La legge di bilancio 2017 ha confermato i tradizionali incentivi fiscali per la ristrutturazione di immobili. L’obiettivo è favorire la sostenibilità ambientale e la sicurezza delle case. L’analisi degli interventi realizzati in Toscana suggerisce come rendere ancora più efficaci queste misure.
Tutte le misure confermate
La legge di bilancio 2017, approvata definitivamente dal Senato il 7 dicembre scorso, conferma – e in alcuni casi potenzia – i tradizionali incentivi a favore del rinnovamento in chiave di sostenibilità ambientale e sicurezza dello stock immobiliare. Si tratta del cosiddetto rinnovamento profondo (deep renovation), oggetto di numerose direttive e raccomandazioni comunitarie.
Nel dettaglio, le misure approvate sono:
Fonte: Legge di bilancio 2017, articolo 1 commi 2 e 3
Pur nella continuità che caratterizza sostanzialmente i bonus edilizi, si coglie dunque un tentativo di indirizzarli in modo più deciso sia verso interventi di maggiore impatto collettivo (i condomini più delle singole unità immobiliari), sia verso quelli localizzati nelle aree più a rischio (grazie all’evidente potenziamento delle misure per la messa in sicurezza sismica). Almeno dal punto di vista culturale, sembra ormai accettata l’idea che la riqualificazione dello stock immobiliare esistente, specialmente se realizzata su un numero elevato di edifici, porti con sé molteplici benefici di natura economica, sociale e ambientale.
I risultati in Toscana
Ancora da mettere a punto, invece, risultano alcune modalità operative che dovrebbero favorire la fruizione delle agevolazioni. Un’analisi fatta sulla Toscana (quasi 250mila ristrutturazioni edilizie agevolate nel periodo 2007-2012, ovvero circa 42mila all’anno con un’incidenza del 3 per cento sullo stock residenziale complessivo) consente di mettere in evidenza i fattori socio-economici e istituzionali che favoriscono o disincentivano gli interventi. In mancanza di dati individuali sulle famiglie, il modello di regressione è stato costruito sulle caratteristiche territoriali a scala comunale.
In sintesi, il ricorso alle ristrutturazione edilizie agevolate:
- aumenta al crescere del benessere economico locale (misurato in termini di livello con il reddito mediano comunale e in termini di disuguaglianza con il rapporto interdecilico,) e all’incidenza di capitale umano qualificato (residenti diplomati e laureati), perché le ristrutturazioni richiedono comunque un certo livello di disponibilità economica da parte delle famiglie e una loro “sensibilità” al tema della buona manutenzione dell’abitazione;
- decresce, invece, all’aumentare dell’incidenza di patrimonio residenziale obsoleto e in cattivo stato di manutenzione. Il risultato, apparentemente controintuitivo, è in realtà coerente con il fatto che il ricorso alle ristrutturazioni edilizie è trainato da un effetto ricchezza della popolazione più che da un effetto necessità di adeguamento del patrimonio esistente. In altre parole, le ristrutturazioni avvengono con maggiore frequenza nelle aree urbane più dinamiche e non in quelle rurali e montane, dove il patrimonio è spesso obsoleto e mal conservato e usato come seconda residenza;
- cresce all’aumentare della funzione residenziale dei luoghi, caratteristica colta dalla dimensione demografica comunale e dalla presenza di famiglie giovani;
- decresce, invece, all’aumentare della vocazione turistica dei territori (presenze turistiche per abitante e incidenza delle seconde case): è un risultato non del tutto scontato, che evidenzia una maggiore propensione delle famiglie ad apportare miglioramenti all’abitazione di residenza più che alle seconde case;
- la frammentazione comunale (misurata come numero di comuni raccolti all’interno dello stesso sistema locale del lavoro di fonte Istat) implica “regole di comportamento” e procedure per avviare gli interventi diversificate territorialmente e la duplicazione dei costi di acquisizione delle informazioni, dunque deprime la propensione alla riqualificazione del patrimonio residenziale.
L’analisi conferma il ruolo centrale giocato dalla disponibilità di risorse economiche da parte delle famiglie. Il tema è ben conosciuto e parzialmente affrontato dalla normativa nella parte che prevede la possibilità per i soggetti incapienti di cedere il credito fiscale alle imprese che effettuano gli interventi, esclusi tuttavia gli istituti di credito e gli intermediari finanziari. Proprio questi soggetti potrebbero, invece, essere più coinvolti negli interventi di rinnovamento profondo, chiedendo loro anche uno sforzo di innovazione delle modalità di concessione dei mutui ipotecari, ancora oggi decisamente più favorevoli alle compravendite che alle ristrutturazioni. Sulla burocrazia, infine, l’indicazione generale è di ridurre il più possibile la variabilità territoriale delle regole, obiettivo cui mira peraltro anche il Regolamento edilizio unico.
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Marco Spampinato
Si tratta di misure indipendenti dalla distribuzione del reddito (il bonus fiscale non risponde a criteri di progressività nel reddito, è solo una percentuale dei lavori). Mi aspetterei che a) aumentino la diseguaglianza; b) siano poco efficaci per contrastare un ciclo economico negativo e c) non risolvano problemi abitativi nei luoghi dove il patrimonio edilizio domanda una manutenzione più costante che “una tantum” (l’antico).
Anche Il trasferimento del bonus all’impresa che esegue i lavori, apparentemente interessante come contrasto ad una forma di sommerso favorita dall’indisponibilità economica del committente, è limitata ad un caso estremo di incapienza fiscale. Il problema principale mi sembra quello che un bonus disegnato come misura anti-sommerso, in modo indipendente dalla distribuzione del reddito e del patrimonio, difficilmente raggiunge altri scopi. Quando la ricchezza è molto diseguale, il vantaggio fiscale può agevolare sopratutto il business immobiliare (acquisto, ristrutturazione e rivendita del bene), senza rispondere in alcun modo ad obiettivi di sostegno delle manutenzione e fruidibilità degli immobili per le fasce di popolaione con minore disponibilità economica (giovani o meno giovani, poco cambia). Una politica pubblica dovrebbe pensare strumenti radicalmente differenti, e attivi, di intervento. Ovviamente dovrebbe avere anche efficaci sistemi di controllo per evitarne usi opportunistici.
giampy
Scusa ma non concordo,si chiamano incentivi ma non sono altro che il giusto riconoscimento di spese intrinseche nel bene immobile.Mi spiego meglio con i numeri:ho una casa locata e percepisco 6000 €annui lordi ma ci pago 1350 di imu;1500 di irpef quindi 2850 annui piu 1%tassa di registro.Arrivo al punto approffittando della tua pazienza:secondo studi estimativi i costi di manutenzione,spese amministrazione parte patronale,sfitti,spese legali sono il 30%locazione lorda….quindi 50%va in tasse piu 30%in spese rimane al proprietario il 20%della locazione lorda…..Ora capisce perche non gli definirei incentivi ma giusto riconoscimento spese…..Grazie per l’attenzione:-)