity) per salvar la moneta unica.
Le Elite Italiche al popolino: meglio continuar a subir ad OO.
Gustavo Rinaldi
Tutto ciò suppone la perfetta mobilità dei capitali come una necessità.
Ma forse non è così.
Tommaso
Mah, questo e’ forse valido per i paesi emergenti ma non so quanto valido per l’Italia. Quante aziende italiane si finanziano in dollari? Il Tesoro ha di recente emesso bonds in dollari ma questi sono pur sempre una cifra gestibile. Poi ci sono strumenti finanziari per fare hedging del rischio di cambio.
Inoltre, anche se il passato non lo si cambia, c’e’ da chiedersi quanto sarebbe stata diversa la nostra situazione se non avessimo legato la politica di cambio e fiscale ai vincoli europei. Di margini di aggiustamento non ne abbiamo molti e ho visto di recente un paper dell’autore su AER che dice che anche wage flexibility in a currency union non sia una gran cosa. E dunque che si fa? Si’, apriamo ad Uber e riformiamo l’istruzione, va bene, ma il quadro macroeconomico e’ questo.
Non solo, ma anche uscissimo in qualche modo da questa crisi, non mi e’ chiaro perche’ le asimettrie strutturali dell’Eurozona non dovrebbero riemergere alla prossima crisi.
Per quanto uno sia comprensibilmente tentato, non si deve commettere l’errore che, se Salvini sostiene x, allora x e’ sbagliato. Anche gli orologi rotti a volte danno l’ora giusta.
Si veda qui per il debito italiano in dollari:
http://www.reuters.com/article/italy-debt-currency-idUSR1N0TH01R20150210
e
http://www.dt.tesoro.it/export/sites/sitodt/modules/documenti_en/debito_pubblico/statistiche/Foreign_Debt_before_swap_30.09.2016.pdf
Enrico
Gentile prof. Monacelli, ha parlato del fatto che paesi emergenti si indebitano in dollari per cui una enentuale svalutazione della loro moneta ha effetti contrastanti tanto che gli effetti negativi lato finanziario potrebbero prevalere. Ora, siamo sicuri che lo stesso ragionamento possa essere applicato ai paesi europei? Non so se sia possibile recuperare dati di questo tipo ma quanto debito delle nostre famiglie e imprese è denominato in dollari? L’applicazione del suo ragionamento ai paesi europei dipende crucialmente dalla risposta a questa domanda
Lorenzo
L’autore potrebbe spiegare perchè considera la svalutazione una arma “impropria”?
E poi davvero gli USA risciranno a sostenere (e proseguire con) la stretta monetaria contro il resto del mondo che svaluta e per di più con possibili effetti recessivi sugli emergenti indebitati in dollari?