Negli interventi sul sistema pensionistico si dovrebbero considerare almeno tre profili: finanza pubblica, equità attuariale, azione redistributiva. Sono obiettivi già difficilmente compatibili per essere resi ancora più complicati e inefficienti, come fanno le misure della legge di bilancio 2017.
Pensioni nella legge di bilancio
La legge di bilancio per il 2017 ha effettuato due significativi interventi in tema di pensioni, sia sul versante spese che su quello entrate. Si tratta dell’ampliamento di beneficiari e ammontare della cosiddetta quattordicesima e dell’estensione della più favorevole detrazione Irpef per pensionati oltre i 75 anni anche a quelli più giovani.
I commenti critici di questi giorni del presidente dell’Inps, Tito Boeri – il quale in estrema sintesi ha richiamato l’aumento del debito implicito e l’incremento del beneficio per soggetti già percettori di significativi vantaggi in senso finanziario-attuariale, aggiungendo un giudizio di inefficienza sotto il profilo del sostegno a segmenti economicamente svantaggiati – hanno quantomeno il merito di far riemergere i diversi approcci che sul sistema pensionistico convivono da “separati in casa” e senza la necessaria trasparenza per la gran parte degli interessati.
Vorrei qui richiamare le ragioni della finanza pubblica, quelle di equità attuariale e quelle di azione redistributiva, di sostegno ai disagiati o di equità verticale. Sono tutte ragioni di grande rilevanza teorica e politica, con il “difetto” di essere in parte incompatibili.
Conti pubblici, equità attuariale e azione redistributiva
Dal punto di vista della finanza pubblica parliamo di circa 1,3 miliardi di beneficio annuo per una parte dei pensionati in essere e futuri e dobbiamo limitarci a osservare, come fa la Ragioneria dello Stato, quale sia l’impatto di cassa su deficit e debito. È ovvio l’aumento del debito pensionistico implicito (valore attuale dei trattamenti da corrispondere nel tempo a legislazione vigente), richiamato dal presidente dell’Inps e generato da un aumento dei trattamenti in un sistema a ripartizione.
Si deve solo aggiungere che altri tipi di misure, quali una maggiore libertà di scelta dell’età di pensionamento con penalizzazioni ispirate a criteri attuariali, aumenterebbero il deficit nei primi anni, ma lo ridurrebbero successivamente, con un valore attuale complessivo inferiore (specie se fossero considerati nel computo anche i minori interventi assistenziali per i cosiddetti esodati). In questo caso, diventerebbe cruciale la lungimiranza dei politici nelle scelte e il conseguente eventuale governo dei flussi differenziali di cassa di segno opposto.
Dal punto di vista dell’equità attuariale, l’accento si sposta dai flussi aggregati di cassa ai valori attuali individuali dei contributi rispetto alle prestazioni. Appare allora indiscutibile che le attuali pensioni, quasi esclusivamente determinate dal favorevole calcolo retributivo, presentano una consistente prevalenza dei valori attualizzati delle prestazioni rispetto a quelli delle contribuzioni, come più volte quantificato e argomentato anche su lavoce.info. In particolare, Fabrizio e Stefano Patriarca hanno evidenziato come, da un punto di vista attuariale, i trattamenti “retributivi” vigenti prima della legge di stabilità avvantaggiassero soprattutto i redditi medi e bassi, gli stessi beneficiati dalla quattordicesima maggiorata e dalla maggiore detrazione pensionistica Irpef appena varate. Si accentua, da questo punto di vista, l’iniquità attuariale, quella stessa che ha portato gli ultimi governi, in ottica di equilibrio di finanza pubblica, ad aumentare le restrizioni sulle future pensioni per finanziare i deficit contenuti nei trattamenti correnti.
Dal punto di vista dell’azione redistributiva o di tutela delle situazioni di disagio, non è rilevante l’equilibrio attuariale tra dare e avere, mentre viene in genere considerata l’incidenza dei benefici sul reddito al variare del reddito “equivalente”, una sorta di reddito pro-capite corretto e calcolato su base familiare.
Le misure qui esaminate, invece, nel tarare il beneficio in base al reddito individuale, producono un’allocazione di risorse inefficiente anche se parzialmente efficace. Nella tabella che segue si osservano gli impatti per decimi di reddito equivalente.
Tabella 1
L’incidenza del beneficio è maggiore per le quote di popolazione a minor tenore di vita (anche se a maggior vantaggio del secondo quinto piuttosto che di quello più povero). Ma le risorse destinate ai beneficiari con reddito equivalente superiore a quello mediano (i più “benestanti”) sono di poco inferiori alla metà (48 per cento). Quanto al solo 20 per cento di popolazione col reddito equivalente più basso, è destinatario soltanto del 10 per cento delle risorse impiegate.
Al di là delle recenti e specifiche misure, per gli interventi sul sistema pensionistico appare auspicabile considerare almeno i tre profili qui indicati (finanza pubblica, equità attuariale, azione redistributiva), già difficilmente compatibili per essere resi ancora più complicati e inefficienti da ulteriori obiettivi, spesso non esplicitati.
* Le opinioni espresse in questo articolo sono da attribuire all’autore e non investono la responsabilità dell’ente di afferenza.
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